In primo luogo diciamo che
già il titolo da un’indicazione sbagliata del contenuto: se con Il tatuatore si fornisce un’indicazione
di massima del soggetto dell’azione, leggendo si riscontra che questo non
c’entra proprio nulla con lo svolgersi del romanzo né c’è un effettivo
“tatuatore” che possa ergersi a protagonista.
I tatuaggi sono i personaggi principali, questo è vero, ma tutt’al
più tra i personaggi in carne e ossa vi sono “alcuni” tatuatori che assumono
rilevanza ai fini dell’indagine di polizia e solo uno che marginalmente svolge l’azione
del tatuare.
Ma naturalmente questo fa
parte delle solite castronerie
dell’editoria nostrana, perché il titolo originale, The tattoo thief, Il ladro di tatuaggi, era molto più attinente al
tema della narrazione.
Qualcuno aveva paura che
rivelasse troppo?
Paura ingiustificata, perché
fin dal primo capitolo entra in scena questo ladro inconsueto che scuoia
direttamente le sue vittime ancora prima di ucciderle per rubarne i tatuaggi
che hanno sulla pelle.
Sangue da tutte le parti,
crudeltà inutili, da ribrezzo. E giù i particolari di come interviene nella
scuoiatura dei malcapitati e poi nella concia delle pelli per la conservazione.
Non so come ho fatto a finirlo, vista la mia avversione per le esagerazioni in
genere e per l’horror in
particolare.
Che poi non è che sia neanche
tutto questo gran che. Ha sì una scrittura accattivante, dal ritmo veloce e
sufficientemente dotato di spunti che tengono desta l’attenzione, ma è anche
pieno di esagerazioni e situazioni
già viste che si capisce come siano messe lì solo per far colpo sul lettore
senza stare tanto a badare all’originalità e alla plausibilità. Senza contare
l’utilizzo di termini che mentre leggi ti fanno storcere il naso, come
“spiazzale” al posto di “piazzale” o “spiazzo”. “Spiazzale” è un vocabolo che è
stato adoperato dal 1200 al 1930 circa e che è rimasto solo nell’uso
colloquiale di alcuni dialetti meridionali, ma che attualmente in fondo appare
piuttosto arcaico. Ma questo può essere colpa della traduzione.
O il vizio di mettere frasi
senza un verbo attivo: “Un’unica luce,
proveniente da una lampadina rossa sul soffitto.” Sarebbe bastato
sostituire con “Un’unica luce proveniva
da una lampadina rossa sul soffitto” o qualcosa di simile. Anche questo può
essere un fatto di traduzione, se non fosse che a qualcuno sembra tanto fico
scrivere le frasi senza verbi.
Per non parlare della poca
credibilità nel comportamento di molti personaggi e del mancato approfondimento
di molti aspetti della loro evoluzione dei quali invece se ne avverte il
bisogno.
In fondo si legge anche bene,
se uno non sta lì a sottilizzare troppo e regge le scene splatter, ma se ne può fare benissimo a meno.
Il Lettore
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