martedì 9 agosto 2016

Non tutti i bastardi sono di Vienna

Questo romanzo d’esordio di Andrea Molesini ha scatenato una polverosa bagarre tra sostenitori e detrattori: c’è chi lo considera un romanzo bellissimo e chi una porcata noiosissima, e se si dovesse basare il se leggerlo o no sulle recensioni degli altri non si saprebbe proprio cosa fare.
La verità sta nel mezzo, diceva quello, e quando non sai cosa fare un buon criterio al quale attenersi è quello di toccare con mano.
Io personalmente faccio parte della schiera di quelli ai quali è piaciuto anche se posso capire, ma non condividere, le ragioni per cui a molti ha fatto schifo.




Molesini ha ripreso il diario di una sua parente che è passata attraverso le vicissitudini narrate nel libro e lo ha romanzato, creando così un racconto storico ambientato nella villa nobile di un paese veneto nell’ultimo anno della Prima Guerra Mondiale, tra la disfatta di Caporetto e la cacciata definitiva degli austriaci, quando buona parte del territorio era stata occupata dalle truppe austro-ungariche.
Le vite dei legittimi proprietari della villa si intrecciano con quelle degli invasori, e chi fa da vero protagonista è l’atrocità della guerra. Il passaggio del fronte e l’invasione provocano una serie inenarrabile di tragedie: la fame, i corpi dei soldati dilaniati dai bombardamenti, gli odori disgustosi, le esecuzioni sommarie, gli atti di eroismo, gli stupri, i vili tradimenti e la disperazione sono i temi portanti della narrazione, condotta con un linguaggio semplice senza quei complicati abbellimenti “stilistici” che in molti usano al giorno d’oggi per far vincere un premio al proprio libro.
Strano infatti che il Premio Campiello 2011 questo romanzo l’abbia vinto, e questo è motivato dai suoi detrattori con la sola ragione che esso è ambientato proprio nella regione stessa in cui si tiene il concorso. Così come in molti dicono che la narrazione è noiosa e ripetitiva: in effetti la seconda parte del libro ha il ritmo un po’ lento, ma questo nell’economia complessiva della struttura del romanzo è giustificato dal voler descrivere la situazione di stallo dei mesi morti tra l’occupazione della villa e le tragiche vicende finali della terza parte.
Secondo me invece Molesini ha fatto un buon lavoro, caratterizzando egregiamente tutti i personaggi con una serie di particolarità comportamentali che li rendono subito riconoscibili e ricordabili, e inserendo il dialetto nei dialoghi per meglio sottolineare l’appartenenza a quel determinato ceppo etnico. E non dimentichiamo che l’autore, pur essendo questo il suo primo romanzo, è un professionista del settore, e questo si nota dalle tecniche stilistiche utilizzate, come quella di inserire un “tormentone” ricorrente ― Diambarne de l’ostia! ― che ricorda il Maledetti i Zorzi Vila! di Antonio Pennacchi. Del resto i protagonisti sempre veneti erano, e tra le vicende ci sono stati solo vent’anni di differenza.
Mi piacerebbe analizzare altre critiche che sono state mosse a questo romanzo, per controbatterle, ma così facendo sarei costretto a scendere nei particolari e rivelarvi alcuni episodi sostanziali che pregiudicherebbero il vostro piacere della scoperta del finale qualora vi accingeste alla lettura. Sarebbe come se vi raccontassi, senza che voi l’abbiate letto, che il critico ha reputato eccessiva la morte di Giulietta e Romeo.
Ma fidàtevi, io l’ho trovato un buon romanzo e sono convinto che possa piacere a molti.
Una curiosità carina è il venire a conoscenza, leggendo, della ragione da cui deriva il titolo del romanzo, che non ha nulla o quasi a che vedere con le vicende narrate.
Ma non vi rivelo nemmeno questo, scopritevelo da soli.
Il Lettore 

Nessun commento:

Posta un commento