Insieme a tutti i romanzi
della George il mio editor mi ha
fornito anche 7-8 romanzi di Jussi
Adler-Olsen.
Nonostante le avessi detto
che il primo non è che mi avesse
soddisfatto un gran che.
“A me sono piaciuti.” È stata la risposta. Va be’, forse avrà
ragione lei, ho pensato, diamole fiducia. E così, nonostante non mi attirasse
molto, ho messo mano a questa Battuta di
caccia, il secondo della serie
dell’ispettore Mørck e della sezione Q che si occupa di cold cases.
La recensione al primo caso
la trovate qui, e questo romanzo è
stata proprio una conferma.
In negativo.
In negativo.
Ho retto una cinquantina di
pagine, poi l’ho abbandonato, quindi non chiedetemi come va a finire. Stavolta
i cattivi si sa da subito chi sono e quindi non c’è da capire nulla, se non
come possa un investigatore asfittico e insignificante
riuscire a risolvere la faccenda. Lo aiuterà il collaboratore Assad, che già l’altra volta mi era
parso molto più interessante del protagonista, ma stavolta non brilla nemmeno
lui, perlomeno nelle prime cinquanta pagine. Vi chiederete: ma rimani col
dubbio? La risposta è sì, senza alcun tipo di rimpianto, rimango col dubbio, ma
neanche me ne importa più di tanto e non sento proprio la curiosità.
Quando un libro ti annoia, ti
mette pensiero ogni volta che lo apri, il protagonista non ti è simpatico,
quello che fa non ti interessa, i personaggi di contorno sono facilmente
ignorabili e in più non è scritto nemmeno superlativamente bene da poter dire
va be’, lo finisco per la scrittura, non vengono rimorsi per l’abbandonarlo,
tutto tempo guadagnato per leggere qualcos’altro di più meritevole.
Checché ne dica il mio editor, anche se viene tradotto in una
quarantina di lingue e vende milioni di copie, a me questo danese non prende
proprio. Sarà difficile che ci riprovi una terza volta.
Il Lettore
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