martedì 29 maggio 2018

La gang del pensiero


Il periodo di lettura a rilento prosegue. La cosa consolante è che non sono solo: proprio ieri una mia amica, altra lettrice compulsiva, mi diceva che in questo periodo non riesce a leggere come vorrebbe. Quando entro nel letto la sera e prendo qualsiasi libro, al massimo riesco ad andare avanti soltanto per una o due pagine prima di cadere in coma. Con Child in genere questo non succede, e sto aspettando con ansia la sua prossima uscita (tra un mesetto, ndf).
Sarà la primavera? La vecchiaia? Sarà perché le alte sfere non hanno intenzione di mandare su questo governo? Sarà quel che sarà, la cosa mi infastidisce molto. Pensavo che si potesse ovviare con un romanzo leggero, ma anche questo non è servito. Per leggere questo La gang del pensiero, per altro divertente, ci ho messo più di quindici giorni. Non è da me. Sto cominciando a preoccuparmi.




La gang del pensiero è uno dei libri di Tibor Fischer che hanno avuto più successo dopo la pubblicazione di Sotto il culo della rana (vedi). In questa trama Fischer abbandona momentaneamente la pallacanestro per darsi alla filosofia e alle rapine.
Il protagonista è uno sfigato insegnante universitario di filosofia, un ultracinquantenne obeso e alcolizzato (tanto per restare sullo stesso tema delle ultime letture…), che per dare sfogo alla sua depressione si mette a fare rapine a mano armata in serie nelle banche francesi accompagnato da un altro delinquente anche lui sfigato cronico. La cosa riesce loro tanto bene che si autoaffibbiano il nome La gang del pensiero per dare una veste filosofica alle loro rapine.
Veste filosofica che permea tutto lo svolgimento del romanzo, nel quale abbondano situazioni, parole e modi di dire (soluzioni zimurgiche, spirito zetetico, tono omiletico, occasioni di zoonosi, punizione salecusiana, demonio eudemonista, eccezionale sicofanza, Hubert era razionale quanto un gutiano sceso dalla catena dello Zagros, noeticamente parlando) che in qualche maniera dovrebbero avere a che fare con la filosofia. Dico dovrebbero perché della maggior parte ignoro ciò che vogliano dire. Ma nonostante l’ignoranza il romanzo si legge lo stesso ed è anche divertente, perché Fischer, come in Sotto il culo della rana, ne approfitta per inserire almeno 2 o 3 gag ogni pagina, generalmente strampalate.
E ne approfitta anche per lanciare frecciatine nei confronti del mondo dell’editoria e del modo di fare letteratura oggigiorno: “La qualità non guasta ma quel che veramente conta è lo spazio che si occupa sullo scaffale”, insieme a riflessioni personali che dovrebbero essere tristi e profonde ma vengono stemperate dal particolare umorismo, come a proposito del morire: “Mi rendo sempre più conto che l’unica cosa che mi mancherà sono gli amici. A parte il diluvio di terrore connesso con la prospettiva di trasformarsi in cenere, la cosa che mi da più fastidio è l’idea di perdere quella manciata di persone con cui posso avere una conversazione decente. Ci vuole una vita per procurarsele. Perdere la vita non è poi una gran perdita, perdere loro, invece, sì”.
Diciamo che come romanzo non è tutta questa eccezionalità come traspare dai trafiletti pubblicitari che gli hanno cucito addosso, ma rimane un romanzetto particolare per l’infinità di situazioni fantasiose nelle quali si trovano coinvolti i due rapinatori, e nel complesso può essere anche divertente.
In altri momenti lo avrei terminato in due giorni (comunque mai come Child che me lo spupazzo in due ore). In questo periodo non so proprio cosa mi stia succedendo.
Confido nell’estate. O in un nuovo governo.
Il Lettore 




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