lunedì 24 dicembre 2018

La misura dell’uomo


Stavolta Marco Malvaldi è incappato nella sfortuna di essere letto subito dopo aver finito Murakami e, mi dispiace dirlo, non ha retto il confronto.
Dopo la scrittura semplice e cristallina del giapponese, ritrovare le complicazioni dello scrittore toscano, per di più trasposte in pieno Rinascimento (quasi millecinque… avrebbe detto Massimo Troisi), non ha giovato al chimico nostrano che inizia questo romanzo mettendo in campo troppi personaggi, utilizzando il linguaggio dell’epoca e inserendovi a ripetizione le sue battute, moderne e mordaci, con continui e anacronistici riferimenti ai giorni nostri e i suoi consueti e martellanti calembour da scrittore ormai navigato.
Marca male, sta a vedere che questa è la volta che mi tocca piantarlo, ho pensato dopo le prime pagine.
Poi, per fortuna, è migliorato.



Destreggiandosi tra le mille insidie politiche che minacciano la Signoria di Milano, tra i primi criminali tentativi di mettere in crisi il nascente e moderno sistema bancario, tra numerose relazioni eterosessuali (Ludovico il Moro) e omosessuali (Leonardo da Vinci), tra frecciate non così tanto nascoste all’attuale situazione politica e rigorose ricostruzioni storiche, Malvaldi mette in campo quello che alla fine risulta essere un buon romanzo storico, la cui facilità di lettura è però ostacolata soprattutto dal linguaggio adoperato, che in molti passaggi è l’italiano volgare dell’epoca, e dal vizio dell’autore di inserire a ripetizione quel trucchetto che avevo già descritto qui, cioè di iniziare i capitoli o i capoversi mettendo le stesse parole o gli stessi concetti con cui termina il precedente, cambiando il contesto in cui sono inseriti.

Un esempio:
– Dovremmo sapere qualcosa di più sulle intenzioni dei francesi – disse il Moro, dopo una lunga pausa. – È troppo tempo che aspettiamo, ormai.

– Certo che è troppo tempo che aspetto! – disse l’omino in calze e camicia da letto. – Dov’è la mia colazione? (in tutt’altra situazione e con altri personaggi).

E il bello è che quasi in ogni cambio di scena è usata questa tecnica. Se all’inizio può sembrare una cosa curiosa e anche piacevole per averla riconosciuta, alla lunga diventa ridondante e anche piuttosto fastidiosa. Il troppo stroppia, caro Marco, non l’hai ancora imparato?

L’inizio del romanzo, a causa del linguaggio non consueto e dell’introduzione dei numerosi personaggi con una minima descrizione per caratterizzare ognuno, non risulta né agevole né piacevole, ma da quando la vicenda entra nel vivo con un omicidio le cose migliorano per poi concludersi in maniera del tutto plausibile e dare la soddisfazione di aver letto un romanzo che merita.
Ma resta sempre il convincimento che leggere Murakami abbia fatto più piacere.
Ah, dimenticavo, buon Natale a tutti.
Il Lettore

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