venerdì 25 luglio 2014

A proposito di classici

Permettetemi una divagazione in campo musicale: vorrei esternare una considerazione ispiratami dalla lettura di un articolo su La Repubblica e dall’ascolto di Ludwig Van Beethoven.

E non stupitevi dell’immagine che segue: scoprirete che ha una sua ragion d’essere.


Sprofondato in poltrona nel dopopranzo di ieri stavo ascoltando, complice il periodo di vacanza regalatomi da moglie e figlio a cinquecento chilometri di distanza, la Sinfonia n. 9 op. 125 Corale del genio tedesco, altrimenti nota come l’Inno alla Gioia, e mentre contemplavo sul mio braccio la pelle d’oca che questa musica mi provoca ad ogni ascolto ho ripensato a un articolo letto pochi giorni fa sul giornale on line, a firma di Flavio Brighenti, sulla band canadese (The Musical Box, appunto, originariamente il primo brano dell’album Nursery Cryme di cui sopra) che gira il mondo in tournèe riproponendo tali e quali, fin nei più minimi particolari, gli spettacoli dei Genesis degli anni dal ’69 al ’75.
Parentesi: io adoro la musica dei Genesis di quel periodo, e i The Musical Box sono andato a vederli a Milano quando nel 2004 hanno clonato il tour di Selling England by the Pound: spettacolo fantastico! Consiglio tutti di andarseli a gustare nel giro italiano che cominceranno alla fine di questa estate.
Bene, nell’articolo Brighenti sosteneva tra l’altro: “(…) l'universo del rock. È ancora la musica dei giovani (come lo fu nella seconda metà del secolo scorso) o è diventata la musica della Terza Età? E ancora: se la tendenza è quella non più di inventare ma di riprodurre il già esistente - come fanno i Musical Box - non è più appropriato parlare (paradossalmente) di "nuova" musica classica? La tendenza sembra la stessa dell'Ottocento, quando il passaggio alla musica classica venne sancito dalla rappresentazione (e quindi dalla certificazione) delle opere più amate, eseguite esattamente com'erano stata scritte”.
Ecco, in pratica sta succedendo per alcuni gruppi degli anni sessanta e settanta (Genesis, ma anche Pink Floyd, Queen, Beatles e altri, compresi alcuni italiani) quello che è successo a Ludwig Van Beethoven, ad Antonio Vivaldi o a Johann Sebastian Bach o agli altri che sono considerati gli esponenti più rappresentativi della musica classica: orchestre a loro successive (quelli che oggi sono i cosiddetti “cloni”) riprendono partiture e arrangiamenti tali e quali gli autori li hanno ideati e li ripropongono ad un pubblico di pronipoti.
Non posso fare a meno che concordare con Brighenti sul significato intrinseco di un tale modo di fare, cioè sul suo sancire, sul suo certificare il passaggio di tali autori ad una condizione di “classicità”, cioè alla definizione di uno status destinato a proseguire nel tempo e a fungere da sistema di riferimento per le generazioni che verranno. Gli artisti che raggiungono questo status hanno creato tutti un proprio stile consolidato, valido per l’epoca che hanno vissuto ma, a quanto pare, anche meritevole di essere perpetuato nel tempo.
Considerato inoltre il livello meno che mediocre, anzi, direi decisamente infimo della musica che a livello planetario viene proposta in questi ultimi anni, iniziative del genere non possono che riscuotere tutta la mia approvazione.
Ma in campo letterario, possiamo individuare una tendenza del genere? In altre parole, quali potrebbero essere gli scrittori di oggi le cui opere potrebbero fregiarsi un domani della qualifica di “classico”?
Oggi come oggi vengono considerate “classici” le opere che sono sopravvissute alla macina del tempo: Anabasi, Iliade, Eneide, La Divina Commedia, Re Lear, Faust, I Promessi Sposi, tanto per citarne solo alcune, tutte opere dal valore universale, che hanno in comune la caratteristica di mostrare verità, sentimenti e comportamenti umani che possiedono validità nel tempo.
Degli scrittori dalla metà del Novecento in poi, quali sono coloro che potrebbero meritarsi in futuro di essere annoverati tra gli “indimenticabili”? Hemingway? Steinbeck? Faulkner? Calvino? E tra gli ancora più recenti? Foster Wallace? Safran Foer? Auster? Di italiani non me ne viene in mente nessuno.
Bella domanda, vero?
Il Lettore & lo Scrittore

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