Tempo fa mi ha chiamato un conoscente - al telefono era un po’
titubante - e mi ha chiesto se per cortesia potevo dare un’occhiata ad un
romanzo che aveva appena finito di scrivere. Era venuto a sapere di questa mia attività di valutatore, e aveva pensato
di poter ottenere da me una conferma ai giudizi positivi che aveva già ricevuto
da alcuni suoi amici prima di spedire il romanzo a qualche casa editrice. Gli
ho risposto che lo avrei fatto volentieri appena avessi trovato un po’ di
tempo, e dopo una quindicina di giorni ho cominciato a leggere il suo lavoro
sperando tra me e me che risultasse per lo meno passabile, anche se da quando
m’era arrivato il testo avevo notato che c’era in esso un qualcosa di
indefinibile che fin dal titolo mi aveva fatto presagire una possibile
conclusione.
E una volta iniziata la
lettura, già dopo poche pagine sono
caduto nello sconforto: il lavoro che alcuni suoi “amici” avevano giudicato
molto buono a me invece appariva scialbo, piatto, la trama scontata, i
personaggi senza spessore, ingenuo, costellato di errori di ortografia e di
sintassi e di virgole tra soggetto e predicato, ridondante di aggettivi,
avverbi e inutili specificazioni e in definitiva del tutto mancante di stile e
struttura. Una vera delusione.
Qualche volta mi assale il dubbio che io sia un critico
troppo severo nei confronti delle opere che leggo… ma no, non lo sono, anzi, più
leggo e vado avanti e più mi convinco di avere quasi sempre ragione. La qualità
della letteratura sta calando a picco: date un’occhiata per esempio al premio
Bancarella 2013 e a tutte le sue
recensioni (non solo quelle pubblicitarie), e qualcuno deve pur fare qualcosa
per spargere la voce.
Ma ora il problema che mi
si poneva era un altro: come comunicarglielo?
Avrei potuto dirgli “be’, non sarebbe male, ma…”, oppure “sì, carino, ma…”; di certo non potevo
affrontarlo di petto sparandogli un “guarda,
fa proprio schifo, è una cagata mostruosa, invece di scrivere faresti meglio a continuare ad andare a
vedere le partite di calcio che ti piacciono tanto” come invece avrei
voluto. Non potevo proprio.
Invece è proprio quello che
ho fatto, ritenendo che addolcire la pillola sarebbe stato ipocrita da parte
mia e del tutto inutile per lui. Senza considerare che se glielo avessi
promosso mi sarebbe toccato fra sei mesi di dover leggere anche il seguito.
Se un amico vi chiede
un’opinione sul proprio romanzo e questo è una porcata, dovete dirglielo senza tacere nulla. Ad eccezione della vostra amicizia ne guadagneranno tutti.
Con altre parole, ovvio:
“Guarda, secondo me, ed è un’opinione personale, bada bene, al tuo
romanzo manca una certa, come dire, esperienza. Ti sei lasciato trasportare
dall’entusiasmo e non hai considerato che enfatizzare troppo certe situazioni
le rende difficilmente apprezzabili da parte di un pubblico maturo. Del resto
hai solo 34 anni, hai tutto il tempo che vuoi per affinare il tuo stile. Sì,
ogni tanto c’è anche qualche errore, ma cosa vuoi, quelli scrivendo di getto ci
scappano sempre, l’importante è poi eliminarli in fase di correzione, così come
i refusi. E magari sfoltire un poco gli avverbi e gli aggettivi. Secondo me
così com’è non funziona del tutto bene, ma intendi, non è che sia da buttare
via, con un po’ di lavoro potrai di certo migliorarlo, che so, sistemare
qualche virgola, cambiare qualche metafora un po’ troppo scontata, aggiustare
un pochino la trama…”
Eccetera.
Non l’ha mica presa bene.
Non la prendono mai, bene.
“Agli altri che l’hanno letto è piaciuto molto” ha ribattuto guardando
da un’altra parte.
“Infatti la mia è solo un’opinione personale” ho risposto.
“E mi hanno consigliato di spedirlo a qualche editore.”
“Certo, lo puoi mandare tranquillamente. Ma magari prima sarebbe il caso
di correggere tutti quegli errori d’ortografia. Sai, per fare un’impressione migliore.”
“Mi hanno detto che è uno dei romanzi più interessanti che abbiano mai
letto.»
“Non lo metto in dubbio, dipende dalle letture che hanno fatto finora.”
“Proprio.”
“Già.”
“Io comunque lo spedisco.”
“Ma certo! Magari se fossi in te prima aggiusterei un poco la vicenda:
sai, al giorno d’oggi parlare di un amore contrastato con una proprietaria
terriera sullo sfondo di una guerra civile mi sembra leggermente anacronistico…”
“Ma è autobiografico!”
“Sei stato con una che si chiamava Scarlett?”
“Certo, per due anni a Nairobi, perché?”
“No,
nulla…”
Non
posso mica cambiare la mia vita!”
“No,
certo che no, ma magari un pochino… E se fossi in te riguarderei anche il
titolo.”
“Perché, cosa c’è che non va nel titolo?» mi ha risposto stizzito.
“Niente di grave, intendi, solo che secondo me La mia Africa nel
vento non è che sia così facilmente
comprensibile…”
Il Valutatore & lo
Scrittore
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