E devo dire invece che, una
volta arrivato in fondo, questo romanzo mi
è piaciuto. Sì, perché aveva rischiato fortemente di essere piantato a metà
dopo un inizio che non mi aveva entusiasmato.
Sarà perché sono umbro, e quindi ombroso, e perugino purosangue, e perché nemo propheta in patria,
e perché il sentirsi ricordare le tue origini dà sempre un senso di
appartenenza che, per quanto tu possa andarne fiero, per noi umbri rimane un
aspetto da non mettere in piazza ma da tenere per noi, ma il leggere dialoghi
in un perugino ottocentesco, per di
più contaminato da influenze ternane, all’inizio mi aveva dato un po’ fastidio.
E non solo il perugino, ma
anche diversi altri aspetti di
questo La foglia grigia mi stavano
conducendo sulla soglia dell’abbandono quali la struttura caotica, i frequenti
salti temporali della vicenda e i diversi punti di vista dei protagonisti, ma
soprattutto i rallentamenti nella lettura indotti sia da frequenti dialoghi in
stile ottocentesco che dalle spiegazioni sulla politica locale e nazionale
all’indomani dell’unità d’Italia.
D’altra parte la vicenda è
avvincente, la tematica interessante e i capitoli d’azione sono
sufficientemente veloci e incisivi, perfino drammatici, da permetterti di
proseguire la lettura. In effetti si notano parecchie differenze nello stile
tra un capitolo e un altro, tanto da far pensare a una possibile scrittura a
due mani: un thriller in stile moderno contro l’adeguamento ai ritmi e alla
lingua dell’epoca. Questo aspetto è in parte spiegato da Alessandro Cannevale nella postfazione, in cui l’autore confessa di
aver ricevuto parecchi aiuti per quanto riguarda l’uso del dialetto, la
ricostruzione della Perugia
dell’epoca (nella quale peraltro un perugino si ritrova agevolmente) e quella
dell’inquadramento socio-politico con le varie lotte di potere tra Stato e
Chiesa, Polizia e Carabinieri, Superiori e Inferiori, Nobiltà e Plebe, Buoni e
Cattivi eccetera eccetera.
Ma una volta
contestualizzato il tutto le spiegazioni si riducono e i capitoli interessanti
prendono il sopravvento su quelli
noiosi, lasciando più spazio a una vicenda
di sangue, droga, doppie vite, sesso e potere che avrebbe potuto benissimo
essere ambientata al giorno d’oggi (ma vedrete che al giorno d’oggi, in effetti,
ci arriva…). E non mancano neppure plurimi colpi di scena finali.
Dal romanzo traspare il
notevole lavoro di ricerca che
l’autore deve avere svolto prima di mettersi a scrivere, sia per la
ricostruzione storica sia per gli aspetti inerenti i molti personaggi reali inseriti
nel romanzo (con parecchie libertà d’autore): da Cavour a Jack lo Squartatore,
da Papa Pecci a Giosuè Carducci all’uso della ghigliottina
a Perugia eccetera, ognuno dei quali deve aver richiesto parecchio studio per
il suo inquadramento coerente ai fini della storia.
Alla fine, ripeto, come
romanzo mi ha lasciato la bocca buona,
tanto da farsi perdonare i difetti in favore di una storia che di sicuro non
uscirà facilmente dalla memoria a lungo termine.
Una riflessione…: Giancarlo De Cataldo, Gianrico Carofiglio,
Alessandro Cannevale… Sarà perché i magistrati si divertono molto di più a
fare gli scrittori, che i tempi dei processi nel nostro paese assumono
dilatazioni bibliche?
E ti pareva che non mi
scappava la cattiveria giornaliera…
Il Lettore
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