Stavolta Marco Malvaldi è incappato nella sfortuna di essere letto subito
dopo aver finito Murakami e, mi dispiace dirlo, non ha retto il confronto.
Dopo la scrittura semplice e cristallina del giapponese, ritrovare
le complicazioni dello scrittore toscano, per di più trasposte in pieno
Rinascimento (quasi millecinque…
avrebbe detto Massimo Troisi), non
ha giovato al chimico nostrano che inizia questo romanzo mettendo in campo
troppi personaggi, utilizzando il linguaggio dell’epoca e inserendovi a
ripetizione le sue battute, moderne e mordaci, con continui e anacronistici
riferimenti ai giorni nostri e i suoi consueti e martellanti calembour da scrittore ormai navigato.
Marca
male, sta a vedere che questa è la
volta che mi tocca piantarlo, ho pensato dopo le prime pagine.
Poi, per fortuna, è
migliorato.
Destreggiandosi tra le mille
insidie politiche che minacciano la Signoria di Milano, tra i primi criminali
tentativi di mettere in crisi il nascente e moderno sistema bancario, tra numerose
relazioni eterosessuali (Ludovico il
Moro) e omosessuali (Leonardo da
Vinci), tra frecciate non così tanto nascoste all’attuale situazione
politica e rigorose ricostruzioni storiche, Malvaldi mette in campo quello che
alla fine risulta essere un buon
romanzo storico, la cui facilità di lettura è però ostacolata soprattutto dal
linguaggio adoperato, che in molti passaggi è l’italiano volgare dell’epoca, e dal vizio dell’autore di inserire a ripetizione quel trucchetto che avevo già
descritto qui, cioè di iniziare i
capitoli o i capoversi mettendo le stesse parole o gli stessi concetti con cui
termina il precedente, cambiando il contesto in cui sono inseriti.
Un
esempio:
–
Dovremmo sapere qualcosa di più sulle intenzioni dei francesi – disse il Moro,
dopo una lunga pausa. – È troppo tempo che aspettiamo, ormai.
–
Certo che è troppo tempo che aspetto! – disse l’omino in calze e camicia da
letto. – Dov’è la mia colazione? (in
tutt’altra situazione e con altri personaggi).
E il bello è che quasi in ogni cambio di scena
è usata questa tecnica. Se all’inizio può sembrare una cosa curiosa e anche
piacevole per averla riconosciuta, alla lunga diventa ridondante e anche
piuttosto fastidiosa. Il troppo stroppia,
caro Marco, non l’hai ancora imparato?
L’inizio
del romanzo, a causa del linguaggio non consueto e dell’introduzione dei
numerosi personaggi con una minima descrizione per caratterizzare ognuno, non
risulta né agevole né piacevole, ma da quando la vicenda entra nel vivo con un omicidio le cose migliorano per poi
concludersi in maniera del tutto plausibile e dare la soddisfazione di aver
letto un romanzo che merita.
Ma resta sempre il convincimento che
leggere Murakami abbia fatto più piacere.
Ah, dimenticavo, buon Natale a tutti.
Il Lettore
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