A proposito di buoni
romanzi e dei romanzi che parlano di romanzi, ovvero: come rovinare un’idea magnifica.
Il libro di Laurence Cossé è imperniato su un plot davvero affascinante: i due
protagonisti decidono di aprire a Parigi una libreria nella quale saranno
venduti esclusivamente buoni romanzi,
e a decidere se un romanzo appartiene o meno a questa categoria sarà un
comitato di scrittori rigorosamente anonimi.
Quindi fuori tutto ciò che non è romanzo, e soprattutto fuori i romanzi
cattivi. La libreria ha un immediato successo di pubblico e vendite e diventa
un luogo nel quale si ritrovano tutti coloro che amano la buona letteratura,
certi di non restare mai delusi nelle loro aspettative. Ma ben presto
cominciano i boicottaggi anche sotto forma di vere e proprie azioni criminose
che danno al romanzo il tono del giallo, e non manca neppure la vena color rosa
oltre alla continua dichiarazione d’amore dell’autrice nei confronti dei buoni
romanzi.
L’idea è veramente geniale,
peccato però che l’autrice ben presto si trasformi in una ragioniera logorroica analizzando tutti, ma dico tutti, i risvolti
burocratico-commercial-finanziari dell’operazione, a scapito della fluidità di
lettura e della tensione narrativa innescata dall’aspetto giallo. Alternate a
parti in cui emerge prepotente l’amore per i libri e per i romanzi meritevoli
si incontrano lentissime successioni di accadimenti superflui, riflessioni
pedanti, continui problemi personali dei personaggi e plateali atti d’accusa
contro l’egemonia commerciale di un complesso sistema di case editrici votate
più al guadagno che alla letteratura, che hanno dissacrato la cultura
riducendola ad una demagogia volta a spingere l’immissione sul mercato di opere
senza alcun merito se non quello di essere capaci di fare cassetta. Come dice
uno dei personaggi, è la paccottiglia che ti fa fare i soldi, non le opere che
meritano. E se questo è un fenomeno che anche qui in Italia sta andando avanti
da parecchi anni ed è lodevole che venga denunciato, resta il fatto che in
questo modo l’autrice ha reso noioso un romanzo che avrebbe potuto essere
veramente valido.
In poche parole, dopo un
inizio interessante l’opera diventa veramente troppo lunga e lenta, l’aspetto
giallo passa in secondo piano ed è risolto in maniera arruffata, la storia
d’amore appare come minimo poco verosimile e un po’ patetica e le polemiche
librarie, peraltro giustissime, sono scritte in un tono più da articolo di
quotidiano che di romanzo. Ma è possibile anche che la traduzione abbia fatto
la sua parte nel peggiorarlo.
Peccato, perché le prime
pagine sono intriganti e creano delle aspettative che purtroppo con il
proseguire della lettura vengono deluse.
Ciò che resta, e di cui comunque
va dato merito all’autrice, sono l’atto d’accusa nei confronti del sistema editoriale
e l’esternazione dell’amore per la buona letteratura.
Il Lettore
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