sabato 31 dicembre 2016

L’isola dei cacciatori di uccelli

Evvai! Ce l’ho fatta! Ho terminato questo romanzo! Ma ti sei rimbecillito? Finito! Finito! (Colonna sonora: il club di Topolino dal film Full Metal Jacket). Sì, sei proprio scemo. Non puoi capire, l’ho finito! Sì, questo mi pareva di averlo sospettato, ma cosa ci sarebbe di così sensazionale? Avevo cominciato a leggerlo sette mesi fa! Diavolo, hai un po’ rallentato la velocità di lettura?
No, è che questo romanzo di Peter May mi era stato caldamente consigliato da più di una persona e me lo avevano anche fornito in forma elettronica, ma il fatto è che, dopo averlo iniziato, come lettura non mi aveva mai preso, anzi, per i miei gusti era decisamente noioso, e così ogni volta che dovevo riprenderlo mi metteva pensiero e quindi vi ho attinto solo le volte che non avevo proprio altro da leggere.
Contento tu…
Già è tanto che l’ho terminato senza abbandonarlo per strada, ma il bello è che sarebbe la prima puntata di una trilogia, e mi hanno gentilmente rifornito anche dei seguiti. Presto metterò mano anche a quelli. Per cancellarli direttamente.




Fin McLeod è un poliziotto scozzese che viene chiamato a indagare su un omicidio commesso nell’isola di Lewis con lo stesso modus operandi di un altro assassinio effettuato a Edimburgo, e per questo gli inquirenti pensano che a commetterli sia stata la stessa persona. A McLeod è morto un figlio da poco (e ti pareva che il protagonista non avesse un qualche problema) e tanto bene lui stesso è nato e cresciuto nell’isola di Lewis, per cui la vicenda dell’omicidio finirà con l’intrecciarsi alle sue vicissitudini personali che l’autore ripercorre alternando capitoli al tempo presente, narrati in terza persona, a capitoli (narrati in prima persona da egli stesso) nei quali McLeod era dapprima bambino, poi fanciullo e quindi adolescente fino alla sua partenza dall’isola per frequentare l’università.
Ovviamente alla fine McLeod chiarirà tutti gli aspetti dell’omicidio ― dalle motivazioni come minimo discutibili ― affondando nel proprio passato e portando alla luce segreti che gli abitanti dell’isola avevano fatto di tutto per tenere nascosti.
Perché la trama del romanzo è più che altro una scusa per indagare sulla vita degli abitanti dell’isola di Lewis e delle altre isole sperdute nell’oceano artico dove le condizioni di vita sono proibitive. In particolare Peter May descrive accuratamente ― e vi dedica un mucchio di pagine ― il modo particolare di cacciare la sula, un grosso uccello marino che nel romanzo viene chiamata guga, per farne un piatto prelibato. Un sistema usato da centinaia di anni e che per un adolescente nato in quelle isole assume il significato di una vera e propria iniziazione all’età adulta. Tutto ciò che succede nel corso della caccia, che si svolge su uno scoglio desolato e sperduto nell’immensità dell’oceano, non deve assolutamente uscire dall’interno del gruppo di uomini che vi partecipano, e ciò che vi succede la volta in cui McLeod vi partecipa da ragazzo avrà un significato importante sulle motivazioni dell’omicidio su cui si trova ad indagare vent’anni più tardi.
Per arrivare a queste motivazioni e scoprire l’assassino ci ho messo sette mesi. Non posso però affermare che sia un brutto romanzo ― nelle pagine finali si riscatta un pochino anche come velocità di lettura ― perché spunti interessanti in fondo ce ne sono (ma proprio in fondo), e ammetto che qualcuno potrà anche rimanerne soddisfatto, ma quando a me una cosa non prende dall’inizio poi ce ne vuole per farmi cambiare idea.
Il Lettore 

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