giovedì 30 gennaio 2014

Il grande libro di Simon’s cat

Torniamo ai fumetti, o meglio alle strisce, ai cartoons e alle vignette con le quali Simon Tofield racconta la convivenza con il suo gatto in una serie esilarante di situazioni che possono essere riscontrate da tutti i possessori (o meglio: posseduti) di un felino domestico. Nella vita reale Tofield di gatti ne ha quattro, dal cui normale comportamento trae lo spunto per ironizzare sulla coesistenza umano/felina con quell’irresistibile humour britannico che ha permesso al suo personaggio di diventare in breve tempo un fenomeno del web con più di 400 milioni di visualizzazioni su Youtube.


Dagli inizi del Novecento ad oggi il mondo del fumetto e delle arti illustrate ha sfornato una miriade di personaggi in forma di gatto (da Mio Mao a Garfield, a Huckle, a Silvestro a Felix a Jiji a Zorba a Tom a Romeo al Gatto con gli Stivali a Birba a Gambadilegno a Lucifero allo Stregatto e a tutti gli altri gatti con o senza nome che ora non mi vengono in mente), e questo simpaticissimo micio è solo uno degli ultimi della serie di felini che ha saputo divertire milioni di persone.
Simon’s cat non ha un nome, è solo il gatto di Simon, a differenza del Nuovo Arrivato (da chissà dove), un micino pestifero che ne combina di tutti i colori facendo imbestialire sia Simon che il suo gatto e che in alcuni episodi prenderà il nome di Teddy.
Il gatto di Simone invece è un adulto con la fissazione del cibo, adorabile ma tendente all’anarchia come tutti i gatti e disposto a qualsiasi bassezza, anche a travestirsi da nido, pur di soddisfare la sua mania alimentare. I personaggi che lo contornano spaziano da uccelli a porcospini, da cani a conigli e non può mancare il nanetto da giardino al quale il gatto cerca in più di un’occasione di addossare la colpa delle proprie nefandezze. Se volessimo fare un paragone lo potremmo avvicinare al Garfield delle prime strisce: cinico, menefreghista, egocentrico e tendente alla pinguedine, ma a differenza del personaggio di Jim Davis il nostro eroe non si esprime attraverso parole o pensieri ma unicamente con la gestualità, limitandosi a dei concisi “mao” quando vuole attirare l’attenzione in maniera più decisa.


Lo stile del disegno è semplicissimo, lineare e quasi stilizzato con un uso di chiaroscuri molto limitato, ma nonostante ciò Tofield riesce a rendere perfettamente le tipiche espressioni dei gatti giocando su minime variazioni della forma degli occhi (costituiti solo da un cerchio con un punto all’interno), di bocca, naso e orecchie, trasmettendo con precisione al lettore gli stati d’animo e le intenzioni che animano le bestiole.


Come possono concordare tutti coloro che convivono con dei gatti, la casa di Simon è perennemente uno sfacelo, qualsiasi iniziativa lui si appresti ad intraprendere è destinata al fallimento e anche l’attività più semplice, come mangiare un panino, dormire o lavarsi i denti, viene complicata fino all’esasperazione dalla presenza di questi pericolosi agenti disturbatori in forma di peluche.
Come la bastarda che mi sta passeggiando sulla tastiera del computer e sembra che ora stia facendo proprio lo stesso gesto del gatto di Simon: quell’indice puntato ad indicare una piccola bocca spalancata.


Il Lettore

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