Sottotitolo: pur presentandolo bene.
Per fortuna in questi ultimi
tempi nella redazione della casa editrice con cui collaboro arriva pochissima roba(ccia) da valutare. Sarà
merito dell’invito in grassetto a
non spedire nulla perché non è il momento? Di sicuro da molti è stato recepito,
ma c’è sempre qualcuno che degli inviti non tiene conto quasi fossero fatti
solo per tutti gli altri ad eccezione del sottoscritto. Ma come? Ho scritto un
capolavoro e tu non vuoi nemmeno leggerlo? Ma che modo di fare è? Non si fa
così, io te lo mando lo stesso, poi vedrai se non avevo ragione.
E dal momento che l’esimio
editore sa perfettamente che la percentuale di materiale decente che arriva rimane
sempre la stessa (lo 0.5%, malgrado le
convinzioni personali degli autori ― vale a dire uno su duecento), l’altro giorno mi ha sbolognato l’ultimo romanzo arrivatogli. Della serie: meglio che le
porcate le leggi tu, almeno io non inquino la mia mente preziosa.
In effetti era sì una schifezza,
ma perlomeno era presentato benissimo! Il pacco (metaforico) era costituito da
tre files: romanzo, sinossi e note
biobibliografiche dell’autore.
Cominciamo a leggere le note. Scopro così che lo scrittore è un
professore di letteratura alle superiori. Almeno non ci saranno errori d’ortografia,
penso, facendomi forte dell’esperienza pregressa: i professori di letteratura non sanno scrivere, ma perlomeno di
errori non ne fanno… qualche volta. Ha già pubblicato tre o quattro sillogi di
poesia, un paio di romanzi e un paio di saggi. Male, malissimo, penso, non
promette per niente bene. Poi penso anche che in effetti un professore di
letteratura che scrive poesie decenti
lo conosco anche personalmente, e allora decido di non lasciarmi influenzare. Almeno
per il momento.
Apro il file della sinossi. E mi cascano le palle (per l’ennesima
volta). Santiddio, ma per quale funambolico motivo devi ambientare il tuo
romanzo a New York se sei di… non ve lo posso dire ma fidatevi, è
italianissimo. Magari nella Grande Mela ci sarai anche stato, ma visto che la
trama che proponi è trita e ritrita perché non l’hai ambientata a Roma? O a
Perugia? E con personaggi italiani e non americani? Trama? Solamente mezza,
perché nella sinossi ne è riportato il riassunto solo fino a metà romanzo, dopodiché
consiglia al sottoscritto di leggere il romanzo per sapere come va a finire. Doppio
giramento di palle; scrivendo così ha raggiunto esattamente lo scopo contrario a quello che si era prefisso,
cioè di incuriosire il Valutatore. Con me questi trucchetti di bassa lega non
funzionano, anzi, mi indispongono proprio.
E così mi sono accinto alla
lettura del romanzo da indisposto, la
condizione d’animo peggiore per poter confidare nella benevolenza di chi sta
per giudicare la tua opera.
Apro il file del romanzo e
scopro un’impaginazione perfetta, da
libro stampato, leggibilissimo senza alcuna difficoltà: il carattere è un
semplice Times New Roman in corpo 14,
con la giusta spaziatura tra le righe e i
giusti margini. Vedi che l’aver già pubblicato gli è servito, penso. Le pagine
sono numerate e già dalle prime righe mi accorgo che mancano del tutto errori e
refusi. L’ha anche riletto, sempre merito dell’aver già pubblicato. E non
scordiamoci che è un professore di letteratura… Forse l’unico appunto potrebbe
essere la presenza di un po’ troppi punti esclamativi ― almeno 12 nelle prime
due pagine ― ma riserviamoci di giudicare. Per ora.
Come si diceva: perfetto.
Ma.
Ho retto poche pagine: una
trattazione senza errori ma noiosissima,
ma di più, con un narratore onnisciente che già nel primo capitolo ti sviscera
vita, morte, miracoli, pensieri, turbamenti, speranze, emozioni, passato,
presente e futuro e aspirazioni di un tizio del quale ti scordi ben presto anche
il nome (tanto è americano), e poi continua nei successivi fornendoti
informazioni su amici e parenti del tizio, e su come l’ha cresciuto la madre e
su cosa pensano di lui le ragazze eccetera senza che succeda assolutamente nulla. Una mole infinita di informazioni
del tutto inutile per inquadrare una persona, che non ti fa venire nemmeno un
briciolo di curiosità per il proseguire e ti induce solo a chiudere il computer
e andare a passeggiare per boschi. Ma subito, perché adesso fa buio presto.
Un’ennesima conferma: i
professori di lettere non necessariamente
sanno anche scrivere.
Il Valutatore
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