Uno dei casi editoriali degli
ultimi tempi: una marea di edizioni, vincitore del Premio Campiello 2017, un
plebiscito di ovazioni a osannarlo, alcune amiche a tentare di convincermi che è molto bello. Mah. Non conoscendo
l’abruzzese, sono andato a ricercare in rete il significato del titolo.
Restituita, ritornata. Una ragazzina abbandonata. Mah. Scritto da una donna mai
sentita nominare. Mah.
Sono sicuramente prevenuto. Come
già sapete a me non piace minimamente il modo in cui vengono scelti i vincitori
dei concorsi letterari, né i bambini né tutto ciò che è a loro connesso, e
neanche le scrittrici sconosciute che diventano personaggi da un giorno
all’altro.
Proviamo comunque a leggerlo,
non si sa mai. Sono anche pronto a tornare indietro sui miei convincimenti, se
le ragioni per poterlo fare sono solide. Ma devono essere solide.
E solide lo sarebbero anche:
il romanzo è scritto bene, l’argomento può interessare, c’è abbastanza tensione
narrativa che invoglia a proseguire per venire a conoscenza di quale fine farà
questa ragazzina e del perché è stata sbolognata dai suoi genitori adottivi. Potrebbe
interessare, ma io non ne sono rimasto coinvolto affatto.
Purtroppo, quando leggo un
libro su cui ho dei preconcetti il
mio senso critico è allertato e questo va a discapito sia del piacere di
lettura che del giudizio sul libro stesso. Questo è un grave difetto che riconosco di avere e me ne
dispiace, ma ritengo che chi ci rimetta di più sono io stesso. Per me il
piacere di lettura è fondamentale, e
se c’è qualche motivo che lo mina a priori è una tragedia soprattutto per me. E
per nessun’altro.
E infatti il romanzo non mi è piaciuto. O meglio: ne posso
anche riconoscere il valore, ma non ne sono rimasto per nulla interessato.
Tanto è vero che sono stato spesso sul punto di abbandonarlo perché del destino
della protagonista non me ne sarebbe potuto fregare di meno. Becero, gretto e
meschino, dirà qualcuno. E se pensate questo non sarò certo io a darvi torto.
Un romanzo dalla prosa
artatamente scarna, che fa leva su sentimenti di maternità comuni per lo più
alle donne, con parecchi riferimenti torbidi al sesso e alle pulsioni
adolescenziali. Nel quale la tradizionale povertà del Sud la fa da padrona insieme alle problematiche femminili. Stilisticamente non c’è una ricerca esasperata di termini poco
comuni, di quelli che dovrebbero colpire, ma è infiorettato con arte da molte
costruzioni studiate di quelle che piacciono tanto ai giudici dei concorsi
letterari. A me ha lasciato come mi ha trovato, non prendendomi minimamente.
La cosa strana è che un libro
così “meridionale” abbia vinto un concorso in Veneto. Quello che mi ha colpito
di più in merito a questo romanzo è stato un commento trovato in rete di un
lettore che ha affermato: “Ho dato 4 a questo romanzo. Avrei voluto dare 3, ma
sono rimasto intimorito dal fatto che tutti hanno dato 5.” Complimenti. E che
sei? Un bucciotto che si lascia influenzare dalle opinioni della massa? Se la
maggioranza dice una cosa significa automaticamente che ha ragione? Ma quando
mai?
Ne sarebbe contento Renzi…
Il Lettore
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