Questo di Jonathan Safran Foer è un romanzo che
suscita reazioni decisamente contrastanti: non si può fare a meno di affermare
che è molto ma molto interessante, commovente e anche divertente, con
un’impostazione oserei dire davvero geniale, ma è anche complicato e alle volte
troppo confusionario per poter essere considerato un vero capolavoro.
Il racconto parte
dall’intenzione di un giovane ventiduenne
(cosa che l’autore, Jonathan, ha
fatto realmente) di ripercorrere le tracce del passato dei suoi avi andando a
ricercarle in una Ucraina diametralmente opposta agli Stati Uniti da cui è
partito. La cosa geniale è che la
vicenda è narrata da un ragazzo del luogo (Alex)
che accompagna il giovane nella ricerca con funzioni di interprete e
traduttore, insieme al proprio nonno che funge da autista e al loro cane, Sammy Davis Junior Junior, e il
linguaggio adoperato è quello stentato di una persona che l’inglese lo conosce
approssimativamente, e di conseguenza usa spesso vocaboli e frasi idiomatiche
non del tutto consone alla situazione. Questa trovata dell’ostacolo della
lingua, insieme al dover tradurre con ripetizioni continue i dialoghi tra i due
ad uso e consumo del nonno che ignora la lingua inglese, fornisce una serie di gag divertenti che stemperano il dramma
di fronte a cui si trova il giovane man mano che emergono i fatti terribili
della storia della sua famiglia: i pogrom,
gli eccidi compiuti dai nazisti, i tradimenti, la povertà e l’arretratezza
dell’Europa orientale.
La narrazione della ricerca
di Jonathan è alternata a capitoli
nei quali Jonathan stesso dipana gli avvenimenti storici della propria famiglia
a partire dal diciottesimo secolo, e da alcune lettere che Alex manda allo
stesso Jonathan, nelle quali parla dello scritto in formazione e della sua
intenzione di trasferirsi negli USA per diventare un commercialista.
Altre trovate tecniche
interessanti sono i dialoghi continui tra i protagonisti senza andare a capo
tra una frase e l’altra, la scrittura di interi periodi in maiuscolo o
maiuscoletto, l’assenza dei segni di interpunzione in molte parti della storia
della famiglia compresi i dialoghi, lunghi periodi a flusso di coscienza con un
layout a colonna singola stretta al centro della pagina, fino ad arrivare a due
pagine intere colme di un continuo “Stiamo scrivendo… Stiamo scrivendo…”.
Tutto ciò dà origine ad un
romanzo che sicuramente non è per tutti
e la cui lettura, sia pure sempre interessante, rimane piacevole solo a tratti,
mentre soprattutto nei capitoli iniziali genera una confusione per niente
facile da seguire e districare. Ma gli aspetti tragici sono descritti con
forza, e scorrendo il libro ci si ritrova in un’alternanza di sorrisi e stati
d’animo confusi o angoscianti, fino al ribrezzo per gli orrori di cui è capace
l’essere umano.
Un romanzo complesso e difficile, che non mi sento
di consigliare a chi cerca in un libro solo un sistema per rilassarsi dopo una
lunga giornata di lavoro, ma che d’altra parte può soddisfare pienamente quei
lettori più smaliziati che non si accontentano di una narrazione lineare e che
vengono mandati in brodo di giuggiole dai virtuosismi tecnici e/o dalle
tragedie.
Prima di renderli ai
legittimi proprietari, dello stesso autore ora devo leggere Molto forte, incredibilmente vicino,
altro romanzo giudicato da molti superiore a questo, e Se niente importa, un saggio che costituisce una forte condanna
degli allevamenti industriali di animali a fini alimentari.
Ma per il momento sento il
bisogno di dedicarmi a una lettura più leggera…
Il Lettore
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