“…..non
credo che occorra un talento particolare per sollevarsi da terra e librarsi a
mezz’aria.” Questa è forse
l’affermazione più cretina di tutto
questo libro, d’altra parte per altri versi assolutamente rimarchevole.
Provateci voi, e poi ditemi se è così facile come sostengono nel romanzo.
Un altro libro con
protagonista un bambino disadattato, povero in canna, pressoché rifiutato dai
genitori, praticamente nelle stesse condizioni dell’arminuta di qualche giorno fa. O perlomeno così sembra all’inizio.
Solo che stavolta il bambino si trova negli Stati Uniti, e la prosa è quella di Paul Auster, semplice e perfetta, scevra di paroloni e di tecniche sofisticate
messe apposta per le giurie dei concorsi. O per lo meno ci sono ma non si
notano, come dovrebbe essere.
Ed è solo per il livello
qualitativo superiore della prosa
che ho proseguito nella lettura, scoprendo che in realtà il romanzo non è altro
che l’autobiografia dei più di settant’anni di vita di tale Walt Rawley, che parte da quando viene
adottato da un presunto “mago” che riesce a far emergere dal ragazzo la sua capacità,
nientedimeno, di levitare in aria.
Questo presunto “mago”, Master Yehudi, non è che insegni qualcosa
di particolare a Walt, ma attraverso un opinabilissimo sistema di addestramento
(che comprende torture come il seppellirlo del tutto per un giorno intero sotto
la nuda terra) riesce a fare in modo che il ragazzo trovi dentro di sé il
potere di librarsi in aria. I due cominciano ad esibirsi in piazze e teatri
diventando rapidamente famosi e facoltosi, ma poi cominciano i guai…
Una biografia che più che una
storia è un quadro sintetico di un
certo tipo di società americana nell’arco di cinquant’anni, un po’ come hanno
fatto anche Moehringer, Lansdale e tanti altri autori, prendendone spunto per
trattare di temi come la povertà, il razzismo con tanto di Ku Klux Clan, l’alcolismo,
i gangsters, la passione per i tipici sport americani, l’opportunità per ciascuno
di diventare ricco e famoso, ma anche di crollare fino a cadere così in basso
che più in basso non si può. Se nel di molto precedente Trilogia di New York il tema dominante era la solitudine, in Mr Vertigo i protagonisti
approfondiscono il rapporto padre/figlio pur non essendoli naturalmente.
Non posso dire che il romanzo
mi sia piaciuto del tutto: resta per troppo tempo su quando il protagonista era
ancora bambino e c’è troppo baseball
per i miei gusti, ma ne ho apprezzato la prosa pulita e senza fronzoli, la
semplicità diretta e ricercata senza farlo pesare.
Inoltre c’è un considerevole
stacco stilistico tra la prima e la seconda metà del libro, cioè tra la
biografia di Walt fino a quando era ancora ragazzo e la sua vita da uomo, che
si fa via via più sbrigativa e dal tono più narrativo.
Se adesso mi capitasse un
altro libro con bambini poveri come protagonisti lo butterei direttamente.
Il Lettore
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