martedì 7 agosto 2018

22-11-‘63


Una data che ha segnato un’epoca, quella dell’omicidio di John Kennedy, sul cui assassinio Stephen King ha imbastito un romanzo di 1000 e passa pagine che si leggono in una volata.
E questo la dice lunga sull’ormai consolidata bravura dello scrittore.



Una bravura che riconosco senza dubbi di sorta. Come ho già avuto modo dire io non leggo volentieri Stephen King per la mia idiosincrasia nei confronti dell’horror, non per altro. Ma gli riconosco il saper scrivere, e di suoi romanzi che non trattano quel tema me ne sono passati tra le mani parecchi. E non solo romanzi: il suo On writing è di un interesse fuori misura.
Di questo, visto il titolo, dapprima addirittura avevo pensato che fosse un saggio sull’accaduto e ho cominciato a leggerlo con questo convincimento, ma grande è stata la mia sorpresa quando (fin da subito peraltro) ho scoperto che in realtà era un romanzo di fantasia.
Siamo (per il momento) nel 2011. Jake Epping è un insegnante del Maine che su indicazione di un amico trova un varco temporale: scendendo una scala si ritrova catapultato alle 11.58 del 9 settembre del 1958. A ritroso per la stessa via può tornare indietro al 2011, e questo tutte le volte che vuole, e ogni volta, quando va nel passato, ritrovandosi sempre nello stesso preciso istante della prima, può starci quanto tempo gli aggrada e ogni volta che tornerà nel suo tempo reale saranno trascorsi solamente non più di due minuti.
Da qui ognuno potrebbe sviluppare la tematica dei viaggi nel tempo nel suo modo personale, analizzandone possibilità e probabili paradossi.
Stephen King ha scelto di esplorare l’eventualità di una modifica del passato già accaduto e le sue ripercussioni. Che cosa succederebbe se si impedisse a Lee Oswald di uccidere John Kennedy? Il futuro, cioè il reale presente di Jake Epping, sarebbe soggetto a dei cambiamenti? Sicuramente si impedirebbero la guerra in Vietnam e anche i successivi assassinii di Robert Kennedy e di Martin Luther King e si risparmierebbero milioni di vite, ma questo porterà a reali benefici nel 2011?
Epping decide di trascorrere nel passato i cinque anni da ’58 al ’63 cercando una maniera di impedire quell’assassinio, con l’uccisione del potenziale omicida compresa, e mentre si ricostruisce una muova vita nel passato studia nei minimi particolari ciò che è successo a Lee Harwey Oswald cercando il momento più opportuno per intervenire.
Ne nasce un quadro completo, oltre che dell’assassinio Kennedy, anche delle differenze tra il modo di vivere degli anni ’60 e quello attuale, nel quale Stephen King da libero sfogo alla prolissità che lo caratterizza, qualche volta lodando ed enfatizzando modi di fare ormai dimenticati e qualche volta criticandoli con obiettività. Epping si trova di fronte alle difficoltà che il “già successo” oppone al “voler cambiare”, e come morale di fondo alla fine fornisce un quadro decisamente pessimistico.
Ma come dicevo è un libro che nonostante la lunghezza si legge molto bene, costituito in gran parte da azione e senza cali di tensione sensibili, in cui trova spazio anche una storia d’amore che il protagonista cercherà di far continuare anche nel futuro.
Da notare i molti riferimenti in cui King richiama se stesso, a volte in modo molto criptico a volte più palesemente: in particolare, una delle cittadine in cui Epping vive nel passato è la stessa del suo romanzo It, catena di omicidi di bambini compresa, così come il protagonista del romanzo che Epping sta scrivendo è un pagliaccio assassino (così come in It). Un’automobile che ricorre nel romanzo ricorda quella di Christine, la macchina infernale, così come la data in cui nel romanzo accade un incidente in una centrale nucleare (19 giugno 1999) è la stessa in cui è accaduto l’incidente automobilistico allo stesso King, e così via.
Divertimenti d’autore non facilmente individuabili ma perfettamente comprensibili.
Che comunque contribuiscono ad “attizzare” l’attenzione del lettore, insieme a tante altre invenzioni, in una vicenda che altrimenti, dipanandosi per centinaia e centinaia di pagine, avrebbe corso seriamente il rischio di annoiare.
Il Lettore



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