Facciamo un salto di una
quindicina d’anni e riparliamo ancora di Salvo
Montalbano, il commissario più amato d’Italia, protagonista di questo
romanzo del 2017, il primo che è
stato dettato in corso di stesura, e
non scritto di pirsona pirsonalmente,
da un Andrea Camilleri con ormai
serie difficoltà alla vista.
Ma i problemi agli occhi
sembra non abbiano inficiato la sua capacità di creare, visto che ha saputo
dettare quello che secondo me è uno dei suoi migliori romanzi sul Commissario di Vigata.
Al fatto che il libro sia
stato “dettato” non ci si fa caso più di tanto: la lettura scorre piacevole
come sempre e se un appunto si può fare è quello che rispetto all’ultimo post che ho pubblicato, ma coerentemente
con i romanzi degli ultimi anni, l’uso del dialetto
si è fatto infinitamente più marcato. Marcato al punto che anch’io, pur
leggendo tranquillamente il siculo, ho incontrato almeno 5-6 vocaboli dei quali non conoscevo il
significato, né è stato possibile risalirci attraverso il contesto. Ci sarebbe
stato bisogno di un dizionario siculo-italiano, dal momento che neanche il mio editor, ancora più esperta di me in
quella lingua, per qualcuno di essi ha saputo fornirmi dei chiarimenti.
La cosa non mi ha impedito di
godermi lo stesso il romanzo, ma
capisco che altre persone meno esperte nel decifrare quel dialetto potrebbero
avere delle serie difficoltà di comprensione fino al punto di non riuscire a
cogliere pienamente la piacevolezza del tutto.
La
rete di protezione si
articola su due indagini svolte in parallelo dalla solita squadra investigativa
che hanno come sfondo psicologico lo stesso concetto: in quanti modi si può cercare
di proteggere qualcuno? E le scelte
fatte serviranno veramente allo scopo o, al contrario, potrebbero peggiorare la
situazione?
Una delle inchieste parte dal
ritrovamento di vecchi filmini amatoriali in super8 dal contenuto inspiegabile,
mentre l’altra sfrutta, come Camilleri ha già fatto per il fenomeno delle
migrazioni o quello delle morti bianche o altri, uno dei temi che vanno per la
maggiore sui titoli dei giornali nel periodo in cui sta scrivendo il romanzo:
stavolta quello del bullismo.
E in quest’ultimo caso è
interessante vedere come Montalbano, e Camilleri stesso, si confrontano con il
modo di fare e i modi e il gergo pressoché incomprensibile (per persone della
loro età) degli adolescenti odierni, nonché con tutte le innovazioni
tecnologiche degli ultimi anni.
Lo sfondo è quello consolidato di una Vigata stavolta assediata da una
troupe cinematografica svedese per le
riprese di un film e i coprotagonisti confermano ancora una
volta le loro proprietà caratteriali, ad eccezione della figura del Questore
che una volta tanto, incredibilmente, sposa le tesi di Montalbano, mentre
quest’ultimo si mostra sempre più riflessivo e maturo.
Un altro aspetto positivo è che Livia stavolta compare
poco. Forse di lei si è rotto le palle anche Camilleri stesso.
Un bel romanzo, che mi sono
gustato. E mi ha fatto piacere vedere come anche un Montalbano, più o meno mio
coetaneo, sia sommamente nauseato dallo schifìo
televisivo che impera oggigiorno e si riduca a guardare solamente documentari,
ora sulla vita dei coccodrilli ora
sulla coltivazione del mais, perché quando
la accendi non c’è proprio altro di minimamente decente da guardare.
Il Lettore
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