Oggi parliamo di un libro
veramente importante.
Ho dovuto sospendere la lettura di questo romanzo
poche decine di pagine dopo averlo iniziato, ma in questo caso non perché non mi piacesse, quanto
piuttosto perché stavolta i temi affrontati da Jack London sono veramente angoscianti,
per non parlare della bravura con la quale li ha trattati che te li fa entrare
tutti dentro a martellarti la
coscienza.
Dopo un congruo lasso di
tempo che è servito a prepararmi psicologicamente l’ho ripreso e terminato in
pochi giorni, e alla fine devo concordare con colei che me lo ha gentilmente
prestato sul fatto che Il vagabondo
delle stelle è un romanzo bellissimo
e fondamentale, che tutti dovrebbero
leggere.
Nonostante abbia cento anni. Altro che le puttanate che scrivono oggi!
Questa storia, l’ultima scritta da London e pubblicata
nel 1915, è narrata in prima persona da Darrell
Standing, brillante docente di Agronomia all’Università della California,
mentre sta attendendo nel carcere di San Quentin che venga eseguita la propria condanna a morte. Standing era stato
condannato giustamente all’ergastolo per un omicidio a sfondo passionale, e
quindi di nuovo condannato (ingiustamente) a morte per essersi ribellato contro una guardia carceraria e averle
sferrato un pugno. Inoltre Standing è ritenuto a torto il depositario di un segreto pericoloso per il carcere, e
per questo motivo torturato in
continuazione per farglielo rivelare.
Da tutto ciò il tema portante del libro, che non è
altro che una fortissima denuncia
nei confronti sia della pena di morte che del sistema carcerario statunitense.
E vi assicuro che London (che tra l’altro in prigione c’era stato e quindi
sapeva bene di cosa parlava) riesce in modo sublime o farvi provare orrore dei fatti di cui narra.
Darrell
Standing viene sottoposto
alle più atroci sevizie per fargli
rivelare quel segreto che non conosce, tutto nella lunga attesa di essere
comunque ucciso: punizioni
corporali, calci nelle costole, privazioni di ogni tipo, fino
all’essere continuamente immobilizzato per più giorni di fila in una camicia di forza, in una segregazione
atroce a causa della quale già molti altri detenuti hanno trovato la morte.
Per sfuggire
all’inconcepibile dolore provocato
dalla camicia di forza, Standing comincia a elaborare un esercizio mentale del
tutto interiore, tutto basato sulla forza di volontà che lo fa estraniare dal suo corpo fino a costruire
mondi mentali veri quanto fossero reali e a scoprire che lui stesso non è altro
che la reincarnazione di altri se stesso che era stato in passato.
In quegli stati di incoscienza autoindotta, il professore
si trova a rivivere molte sue precedenti esistenze (e come non pensare a Gilgamesh?), ritrovandosi ora nel corpo
di un nobile spadaccino francese, ora in quello dello schiavo nordico Ragnar Lodbrog, diventato soldato tra i
legionari romani e che segue con occhio politicamente attento il calvario di Gesù Cristo, oppure un seguace
dell’arianesimo, o un ominide in migrazione dall’Europa all’Asia, un bambino
che viene ucciso da un gruppo di mormoni o un naufrago in un’isola deserta
fatta di sola pietra e molti altri, in una lunga serie di indicibili tragedie in ognuna delle quali si può
individuare un’allegoria, e che
testimoniano (ce ne fosse ancora bisogno) la ferocia dell’uomo nei confronti dell’uomo.
Come scrive lo stesso London:
“Lo stesso si può dire per quel che
differenzia l’uomo di oggi da quello di diecimila anni fa; sotto un sottile
rivestimento di moralità con cui si è ingentilito nel tempo, l’uomo resta quel
selvaggio che era diecimila anni fa”. E come dargli torto?
Molte delle storie raccontate
sono realmente accadute e London, oltre a calarsi personalmente al loro
interno, racconta le vicissitudini più atroci con uno stile semplicissimo,
senza alcun tipo di abbellimento da letterato, lasciando parlare i fatti stessi che, oltre a far provare
del raccapriccio al lettore, lo conducono a scoprire il pensiero dei più grandi
pensatori dell’umanità, da Confucio a Pascal.
Nel continuo passare dal buio
della cella d’isolamento ad una qualche vita precedente infatti, l’autore
nomina spesso filosofi e scienziati e si riallaccia a quelle loro idee che
riteneva valide, il tutto lasciando scorrere un’altissima tensione dovuta all’attesa dell’imminente esecuzione, esasperata a
sua volta dalle microtensioni indotte ognuna da ogni singola storia diversa da
tutte le altre e che non ti permette di lasciare il libro fino a che la vicenda
che stai leggendo non è terminata.
La degnissima conclusione di
una vita da scrittore, un grandissimo esempio di grandissima scrittura, con
tutta probabilità superiore a tutte
le altre opere per le quali London è diventato famoso. E del tutto differente dalla famosa “ricetta” per
scrivere romanzi di cassetta che lo stesso London fornisce nel suo Martin Eden, a riprova del concetto: ti dico come fare, ma non aspettarti che io lo faccia!
E fra le tante morali che è possibile carpire da
questo libro c’è anche quella relativa all’universo
femminile: oltre ad aver riempito il libro di personaggi femminili
estremamente positivi, London mette
nero su bianco in questo modo il suo pensiero nei confronti dell’altro sesso:
“Ciò nonostante, se rifletto su tutto questo con animo sereno, giungo
alla conclusione che la cosa più importante di tutta la vita, di tutte le mie
vite, per me e per tutti gli uomini, fino a quando le stelle si sposteranno nel
firmamento e non si arresterà il continuo mutamento dei cieli, è stata, è e
sarà la donna, più importante di
ogni nostra fatica o impresa, più grande d’ogni parto della fantasia e
dell’invenzione, più grande di qualsiasi battaglia, di qualsiasi osservazione
delle stelle, più grande di qualsiasi mistero… la cosa più grande di tutte è
stata la donna.”
Se non l’avete ancora fatto leggetelo,
merita veramente.
Il Lettore (ammirato dalla
bravura dell’autore)
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