mercoledì 14 gennaio 2015

La foglia grigia

E devo dire invece che, una volta arrivato in fondo, questo romanzo mi è piaciuto. Sì, perché aveva rischiato fortemente di essere piantato a metà dopo un inizio che non mi aveva entusiasmato.
Sarà perché sono umbroe quindi ombroso, e perugino purosangue, e perché nemo propheta in patria, e perché il sentirsi ricordare le tue origini dà sempre un senso di appartenenza che, per quanto tu possa andarne fiero, per noi umbri rimane un aspetto da non mettere in piazza ma da tenere per noi, ma il leggere dialoghi in un perugino ottocentesco, per di più contaminato da influenze ternane, all’inizio mi aveva dato un po’ fastidio.




E non solo il perugino, ma anche diversi altri aspetti di questo La foglia grigia mi stavano conducendo sulla soglia dell’abbandono quali la struttura caotica, i frequenti salti temporali della vicenda e i diversi punti di vista dei protagonisti, ma soprattutto i rallentamenti nella lettura indotti sia da frequenti dialoghi in stile ottocentesco che dalle spiegazioni sulla politica locale e nazionale all’indomani dell’unità d’Italia.
D’altra parte la vicenda è avvincente, la tematica interessante e i capitoli d’azione sono sufficientemente veloci e incisivi, perfino drammatici, da permetterti di proseguire la lettura. In effetti si notano parecchie differenze nello stile tra un capitolo e un altro, tanto da far pensare a una possibile scrittura a due mani: un thriller in stile moderno contro l’adeguamento ai ritmi e alla lingua dell’epoca. Questo aspetto è in parte spiegato da Alessandro Cannevale nella postfazione, in cui l’autore confessa di aver ricevuto parecchi aiuti per quanto riguarda l’uso del dialetto, la ricostruzione della Perugia dell’epoca (nella quale peraltro un perugino si ritrova agevolmente) e quella dell’inquadramento socio-politico con le varie lotte di potere tra Stato e Chiesa, Polizia e Carabinieri, Superiori e Inferiori, Nobiltà e Plebe, Buoni e Cattivi eccetera eccetera.
Ma una volta contestualizzato il tutto le spiegazioni si riducono e i capitoli interessanti prendono il sopravvento su quelli noiosi, lasciando più spazio a una vicenda di sangue, droga, doppie vite, sesso e potere che avrebbe potuto benissimo essere ambientata al giorno d’oggi (ma vedrete che al giorno d’oggi, in effetti, ci arriva…). E non mancano neppure plurimi colpi di scena finali.
Dal romanzo traspare il notevole lavoro di ricerca che l’autore deve avere svolto prima di mettersi a scrivere, sia per la ricostruzione storica sia per gli aspetti inerenti i molti personaggi reali inseriti nel romanzo (con parecchie libertà d’autore): da Cavour a Jack lo Squartatore, da Papa Pecci a Giosuè Carducci all’uso della ghigliottina a Perugia eccetera, ognuno dei quali deve aver richiesto parecchio studio per il suo inquadramento coerente ai fini della storia.
Alla fine, ripeto, come romanzo mi ha lasciato la bocca buona, tanto da farsi perdonare i difetti in favore di una storia che di sicuro non uscirà facilmente dalla memoria a lungo termine.
Una riflessione…: Giancarlo De Cataldo, Gianrico Carofiglio, Alessandro Cannevale… Sarà perché i magistrati si divertono molto di più a fare gli scrittori, che i tempi dei processi nel nostro paese assumono dilatazioni bibliche?
E ti pareva che non mi scappava la cattiveria giornaliera…
Il Lettore

Nessun commento:

Posta un commento