lunedì 25 settembre 2017

Né di Eva né di Adamo

Non riesco a decidere quale delle due Amélie Nothomb sia migliore: se quella capace di plot dal guizzo originale e fulmineo o quella autobiografica. Di certo c’è che riserva sorprese ogni volta che ci si accinge a iniziare un suo libro.




Né di Eva né di Adamo fa parte della seconda tranche: è un romanzo autobiografico, collocato temporalmente prima di Stupore e tremori, del quale in qualche modo costituisce un antefatto e a cui in parte si sovrappone. La ventunenne Nothomb torna a studiare in Giappone dal quale manca da sedici anni e si concentra nel cercare di recuperare l’uso di quella lingua con la quale è cresciuta nei suoi primi anni di vita. Per integrarsi ulteriormente comincia a impartire lezioni di francese a un ventenne di Tokio, col quale inizia ben presto una relazione sentimentale fatta non tanto di amore vero e proprio quanto dello stare bene insieme in alcune occasioni.
Il resoconto di questa relazione è la scusa per mostrare la passione di Amélie Nothomb per il paese del sol levante, i suoi abitanti, i suoi paesaggi e molte delle sue usanze, molte delle quali saranno poi ironicamente massacrate in Stupore e tremori. Una botta al cerchio e una alla botte.
E la Nothomb ne approfitta per descrivere luoghi — in particolare il Monte Fuji e le coste aspre del Giappone settentrionale — e specialità gastronomiche, e per esternare sentimenti affettuosi sempre in bilico tra la voglia di tradizione e la novità entusiasmante.
Ho trovato questo romanzo veramente delizioso, e mentre leggevo mi ha fatto venire voglia di fare anch’io una piccola escursione fino alla cima del vulcano più alto del Giappone in cerca di sacralità. Del resto sono solo 5 o 6 ore di ascensione.
A parte le 12 e passa di aereo per arrivare alla sua base, naturalmente.
Il Lettore 

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