Neanche
a farlo apposta, poco
tempo dopo aver letto Il suggeritore
mi è stato prestato - di sicuro io non l’avrei mai comperato - quest’altro
lavoro di Donato Carrisi,
pubblicizzato come una conferma delle doti romanzesche dell’autore dopo il
successo dell’esordio.
Be’, la conferma c’è stata
veramente. A quello che avevo già scritto.
In questo secondo thriller
Carrisi prosegue con l’inverosimile,
pigiando al massimo l’acceleratore sulla ricerca di continui colpi di scena per
stupire il lettore, colpi di scena che quando diventano troppi non riescono a
ottenere altro che annoiarti. In più ho trovato il libro sconclusionato,
confusionario, zeppo di salti temporali caotici e in fondo noioso quando invece
cerca di sorprenderti.
Anche
in questo caso, come nel
precedente, le azioni dei protagonisti mancano di motivazioni valide e quello
che sembra essere il dono dell’ubiquità di cui è dotato uno dei personaggi
principali, visto che è sempre presente nel posto giusto al momento giusto, fa
veramente sorridere.
Come tematica, quella dei
“Penitenzieri” sarebbe anche stata interessante – mi ha ricordato un poco la
setta degli “Illuminati” di Dan
Brown – come intriganti sarebbero potute essere le visite nelle buie chiese di
Roma – ancora una volta mi hanno fatto venire in mente “Angeli e demoni” di Dan Brown – o i rapporti con tele dipinte da
artisti famosi – toh, come nel “Codice
da Vinci” di Dan Brown – e le risoluzioni degli enigmi in cui si imbatte
continuamente il protagonista – ora ho rammentato
come li risolveva il Robert Langdon
di Dan Brown – solo che in questo caso gli enigmi sono risolti più per
improvvisa illuminazione divina che per ragionamento deduttivo.
In fondo il libro mi è
parso veramente modesto sia per stile che per contenuti, e anche questo
conferma la mia convinzione di sospettare
sempre della pubblicità tessuta
intorno ad un titolo, che il più delle volte si rivela come una pura operazione
commerciale per un prodotto oltretutto scadente, tesa solamente a prendere per
i fondelli un popolo di lettori che non se lo merita proprio.
Il Lettore
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