Non riesco a decidere quale
delle due Amélie Nothomb sia
migliore: se quella capace di plot
dal guizzo originale e fulmineo o quella autobiografica. Di certo c’è che
riserva sorprese ogni volta che ci si accinge a iniziare un suo libro.
Né
di Eva né di Adamo fa
parte della seconda tranche: è un romanzo autobiografico,
collocato temporalmente prima di Stupore e tremori, del quale in qualche modo costituisce un antefatto e a cui in
parte si sovrappone. La ventunenne Nothomb torna a studiare in Giappone dal quale manca da sedici anni
e si concentra nel cercare di recuperare l’uso di quella lingua con la quale è
cresciuta nei suoi primi anni di vita. Per integrarsi ulteriormente comincia a
impartire lezioni di francese a un
ventenne di Tokio, col quale inizia ben presto una relazione sentimentale fatta
non tanto di amore vero e proprio quanto dello stare bene insieme in alcune
occasioni.
Il resoconto di questa
relazione è la scusa per mostrare la passione di Amélie Nothomb per il paese del sol levante, i suoi abitanti, i
suoi paesaggi e molte delle sue usanze,
molte delle quali saranno poi ironicamente massacrate
in Stupore e tremori. Una botta al
cerchio e una alla botte.
E la Nothomb ne approfitta
per descrivere luoghi — in particolare il Monte
Fuji e le coste aspre del Giappone settentrionale — e specialità
gastronomiche, e per esternare sentimenti affettuosi sempre in bilico tra la
voglia di tradizione e la novità entusiasmante.
Ho trovato questo romanzo
veramente delizioso, e mentre leggevo mi ha fatto venire voglia di fare anch’io
una piccola escursione fino alla cima del vulcano più alto del Giappone in cerca
di sacralità. Del resto sono solo 5 o 6 ore di ascensione.
A parte le 12 e passa di aereo per arrivare alla
sua base, naturalmente.
Il Lettore
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