venerdì 20 settembre 2013

La libreria del buon romanzo

A proposito di buoni romanzi e dei romanzi che parlano di romanzi, ovvero: come rovinare un’idea magnifica.


Il libro di Laurence Cossé è imperniato su un plot davvero affascinante: i due protagonisti decidono di aprire a Parigi una libreria nella quale saranno venduti esclusivamente buoni romanzi, e a decidere se un romanzo appartiene o meno a questa categoria sarà un comitato di scrittori rigorosamente anonimi.  Quindi fuori tutto ciò che non è romanzo, e soprattutto fuori i romanzi cattivi. La libreria ha un immediato successo di pubblico e vendite e diventa un luogo nel quale si ritrovano tutti coloro che amano la buona letteratura, certi di non restare mai delusi nelle loro aspettative. Ma ben presto cominciano i boicottaggi anche sotto forma di vere e proprie azioni criminose che danno al romanzo il tono del giallo, e non manca neppure la vena color rosa oltre alla continua dichiarazione d’amore dell’autrice nei confronti dei buoni romanzi.
L’idea è veramente geniale, peccato però che l’autrice ben presto si trasformi in una ragioniera logorroica analizzando tutti, ma dico tutti, i risvolti burocratico-commercial-finanziari dell’operazione, a scapito della fluidità di lettura e della tensione narrativa innescata dall’aspetto giallo. Alternate a parti in cui emerge prepotente l’amore per i libri e per i romanzi meritevoli si incontrano lentissime successioni di accadimenti superflui, riflessioni pedanti, continui problemi personali dei personaggi e plateali atti d’accusa contro l’egemonia commerciale di un complesso sistema di case editrici votate più al guadagno che alla letteratura, che hanno dissacrato la cultura riducendola ad una demagogia volta a spingere l’immissione sul mercato di opere senza alcun merito se non quello di essere capaci di fare cassetta. Come dice uno dei personaggi, è la paccottiglia che ti fa fare i soldi, non le opere che meritano. E se questo è un fenomeno che anche qui in Italia sta andando avanti da parecchi anni ed è lodevole che venga denunciato, resta il fatto che in questo modo l’autrice ha reso noioso un romanzo che avrebbe potuto essere veramente valido.
In poche parole, dopo un inizio interessante l’opera diventa veramente troppo lunga e lenta, l’aspetto giallo passa in secondo piano ed è risolto in maniera arruffata, la storia d’amore appare come minimo poco verosimile e un po’ patetica e le polemiche librarie, peraltro giustissime, sono scritte in un tono più da articolo di quotidiano che di romanzo. Ma è possibile anche che la traduzione abbia fatto la sua parte nel peggiorarlo.
Peccato, perché le prime pagine sono intriganti e creano delle aspettative che purtroppo con il proseguire della lettura vengono deluse.
Ciò che resta, e di cui comunque va dato merito all’autrice, sono l’atto d’accusa nei confronti del sistema editoriale e l’esternazione dell’amore per la buona letteratura.
Il Lettore

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