martedì 29 luglio 2014

Ogni cosa è illuminata

Questo di Jonathan Safran Foer è un romanzo che suscita reazioni decisamente contrastanti: non si può fare a meno di affermare che è molto ma molto interessante, commovente e anche divertente, con un’impostazione oserei dire davvero geniale, ma è anche complicato e alle volte troppo confusionario per poter essere considerato un vero capolavoro.


Il racconto parte dall’intenzione di un giovane ventiduenne (cosa che l’autore, Jonathan, ha fatto realmente) di ripercorrere le tracce del passato dei suoi avi andando a ricercarle in una Ucraina diametralmente opposta agli Stati Uniti da cui è partito. La cosa geniale è che la vicenda è narrata da un ragazzo del luogo (Alex) che accompagna il giovane nella ricerca con funzioni di interprete e traduttore, insieme al proprio nonno che funge da autista e al loro cane, Sammy Davis Junior Junior, e il linguaggio adoperato è quello stentato di una persona che l’inglese lo conosce approssimativamente, e di conseguenza usa spesso vocaboli e frasi idiomatiche non del tutto consone alla situazione. Questa trovata dell’ostacolo della lingua, insieme al dover tradurre con ripetizioni continue i dialoghi tra i due ad uso e consumo del nonno che ignora la lingua inglese, fornisce una serie di gag divertenti che stemperano il dramma di fronte a cui si trova il giovane man mano che emergono i fatti terribili della storia della sua famiglia: i pogrom, gli eccidi compiuti dai nazisti, i tradimenti, la povertà e l’arretratezza dell’Europa orientale.
La narrazione della ricerca di Jonathan è alternata a capitoli nei quali Jonathan stesso dipana gli avvenimenti storici della propria famiglia a partire dal diciottesimo secolo, e da alcune lettere che Alex manda allo stesso Jonathan, nelle quali parla dello scritto in formazione e della sua intenzione di trasferirsi negli USA per diventare un commercialista.
Altre trovate tecniche interessanti sono i dialoghi continui tra i protagonisti senza andare a capo tra una frase e l’altra, la scrittura di interi periodi in maiuscolo o maiuscoletto, l’assenza dei segni di interpunzione in molte parti della storia della famiglia compresi i dialoghi, lunghi periodi a flusso di coscienza con un layout a colonna singola stretta al centro della pagina, fino ad arrivare a due pagine intere colme di un continuo “Stiamo scrivendo… Stiamo scrivendo…”.
Tutto ciò dà origine ad un romanzo che sicuramente non è per tutti e la cui lettura, sia pure sempre interessante, rimane piacevole solo a tratti, mentre soprattutto nei capitoli iniziali genera una confusione per niente facile da seguire e districare. Ma gli aspetti tragici sono descritti con forza, e scorrendo il libro ci si ritrova in un’alternanza di sorrisi e stati d’animo confusi o angoscianti, fino al ribrezzo per gli orrori di cui è capace l’essere umano.
Un romanzo complesso e difficile, che non mi sento di consigliare a chi cerca in un libro solo un sistema per rilassarsi dopo una lunga giornata di lavoro, ma che d’altra parte può soddisfare pienamente quei lettori più smaliziati che non si accontentano di una narrazione lineare e che vengono mandati in brodo di giuggiole dai virtuosismi tecnici e/o dalle tragedie.
Prima di renderli ai legittimi proprietari, dello stesso autore ora devo leggere Molto forte, incredibilmente vicino, altro romanzo giudicato da molti superiore a questo, e Se niente importa, un saggio che costituisce una forte condanna degli allevamenti industriali di animali a fini alimentari.
Ma per il momento sento il bisogno di dedicarmi a una lettura più leggera…

Il Lettore

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