Tirando le somme, il
romanzo di Alessandro Perissinotto
mi è piaciuto, ma in un’analisi a posteriori si capisce il perché, pur essendo
arrivato secondo con 78 voti nella classifica del Premio Strega 2013, non è
riuscito a vincerlo ed è stato surclassato dai 165 voti assegnati a Walter Siti. Tutto ciò ammettendo che i
giudizi siano stati equi e non abbiano pesato su di essi politiche commerciali
e raccomandazioni (pia illusione…); né d’altra parte ho letto il libro che ha
vinto, quindi in questo senso non posso fare paragoni.
Ripeto: mi è anche
piaciuto, ma Le colpe dei padri, pur
essendo scritto molto bene, pieno di tensione narrativa, con una storia tessuta
abilmente e un colpo di scena finale almeno per me inaspettato, a parer mio finisce
con lo scadere per eccesso.
Alessandro
Perissinotto insegna “Teorie
e tecniche delle scritture” all’Università di Torino, e non si tira indietro
nell’insistere a volercelo ricordare a tutti i costi. Ciò che mi ha dato
fastidio del libro è questo collocarsi ripetutamente in cattedra , nei panni di
un narratore onnisciente interno alla storia, sciorinando una sicuramente
superba cultura attraverso l’uso reiterato di citazioni, latinismi, descrizioni
di fatti storici, conclusioni pedanti che con l’andare appesantiscono la
narrazione fin quasi a farle raggiungere la forma di una metascrittura.
Cultura sopra le righe,
fine conoscenza delle materie insegnate, dei meccanismi strategici delle grandi
imprese, delle lotte sindacali degli ultimi cinquant’anni e della vita sociale
di Torino sono ampiamente riversati in un romanzo attraverso una poderosa
autoreferenzialità, che finisce col farti sperare ad ogni capitolo che l’autore
la pianti di parlarsi addosso.
L’iniziare quasi tutti i
capitoli esplicando, quasi in forma di dogma, un concetto che poi verrà
suffragato dai fatti narrati, carica non poco la struttura del romanzo insieme
allo stile di scrittura contorto, ricco di incisi e di subordinate, e se ciò ti
fa apprezzare l’erudizione dell’autore, d’altra parte ti fa desiderare di
leggere qualcosa di più fluido e lineare.
Pur apprezzando il finale
del libro, una volta terminato, intorno alla mezzanotte di una sera in cui il
sonno stentava a venire, dopo averlo posato sul comodino mi sono ingoiato un
paio di racconti di Murakami: acqua pura, stilisticamente rinfrescante,
sorbetto sgrassante dopo una pietanza troppo complessa.
Il Lettore
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