venerdì 9 febbraio 2018

L’arminuta


Uno dei casi editoriali degli ultimi tempi: una marea di edizioni, vincitore del Premio Campiello 2017, un plebiscito di ovazioni a osannarlo, alcune amiche a tentare di convincermi  che è molto bello. Mah. Non conoscendo l’abruzzese, sono andato a ricercare in rete il significato del titolo. Restituita, ritornata. Una ragazzina abbandonata. Mah. Scritto da una donna mai sentita nominare. Mah.
Sono sicuramente prevenuto. Come già sapete a me non piace minimamente il modo in cui vengono scelti i vincitori dei concorsi letterari, né i bambini né tutto ciò che è a loro connesso, e neanche le scrittrici sconosciute che diventano personaggi da un giorno all’altro.
Proviamo comunque a leggerlo, non si sa mai. Sono anche pronto a tornare indietro sui miei convincimenti, se le ragioni per poterlo fare sono solide. Ma devono essere solide.



E solide lo sarebbero anche: il romanzo è scritto bene, l’argomento può interessare, c’è abbastanza tensione narrativa che invoglia a proseguire per venire a conoscenza di quale fine farà questa ragazzina e del perché è stata sbolognata dai suoi genitori adottivi. Potrebbe interessare, ma io non ne sono rimasto coinvolto affatto.
Purtroppo, quando leggo un libro su cui ho dei preconcetti il mio senso critico è allertato e questo va a discapito sia del piacere di lettura che del giudizio sul libro stesso. Questo è un grave difetto che riconosco di avere e me ne dispiace, ma ritengo che chi ci rimetta di più sono io stesso. Per me il piacere di lettura è fondamentale, e se c’è qualche motivo che lo mina a priori è una tragedia soprattutto per me. E per nessun’altro.
E infatti il romanzo non mi è piaciuto. O meglio: ne posso anche riconoscere il valore, ma non ne sono rimasto per nulla interessato. Tanto è vero che sono stato spesso sul punto di abbandonarlo perché del destino della protagonista non me ne sarebbe potuto fregare di meno. Becero, gretto e meschino, dirà qualcuno. E se pensate questo non sarò certo io a darvi torto.
Un romanzo dalla prosa artatamente scarna, che fa leva su sentimenti di maternità comuni per lo più alle donne, con parecchi riferimenti torbidi al sesso e alle pulsioni adolescenziali. Nel quale la tradizionale povertà del Sud la fa da padrona insieme alle problematiche femminili. Stilisticamente non c’è una ricerca esasperata di termini poco comuni, di quelli che dovrebbero colpire, ma è infiorettato con arte da molte costruzioni studiate di quelle che piacciono tanto ai giudici dei concorsi letterari. A me ha lasciato come mi ha trovato, non prendendomi minimamente.
La cosa strana è che un libro così “meridionale” abbia vinto un concorso in Veneto. Quello che mi ha colpito di più in merito a questo romanzo è stato un commento trovato in rete di un lettore che ha affermato: “Ho dato 4 a questo romanzo. Avrei voluto dare 3, ma sono rimasto intimorito dal fatto che tutti hanno dato 5.” Complimenti. E che sei? Un bucciotto che si lascia influenzare dalle opinioni della massa? Se la maggioranza dice una cosa significa automaticamente che ha ragione? Ma quando mai?
Ne sarebbe contento Renzi…
Il Lettore 




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