Sapete che cosa potrebbe
abbreviare le possibili indecisioni
di un aspirante suicida? Leggere questo libro. Nel senso che in un mondo come
quello odierno in cui tutto sta andando a catafascio, in cui non c’è lavoro, la
corruzione domina, la superficialità la fa da padrone, le ingiustizie sociali
sono al massimo grado, il dilettantismo prende a pesci in faccia la
professionalità, se a uno venisse la vaga idea di ammazzarsi e non pensare più
a tutte queste nefandezze basta che prenda in mano questo romanzo, cominci a
leggerlo e tutti i dubbi gli saranno chiariti:
cercherà immediatamente una pistola e premerà il grilletto.
Mai letto un romanzo più
triste, pessimista e deprimente di
questo. Dall’ambientazione ai personaggi ci si trovasse una nota positiva.
Molti commenti in rete ne parlano come di un romanzo magnifico (a parte tutti
quelli, e non sono pochi, che l’hanno trovato noiosissimo e l’hanno abbandonato dopo venti pagine), ma sicuramente
sono stati scritti da componenti della famiglia
Addams.
C’è questo paese che sta franando pian pianino
verso valle e c’è questa ragazza
spiantata e spretata (nel senso che ha rinunciato alla carriera da suora) che decide di stabilirsi proprio lì finendo col
fare da assistente a un ragazzino con evidenti problemi psicologici. Da qui
essa stessa parte col raccontare un caleidoscopio di microstorie sugli abitanti del paese, tutte intrise di povertà,
case che rovinano a valle, tragedia, case che franano, delusioni esistenziali,
case abbandonate, miserie umane, case sventrate e riconquistate dalla
vegetazione spontanea, morti ammazzati dalla vita e derelitti all’ultimo
stadio. L’ho già detto che sta franando tutto?
Alla fine rimane solo lei,
non si capisce bene se ancora viva o già morta anche lei, che decide di
attorniarsi dei fantasmi degli ex abitanti (ma sì, facciamo una rimpatriata!)
con i quali rimuginare sui “bei”
tempi andati.
E c’è anche il rimpianto di
non essere mai riuscita a portarsi a letto il ragazzino.
Carmen
Pellegrino utilizza una scrittura
ricercata, un lessico e una sintassi molto curati che danno un tocco poetico al
tutto, ma dopo un po’ non ne puoi proprio più dell'indigenza, di case che franano e di tutta la
gente che schiatta per incidenti sui campi o per errori medici o per semplice
vecchiaia e speri che arrivi presto la fine, ma è proprio a questo punto che
entrano in scena i fantasmi e comincia una tiritera di rimembranze in una parte
finale interminabile, tedio e tristezza fusi insieme, tutta una riflessione
chilometrica su cose già dette in precedenza che mi ha costretto a saltare a
pié pari molti paragrafi pur di chiudere il volume e finalmente metterlo da
parte.
Cercando di dimenticarlo il
prima possibile insieme al nome dell’autrice. Vatti a fidare delle amiche che
ti prestano i libri dicendo che li hanno trovati belli…
Il Lettore
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