Se fossi stato un bambino di cinque anni e mi avessero
letto questo libro, forse, e dico forse, può anche darsi che avrei apprezzato
la storia. Anche se poi la morale avrebbero dovuto spiegarmela un po’ meglio.
Ma i miei cinque anni sono
passati da un pezzo, da allora ho fatto diverse esperienze e il piacere di leggere una storia scontata in uno stile
banale non riesco più a provarlo.
E la morale in questo caso è
una sola: peggio per me.
Ho letto con piacere parecchi
libri di Luis Sepùlveda, da quelli
più seri ai romanzi più leggeri ai saggi a quelli per ragazzi, compresa la gabbianella, e quando più quando meno
sono rimasto in genere sempre abbastanza soddisfatto. Ma questa volta proprio
no, questo Storia di una lumaca che
scoprì l’importanza della lentezza Sepùlveda avrebbe dovuto proprio risparmiarselo.
Sciatto, banale, scontato,
corto, trito, incoerente sono solo alcuni degli attributi che mi sono venuti in
mente leggendolo, e se non fosse stato così breve, appena una sessantina di
pagine molte delle quali bianche e altre riempite con i puerili (ma questa non
è una critica) disegni di Simona
Mulazzani, l’avrei lasciato ben prima di arrivare alla fine.
Il difetto più grande è che
Sepùlveda ha copiato pari pari Il
gabbiano Jonathan Livingstone, sostituendo la comunità di gabbiani con una
di lumache e la ricerca della velocità con quella della lentezza, cercando di
mantenere intatto lo sforzo del singolo per approdare a una nuova e più
appagante dimensione del proprio essere. Ma se questo a Richard Bach è riuscito più che bene, allo scrittore cileno il
tutto è venuto male in modo davvero sgradevole. Non si può inneggiare al concetto di lentezza, al fare le cose
con calma per risolvere i mali della società odierna e poi, al primo ostacolo
che il gruppo di lumache si trova ad affrontare, farglielo superare per mezzo
di un gufo che in volo le trasporta
in un battibaleno dove devono arrivare! È… imbarazzante, ecco, totalmente
incoerente. Alla faccia della morale che intende trasmettere.
Per non parlare dei dialoghi, del solito vedere le cose
umane dalla parte dei piccoli animali come abbiamo già visto in migliaia di cartoni animati, del solito condannare
l’edilizia e la cementificazione e
oh! che poveri, questi animaletti che finiscono schiacciati dalle auto! Basta, non se ne può più, e lo dice uno
che quando vede una chiocciola sull’asfalto la prende e la rimette nell’erba.
Fatto sta che alla resa dei
conti questo libercolo si rivela essere la solita operazione commerciale che di
certo fa guadagnare molto di più alle case editrici che all’autore. Buono per
un bambino, e neanche tanto. Se lo avessero messo in vendita con la scritta “pericolo
di regressione: se ne sconsiglia la lettura ai maggiori di cinque anni”, non
avrebbero fatto niente di male.
Il Lettore
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