Questo romanzo d’esordio di Andrea Molesini ha scatenato una
polverosa bagarre tra sostenitori e
detrattori: c’è chi lo considera un romanzo bellissimo e chi una porcata noiosissima,
e se si dovesse basare il se leggerlo o no sulle recensioni degli altri non si
saprebbe proprio cosa fare.
La verità sta nel mezzo, diceva quello, e quando non sai
cosa fare un buon criterio al quale attenersi è quello di toccare con mano.
Io personalmente faccio parte
della schiera di quelli ai quali è piaciuto
anche se posso capire, ma non condividere, le ragioni per cui a molti ha fatto
schifo.
Molesini ha ripreso il diario
di una sua parente che è passata attraverso le vicissitudini narrate nel libro
e lo ha romanzato, creando così un racconto storico ambientato nella villa nobile di un paese veneto nell’ultimo
anno della Prima Guerra Mondiale, tra la disfatta di Caporetto e la cacciata definitiva
degli austriaci, quando buona parte del territorio era stata occupata dalle truppe austro-ungariche.
Le vite dei legittimi
proprietari della villa si intrecciano con quelle degli invasori, e chi fa da
vero protagonista è l’atrocità della
guerra. Il passaggio del fronte e l’invasione provocano una serie inenarrabile
di tragedie: la fame, i corpi dei soldati dilaniati dai bombardamenti, gli
odori disgustosi, le esecuzioni sommarie, gli atti di eroismo, gli stupri, i
vili tradimenti e la disperazione sono i temi portanti della narrazione,
condotta con un linguaggio semplice senza quei complicati abbellimenti “stilistici”
che in molti usano al giorno d’oggi per far vincere un premio al proprio libro.
Strano infatti che il Premio Campiello 2011 questo romanzo l’abbia
vinto, e questo è motivato dai suoi detrattori con la sola ragione che esso è
ambientato proprio nella regione stessa in cui si tiene il concorso. Così come
in molti dicono che la narrazione è noiosa e ripetitiva: in effetti la seconda
parte del libro ha il ritmo un po’ lento, ma questo nell’economia complessiva della struttura del romanzo è giustificato dal
voler descrivere la situazione di stallo dei mesi morti tra l’occupazione della
villa e le tragiche vicende finali della terza parte.
Secondo me invece Molesini ha
fatto un buon lavoro, caratterizzando egregiamente tutti i personaggi con una
serie di particolarità
comportamentali che li rendono subito riconoscibili e ricordabili, e inserendo il
dialetto nei dialoghi per meglio sottolineare l’appartenenza a quel determinato
ceppo etnico. E non dimentichiamo che l’autore, pur essendo questo il suo primo
romanzo, è un professionista del settore, e questo si nota dalle tecniche
stilistiche utilizzate, come quella di inserire un “tormentone” ricorrente ― Diambarne de l’ostia! ― che ricorda il Maledetti i Zorzi Vila! di Antonio Pennacchi. Del resto i
protagonisti sempre veneti erano, e tra le vicende ci sono stati solo vent’anni
di differenza.
Mi piacerebbe analizzare altre critiche che sono
state mosse a questo romanzo, per controbatterle, ma così facendo sarei
costretto a scendere nei particolari e rivelarvi alcuni episodi sostanziali che
pregiudicherebbero il vostro piacere della scoperta del finale qualora vi accingeste
alla lettura. Sarebbe come se vi raccontassi, senza che voi l’abbiate letto, che
il critico ha reputato eccessiva la
morte di Giulietta e Romeo.
Ma fidàtevi, io l’ho trovato
un buon romanzo e sono convinto che possa piacere a molti.
Una curiosità carina è il
venire a conoscenza, leggendo, della ragione
da cui deriva il titolo del romanzo,
che non ha nulla o quasi a che vedere con le vicende narrate.
Ma non vi rivelo nemmeno
questo, scopritevelo da soli.
Il Lettore
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