Una
delle cose che adoro fare
quando sono in casa altrui è esaminarne le librerie.
Non mi interessano le
Poltrone Frau né il televisore da 98 pollici né il modernissimo robot
installato in cucina né tantomeno l’angolo attrezzato a sauna e palestra
ipertecnologica. Ma le librerie sì. Anche le scrivanie, devo dire, e i secretaire e le sobrie ribaltine in
legno con i cassetti colmi di strumenti per lo scrivere, ma questa può essere
considerata un’estensione dell’interesse primigenio.
Contemplando i titoli
presenti nelle librerie degli altri può capitare che prendi in mano un volume
che ti ha colpito, e quando questo succede nell’invidiabile
biblioteca di un amico, e quando l’amico ti si avvicina e ti dice piano: “Ah, quello! È veramente carino…”, ecco, quelle
semplici parole ti scatenano dentro un irresistibile desiderio di leggere quel
libro, e non puoi assolutamente fare a meno di chiederglielo in prestito (prima
o poi dovrò scrivere un post sui
libri in prestito, è un argomento da sviluppare).
Il saggio di Fernando Ortiz che mi aveva incuriosito
è stato pubblicato nella collana Il Ramo d’Oro di Rizzoli Editore, in uno di
quei formati minuscoli veramente tascabili, sia pure con rilegatura a filo,
copertina rigida e sovracoperta che lo etichettano come un’edizione di lusso.
Uno di quei libri che già il tenerlo in mano e lo sfogliarlo ti procurano un
piacere di quelli che solo chi lo prova può comprenderlo.
Fernando Ortiz è stato un
antropologo cubano di fama planetaria e nel 1955 è stato anche candidato al
Premio Nobel per la Pace. Sulla base delle sue profonde conoscenze in campo etnologico
e musicale ha scritto questo saggio alla fine degli anni ’30 conferendogli un aspetto da partitura bachiana: una
disputa, un litigio, una diatriba, uno scambio di opinioni, una controversia
tra due poli opposti come aveva già fatto il reverendo Juan Ruiz nella sua Lite che
ebbe Don Carnevale con Donna Quaresima.
Il Contrappunto del tabacco e dello zucchero evidenzia, come dice lo
stesso Ortiz, “i sorprendenti contrasti
che abbiamo còlto fra i due prodotti agricoli fondamentali della storia
economica di Cuba”.
Un saggio ma anche un
mirabile esempio di letteratura, un esercizio di prosa che sconfina spesso
nella poesia: per descrivere i pregi di questo libricino in modo molto migliore
di quanto io possa permettermi ve ne riporto direttamente un brano di quelli da
far rimanere del tutto affascinati. Anche se è un po’ lungo, vedrete che poi mi
ringrazierete per averlo trascritto:
“La canna da zucchero e il tabacco sono un
totale contrasto. Si direbbe che una costante rivalità li anima e li separa fin
dalla culla. La prima è una graminacea, il secondo una solanacea. L’una spunta
dal germoglio, l’altro dal seme: quella da grandi pezzi di fusto con nodi che
mettono radici, questo da minuscoli semi che germinano. La prima ha la sua
ricchezza nel fusto, e non nelle foglie che si buttano via; il secondo nelle
sue foglie, e non nel gambo che si disdegna. La canna da zucchero vive nel
campo per molti anni, il cespo di tabacco solo per brevi mesi. Quella cerca il sole, questo l’ombra: giorno e
notte, sole e luna. Quella ama la pioggia caduta dal cielo, questo l’ardore
emanante dalla terra. Dal tallo della canna si ricava il succo per il profitto,
dalle foglie di tabacco si elimina il succo perché guasta. Lo zucchero perviene
al suo scopo umano grazie all’acqua che lo stempera riducendolo a sciroppo, il
tabacco ci arriva grazie al fuoco che lo volatilizza convertendolo in fumo.
Bianco è il primo, bruno il secondo; dolce e senza odore lo zucchero, amaro e
aromatico il tabacco. Sempre contrasto! Alimento e veleno, ridestare e
assopire, energia e fantasticheria, piacere della carne e diletto dello
spirito, sensualità ed escogitazione, appetito che si soddisfa e illusione che
sfuma, calorie di vita e spirali di fantasia, indistinzione volgaruccia e
anonima fin dalla culla e individualità aristocratica e di marca in tutto il
mondo, medicina e magia, realtà e inganno, virtù e vizio. Lo zucchero è
femminile, è lei,
il tabacco è lui… La canna fu un dono
degli dèi, il tabacco dei demoni; la canna è figlia di Apollo, il tabacco un
parto di Proserpina…”
Bello, vero?
E nel proseguire del battibecco
continuo, quasi un dialogo socratico, Ortiz trasforma i due protagonisti nei
personaggi principali della storia di Cuba dando modo loro di spiegare passato
e presente della società latino-americana, di operare un’analisi del patrimonio
indigeno di conoscenze e di identificarsi nell’essenza cubana stessa.
Una vera e propria
“chicca”, di quelle che una volta lette vorresti non doverle restituire al
legittimo proprietario…
Il Lettore
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