Di certo non si può dire che Amélie Nothomb manchi di fantasia.
Nei suoi romanzi brevi sia le
trame che i personaggi stessi sono voli di fantasia sfrenata, condita da una
cultura profonda e realizzata con uno stile sopraffino: il tutto consente di
procedere in una lettura piacevole e colta che di solito lascia soddisfatti.
Una sfrenata fantasia fin dai
nomi dei protagonisti dei quali la Nothombe rende edotto il lettore di tutta
l’etimologia: Zoïle, modesto
impiegato in una società elettrica, Aliénor,
una scrittrice di successo autistica, e la sua tutrice Astrolabe.
I tre si incontrano per caso
e Zoïle si innamora della bellissima
Astrolabe, ma la missione che si è
imposta quest’ultima di curare e proteggere la geniale scrittrice contrasta con
la formazione di un rapporto d’amore, sia pure ricambiato, con l’uomo. Aliénor è sempre presente e curiosa, e
ciò non consente all’uomo di aprirsi una strada nel cuore dell’amata, né
tantomeno tra le sue gambe.
Zoïle ne rimane profondamente deluso e
addolorato fino a che, dopo averle provate proprio tutte (anche fino a drogarle entrambe), trasforma la
vicenda in un caso esistenziale e decide per una soluzione estrema e definitiva: per
dar prova del suo dolore dirotterà un aereo di linea e si schianterà con esso e tutti gli altri suoi passeggeri su un
monumento famoso di Parigi.
“Mi rileggo con stupore: dunque colui che tra
qualche ora farà esplodere un aereo con a bordo un centinaio di passeggeri
quando ha occasione di scrivere i suoi ultimi pensieri inclina al più
travolgente lirismo.”
Il
romanzo non è altro che il racconto che l’uomo fa a se stesso e al suo taccuino
di tutta la vicenda, con gli antefatti e le motivazioni, al momento di
imbarcarsi sull’aereo che lo porterà alla morte. Un racconto crudo e deciso,
un’introspezione psicologica all’interno di una mente assolutamente convinta di
ciò che sta per attuare e pronta alle nefaste e definitive conseguenze.
Ma
Il viaggio d’inverno non è solo il
resoconto di una strage annunciata: le metafore di cui è farcito, a partire dal titolo che richiama sia il
viaggio che l’inverno, cioè la fine, per finire con la psichedelica passeggiata nello psilocybe guatemalteco passando per il significato del freddo patito
dalle due donne nel loro minuscolo appartamento, lo rendono un contenuto di
simbologie saturo di amarezza esistenziale.
I personaggi sono decisamente
eccentrici e, visto che il mirino dell’autore resta inquadrato sulla figura di Zoïle, delle due donne splendidamente
caratterizzate rimane al lettore la curiosità di sapere che fine faranno una
volta che il dramma si sarà compiuto.
Il Lettore
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