Pare che sotto lo pseudonimo
di Andy McNab si nasconda un
ex-sergente dello Special Air Service britannico, un po’ l’equivalente dei Navy Seals e della Delta Force statunitensi, corpo celebrato nella letteratura soprattutto
da Frederic Forsyth e i membri del
quale sembrano essere una via di mezzo tra Rambo
e la versione buona di Darth Vader
prima di abbandonarsi al Lato Oscuro della Forza.
Superuomini rotti a tutte le
esperienze (da come li descrive Forsyth), combattenti
addestratissimi in ogni disciplina, a loro agio sia in acqua sia in cielo e la
cui fedeltà al corpo di appartenenza è pari solo al loro sapersi muovere
nell’ombra e nel silenzio.
Tanti anni fa una mia amante
mi disse che ero l’unico uomo di sua conoscenza che avrebbe visto bene a far
parte della Legione Straniera (che
sarebbe l’equivalente francese; e non so ancora adesso se lo intendesse come un
complimento nei miei confronti o se sott-intendesse il desiderio di non avermi
tra i piedi per almeno cinque anni), ma pur avendo già fatto a suo tempo un
pensierino sulla Legione non credo che sarei riuscito a superare la fase di
addestramento necessaria per entrare nel SAS.
Non per altro che per la
miopia, che avete pensato?
Dopo essersi congedato
dall’esercito Andy McNab ha pensato
bene di mettersi a scrivere, e quale migliore background della sua carriera di veterano delle forze speciali? Il
suo primo romanzo parzialmente autobiografico, Pattuglia Bravo Two Zero, ha avuto un immediato successo di
pubblico, dopodiché ne ha scritti un’altra ventina
tutti sullo stesso genere, inventandosi un protagonista seriale dall’originale
nome di Nick Stone, con le sue
stesse esperienze di vita, al quale affidare i casi più ostici e pericolosi.
Meglio se c’è anche da ammazzare qualche “cattivo” senza stare troppo a
pensarci sopra.
Ho già letto il primo romanzo
di McNab e un paio dei successivi, e questo Lo sterminatore è del tutto sulla stessa linea dei precedenti.
Stone è chiamato da un amico ad aiutarlo in un’azione da mercenari e, come in
un film con il giovane Clint Eastwood,
i due prima le buscano di brutto e poi trionfano alla grande (almeno
in parte). Tutto nella
norma, viva l’originalità.
Il romanzetto è leggero e la
lettura anche scorrevole, l’autore si mostra abbastanza pragmatico e in fondo il
libro si lascia leggere ma, dal momento che i paragoni vengono spontanei e
tanto per restare nello stesso genere narrativo, anche se cominciasse a saltare
a più non posso non riuscirebbe nemmeno ad arrivare a sfiorare il ginocchio di un Lee Child.
Child sa renderti interessante tutto ciò di cui parla e sa benissimo quando è il momento di
tralasciare e quando di insistere, e dove lo fa ti rende tutto più chiaro. McNab
insiste dove non dovrebbe con il risultato di annoiarti quando vorresti invece
andare avanti veloce e trasforma le scene di azione in un guazzabuglio di arti
che si muovono senza scopo. Se Child ti spiega perfettamente le descrizioni
degli strumenti utilizzati (armi, visori, grimaldelli, paracadute, bombe
eccetera), con McNab hai difficoltà a capire se un certo numero è il calibro di
una rivoltella o la combinazione di una cassaforte. Per non parlare delle
sigle. Forse per apparire più professionale, in un eccesso di uso dell’ellisse
McNab ha riempito il testo di acronimi e sigle per alcune delle quali a volte non
fornisce nemmeno la spiegazione per esteso: andiamo alla DLB, hai preso la NCCT?,
superiamo il VCT! A capire cosa significa DNA ci sono arrivato.
Da quanto ricordo della
lettura degli altri romanzi di McNab che ho letto, questo Lo sterminatore è risultato nettamente inferiore come qualità e
piacevolezza di lettura. Come al solito: la quantità è nemica della qualità, e
anche i veterani invecchiano.
Il Lettore
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