Tra tutti i pezzi da novanta
della letteratura mondiale, William
Shakespeare è paradossalmente uno di quelli sui quali è stato scritto di più, ma allo stesso tempo è quello
sul quale di certo si sa di meno,
tanto da far dubitare ad alcuni che sia mai esistito realmente come persona
fisica.
Questo dato di fatto è ciò su
cui è andato a indagare Bill Bryson,
il divertente autore statunitense diventato famoso per i suoi libri di viaggio
e soprattutto per Una passeggiata tra i boschi, nel quale ripercorre in modo esilarante
quella scarpinata di 3500 chilometri dell’Appalachian
trail.
Oltre alle migliaia di già pubblicati, ci dice lo
stesso autore, “la fonte bibliografica
più esauriente registra circa 4000 nuovi, seri lavori [su Shakespeare] (libri, monografie, altri studi) ogni anno.
Per rispondere ora a una domanda ovvia, questo libro è stato scritto non tanto
perché il mondo avesse bisogno di un altro libro su Shakespeare, quanto perché
ne aveva bisogno il mio Editore. L’idea è semplice: vedere cosa possiamo
sapere, sapere per davvero, di Shakespeare grazie ai dati in nostro possesso.
Il che, ovviamente, è uno dei motivi della snellezza di questo volume. ”
E questo perché di colui denominato
Il Bardo, altrimenti detto “il poeta gay più sublime della storia della
letteratura inglese”, non si sa nulla
per certo, esistono pochissimi documenti ufficiali che parlano di lui, vi sono
interi decenni della sua vita senza che ne venga reperita traccia in ogni dove,
per non parlare dell’assenza pressoché completa di manoscritti vergati di suo
pugno. Lo stesso ritratto
che vedete nella copertina di cui sopra, insieme ai due soli altri esistenti
al mondo, nessuno ha la certezza che
siano realmente di William Shakespeare.
Bryson si lancia (tanto per
restare in tema…) così alla ricerca di dati documentati su Shakespeare, e quello che trova è ben poco, e quel
poco lo riporta in questo scarno libretto dal sottotitolo La vita e l’epoca di William Shakespeare (del resto per far
contento l’editore doveva pure scriverci qualcosa).
Ne approfitta quindi, come
suo solito, per fare un excursus
sull’Inghilterra dell’epoca, sulla storia e sulle condizioni sociali a cavallo
tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, sulla politica, sull’urbanistica
di Londra e sullo stato dell’arte del teatro, sulle abitudini alimentari di
nobili e popolani e sulle lotte religiose, farcendo il libro di fatti curiosi e
cognizioni interessanti, oltre che parlare della produzione del “nostro”, dei
suoi rapporti con le compagnie teatrali e con gli altri autori, ma di queste
ultime cose più che altro per sentito dire.
Il tutto condito, ovviamente,
dall’ironia che caratterizza lo
scrittore e dai dubbi personali che nel corso della ricerca sono emersi dentro
di lui, fino a fargli riportare anche i sospetti e le critiche che la “Shakespearologia” ha provocato anche in
altri studiosi. “Shakespeare era un
magnifico raccontatore di storie, a patto che qualcuno le avesse già scritte
prima” dice parafrasando George
Bernard Shaw, al che Stanley Wells
ribatte “Shakespeare rubava battute
«quasi meccanicamente»”, intendendo ridurre di un poco la grandezza del
Bardo nella capacità di creare motu proprio.
Anche dopo questo sfoggio di
cultura e capacità investigativa, però, la nostra conoscenza documentata di W.S. rimane pressoché nulla. Ma resta curioso
in modo piacevole il venire a sapere, un esempio tra i tanti, che di
Shakespeare esistono al mondo solo sei
firme autografe, delle quali ben tre, quelle vergate sul suo testamento,
con tutta probabilità non sono scritte di sua mano per la sopravvenuta (e anche
questa solo presunta) incapacità di muoversi in punto di morte.
Il Lettore
Nessun commento:
Posta un commento