Era da parecchio tempo che
volevo recensire Alicia Gimenéz-Bartlett,
e l’occasione è arrivata sotto forma di questo Giorno da cani che ho trovato a ben 4 euro la settimana scorsa al
solito negozietto di libri usati.
Il volumetto andrà ad
impinguare lo scaffale dove già hanno trovato posto diverse altre avventure
dell’ispettrice Petra Delicado, che
insieme al Pepe Carvalho di Manuel Vázquez Montalbán forma la
coppia più stravagante di investigatori operanti in una Barcellona fervente di
cambiamenti. Ma se Carvalho è il frutto delle vicende politiche spagnole, del
confronto tra la sinistra e il dopo-Franco, la Delicado è figlia
dell’innovazione e del risveglio della coscienza femminile in una Spagna non
ancora del tutto matura.
Il genere di questo giallo,
come anche degli altri in cui è protagonista la Delicado, appartiene al filone
in cui, dal momento che l’ispettrice narra in prima persona, l’indagine su un omicidio si dipana man mano che
procede il romanzo e il lettore ne segue gli sviluppi venendo a conoscenza
delle novità solo quando le scoprono gli investigatori. Ma l’indagine
rappresenta solo una parte del contenuto del romanzo, perché la
Gimenéz-Bartlett ama soffermarsi a lungo
anche sulla vita privata dei protagonisti, sulla loro umanità, sui loro amori
privati e sul loro interesse per la buona tavola.
Il tutto fa sì che la
vicenda raggiunga le 400 pagine quando per raccontarla ne sarebbero
tranquillamente bastate la metà, ma in fondo è una prolissità che si legge
volentieri e che fa solamente sorridere quando le vicissitudini di Petra Delicado e del suo vice Firmìn Garzòn rasentano un’ingenuità
infantile disarmante e alle volte anche un po’ stucchevole.
Gli accadimenti sia
professionali che personali si susseguono e si intersecano fornendo ritmo alla
narrazione ma anche qualche discrepanza: è mai possibile che una conclusione
lapalissiana fondamentale per le indagini venga fuori solo a pagina 290? Un
qualsiasi altro detective scalcagnato
ci sarebbe arrivato molto prima. Ma tant’è. La miscela di privato e
professionale che diluisce la storia prosegue fino al termine e lascia spazio
ad un approfondimento che si sviluppa anche negli altri romanzi successivi a
questo, nei quali si ritrovano gli stessi ritmi oltre agli stessi protagonisti e
a ingenuità simili.
Un punto di merito che va
attribuito all’autrice è invece quello di aver imbastito il tema del romanzo su
un argomento scottante preso come spunto anche da altri scrittori odierni, non
ultimo Andrea Camilleri: il turpe
commercio illegale di cani destinati alla sperimentazione farmaceutica o ai
combattimenti clandestini.
Anche se non raggiunge la
forza palesata da un Hans Ruesch o
da un John M. Coetzee, la condanna
verso tali pratiche emerge potente anche da questo giallo, e ti porta a sentirti
schifato dagli esseri umani (?) che ne fanno un commercio, insensibili a
qualsiasi sentimento nei confronti di poveri animali considerati alla stregua
di oggetti inanimati. Quando sento parlare di queste cose (ma anche di altre…),
la mia ripugnanza nei confronti di alcuni appartenenti al genere umano cresce
fino al punto di trovare inadeguata la pena di morte.
Nel senso che sarebbe una
punizione troppo leggera.
Il Lettore
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