Al momento, Michele Giuttari passa il suo tempo tra
lo scrivere libri e le comparsate televisive, ma dal 1995 al 2003 ha ricoperto
il ruolo di capo della Squadra Mobile di Firenze e ciò gli ha permesso di
riportare le sue personali esperienze investigative in questo Il mostro, anatomia di un’indagine, nel
quale ricostruisce gli itinerari percorsi da polizia e magistratura nella
vicenda dei sedici omicidi attribuiti al “mostro di Firenze”.
Il libro non è un romanzo ma la cronaca,
presuppongo veritiera, delle ricerche condotte
dagli inquirenti per giungere alla ricostruzione di che cosa è veramente
successo nelle campagne intorno a Firenze tra il 1974 e il 1985. Non è un
romanzo e non si legge nemmeno come un romanzo, a causa del lessico e dello stile
da poliziotto, e mi auguro che per gli altri suoi romanzi “veri”, che non ho
letto, Giuttari abbia utilizzato un linguaggio più consono e scorrevole. E
comunque il tono, soprattutto nelle ultime pagine, è quello dell’autore che ha
voluto togliersi diversi sassolini dalle scarpe.
Non
mi sono mai lasciato irretire
dal fascino pompato dall’eco mediatico dei delitti che fanno scalpore, anzi, ho
sempre odiato l’abitudine dei quotidiani locali e non di inserire nelle
locandine, per fare cassetta, reiterati titoloni altisonanti anche quando non
avevano nulla di nuovo da dire sulla tragedia del momento, e di conseguenza ho
letto il libro in maniera non condizionata dalle numerose voci di corridoio e
dagli infiniti richiami giornalistici.
Quello che ne è emerso è un
panorama desolante sia della vicenda
in sé che dei meccanismi che ne hanno permesso, ma solo in parte, la
ricostruzione.
Nel suo libro Giuttari
porta solo fatti, non teorie, e
fornisce la sua versione cronologica del riesame degli episodi di sangue e
delle investigazioni da lui stesso compiute, e proprio dal succedersi dei fatti
appare una realtà agghiacciante, non solo perché a distanza di anni e dopo
decenni di investigazioni non si è arrivati a chiarire per nulla una vicenda
squallida maturata in ambienti di provincia, quanto per ciò che si legge tra le
righe della cronaca: indagini talora ammirevolmente professionali, ma più
spesso portate avanti all’insegna del dilettantismo, ingiustificabili carenze
di collegamenti tra gli organismi statali, la farraginosità degli obblighi
procedurali, dimenticanze incomprensibili e ingiustificabili da parte di autorità
ufficiali, la burocrazia che lega le mani alla polizia stessa, l’omertà in seno
agli stessi enti preposti a combatterla, l’influenza nefasta di oscuri
personaggi indirizzata a tacitare e confondere una possibile risoluzione.
È una storia che si legge
con stupore e alla fine lascia insoddisfatti, sia per la mancanza di un finale
positivo che plachi il desiderio di giustizia, sia per la carenza di fluidità
nello stile dell’autore.
E in fondo, noi abituati a
guardare CSI si rimane meravigliati e in un certo qual modo delusi dalla realtà
dello stato delle investigazioni nostrane.
Il Lettore
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