Ho cominciato a leggere
questo libro una mattina presto, e prima di pranzo ne avevo già divorato la
metà: non riuscivo a staccarmi dalle
sue pagine.
Sarà stata la vicenda,
l’uso ossessivo del presente indicativo che velocizza, il narrare in prima
persona (anzi, in prima persona plurale) che accelera, le frasi
secche, aspre e scioccanti che determinano un ritmo incalzante, la lucidità e
la spietatezza dell’autrice nel raffigurare gli orrori quotidiani della guerra,
ma questa lettura ha saputo prendermi come poche altre.
Per onestà dirò subito che
dalla seconda metà del romanzo centrale il ritmo rallenta e i periodi si fanno
più lunghi e articolati consentendo un più ampio respiro. Ciò è spiegato in
parte dall’intenzione di Agota Kristof
di rendere, all’inizio del Il grande
quaderno, il pensiero semplice e crudo dei due bambini narranti, ma anche
dal suo non padroneggiare perfettamente la lingua francese nella quale ha
scritto tutti i romanzi. Con il crescere dei protagonisti, e con il procedere
della scrittura nell’arco dei cinque anni che ha impiegato a scriverlo, è
migliorato da parte sua anche l’uso della lingua realizzando una stesura di
parecchio più complessa.
E per questo non lo celebrerò come un capolavoro, come
è stato invece definito dalla stragrande maggioranza delle persone che lo hanno
letto: secondo me, per poter affermare che un libro è un capolavoro bisogna
prima capirlo, e io non ci sono riuscito, come non ci sono riusciti tutti gli
altri che lo hanno letto. Sono convinto che chi sostiene di averci capito
qualcosa sia un emerito bugiardo. Se l’autrice si fosse limitata a scrivere il
primo romanzo avrebbe potuto veramente assurgere al ruolo di grande scrittrice,
ma con i successivi ha complicato le vicende in una maniera inesplicabile, alla
quale è difficile trovare una giustificazione. I critici, naturalmente, ci
riescono, attribuendo alla confusione dei ruoli dei protagonisti il significato
della difficoltà di collocare il proprio ruolo di origine, ma a me sembra
francamente un concetto tirato per i capelli, di quelli che possono uscire solo
dalla bocca di un critico. Di questo libro, tutte le persone normali non hanno capito una mazza.
Il racconto è
contestualizzato in un non ben definito paese dell’est europeo (con i caratteri
propri dell’Ungheria patria dell’autrice), teatro di guerre, invasioni e
rivoluzioni con al seguito tutte le tragedie sociali e personali che le
accompagnano, e si sviluppa su tre romanzi che descrivono le vicende di due
gemelli che finiscono con il rappresentare le vittime di tutte le guerre. Guerre
e regimi che distruggono cose, persone, sentimenti, vite.
Ma attenzione, non ci si
trova in presenza di una narrazione lineare, perché nel secondo romanzo, La prova, cambia il narratore e sono
stravolti i ruoli dei precedenti protagonisti, e nel terzo, La terza menzogna, i protagonisti sono
gli stessi ma con ruoli, storie e precedenti ancora una volta modificati, fino
al punto da non riuscire più a dare a nessuno un’esatta collocazione.
Si prova un senso di difficoltà nel seguire il dipanarsi
della vicenda, perché nonostante i protagonisti rimangano gli stessi cambiano
le loro ambientazioni e il loro stesso passato. Si resta confusi e non si sa
più se dare per buono ciò che è già acquisito o rimettere tutto in discussione
considerando ognuno dei tre romanzi come un’opera a sé stante avulsa da una
continuità, pur rimanendo fedele al contesto generale.
Il libro nel suo complesso
sconvolge e scandalizza, è potente, inquietante, ma arrivati alla fine
rimangono numerosi punti oscuri e non si capisce il perché l’autrice abbia
modificato di continuo le premesse fino ad incastrare i fatti in una
collocazione astrusa, come se si volessero inserire quadrati in forme
triangolari. Alla fine emerge solo che non esiste una sola realtà, il tutto è al
limite della pazzia contenuta in una delirante immaginazione, come se fossero vicende
ambientate su universi paralleli che possono anche essere quelli mentali.
A
posteriori provo un
certo senso di rimpianto per non essermi limitato a leggere solo il primo dei
tre romanzi, il migliore, sia come coerenza che come stile e piacere di
lettura, e di certo non avrei sentito la mancanza dei successivi che al
contrario hanno finito con l’inquinare il piacere provato all’inizio.
Il Lettore
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