Lettura veloce, inversamente
proporzionale al valore di questo
breve racconto di guerra.
Federico
De Roberto ci fornisce
tutto l’orrore della guerra in una
narrazione cruda e stringata, senza lasciare spazio a retoriche scontate e
autoreferenzialità.
L’ambientazione è quella di
una trincea della prima guerra
mondiale, con gli italiani da una
parte e gli austriaci dall’altra in
un momento statico. Per esigenze tattiche gli italiani devono mandare un
osservatore ad occupare una postazione
avanzata della trincea, allo scopo di poter controllare i movimenti dei nemici
e riferirne le mosse. A turno, alcuni uomini provano a recarsi in quella
postazione, ma uno dopo l’altro vengono colpiti e uccisi da un cecchino austriaco.
Il racconto testimonia il terrore di questi uomini, comandati,
obbligati ad andare incontro a una morte certa e ineluttabile come sarebbe quella altrettanto certa e ineluttabile in
cui incorrerebbero se si rifiutassero di obbedire a quell’ordine.
E De Roberto ci narra questo
terrore scrivendo veramente l’essenziale
, i fatti nudi e crudi (da amico e seguace di Giovanni Verga qual era), La
paura di uomini anche pluridecorati comandati ad eseguire un ordine che
significa morte sicura, il loro non potersi rifiutare, e la pietà sofferta dal tenente Alfani che, anche lui costretto da forze più grandi di lui,
insiste nell’ordinare loro di uscire e andare a morire.
Veramente un gran bel
racconto, reso ancora più prezioso dalle voci
stesse dei soldati scritte nei più svariati dialetti italiani (e molto
stretti), che si alternano nei dialoghi.
La
paura può essere
considerato il canto del cigno dello scrittore siciliano (ma nato a Napoli) Federico
De Roberto, fattosi conoscere all’inizio del secolo scorso con il romanzo I viceré, dal quale pochi anni fa il
regista Roberto Faenza ha tratto
l’omonimo film.
Il Lettore
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