Un nuovo Joe R. Lansdale!
Va bene, magari voi non ne sarete così entusiasti e penserete che le recensioni di questo autore stanno diventando un tormentone come nel caso di Maurizio De Giovanni. Ma che ci posso fare se a me piace? Del resto il blog è mio, lo gestisco io e ci inserisco ciò che mi piace nel modo che più mi piace. E a me Lansdale piace, e se voleste vedere ciò che ne ho scritto fino ad ora non dovete fare altro che cliccare il suo nome qui alla vostra destra sulla colonna delle etichette.
La
foresta fa parte della corrente
di romanzi di formazione scritti dal
nostro ed è stato pubblicato nel 2013. In questo caso l’ambientazione è una parte selvaggia nel nord del Texas degli
Stati Uniti di inizio Novecento, nel momento di transizione tra ciò che siamo
abituati a vedere nei film western e
l’America successiva alle guerre mondiali, quando per intenderci compaiono le
automobili nella stessa scena dei cowboys.
I protagonisti sono: un ingenuo ragazzo di sedici anni al quale già
nelle primissime pagine vengono a mancare i genitori colpiti dal vaiolo, gli
rapiscono la sorella, gli uccidono il nonno e lui si trova sbalzato di colpo in
situazioni nettamente più grandi di lui, di quelle che ti fanno crescere alla
svelta; un nano colto, incazzereccio
e dalla pistola facile; un erculeo becchino negro con ascendenti pellerossa; una puttana carina e desiderosa di cambiare vita; uno sceriffo sfregiato, a metà strada tra
il delinquente e l’uomo di legge; non ultimo un intelligentissimo maiale che si comporta più come un cane
che da suino.
Tutto il romanzo è
imperniato su Jack Parker che parte
alla ricerca della sorella rapita dai cattivi di turno, che sono proprio
cattivi, ma veramente cattivissimi, sconvolgente quanto siano cattivi, aiutato
dai comprimari citati sopra e che narra la sue avventure in prima persona. Le
peripezie alle quali va incontro l’eterogeneo e strampalato gruppetto assumono
connotati grotteschi, a volte esilaranti, crudi all’estremo quando Lansdale
descrive le vette a cui può arrivare la crudeltà dell’uomo e spesso ripugnanti,
senza tralasciare episodi pieni di tenerezza. Il tutto raccontato nel suo solito
stile che è velocissimo, colloquiale, di quelli che quando cominci a leggere
non riesci più a staccarti.
Come per gli altri suoi romanzi
sono rimasto colpito dall’uso incisivo che Lansdale fa delle similitudini e delle metafore: “Un’acqua fredda come il culo di un escavatore di pozzi.” Oppure: “Papà diceva sempre che nonno era così
tirato che quando batteva le palpebre gli si scappellava l’uccello.” E
ancora: “…sembrava fosse stato avvolto
dalle fiamme e che qualcuno avesse cercato di spegnerle con un’accetta dalla
lama non troppo affilata.” Immagini che strappano spesso un sorriso, che
magari si spegne subito dopo nel momento in cui Hog (il maiale) comincia allegramente a pasteggiare con la faccia di un uomo non ancora morto per le
pallottole che gli hanno sparato contro. Ma l’autore è anche capace di inserire
al momento giusto riflessioni più serie:
“- Il problema,
figliolo, - disse Shorty, - è che non esiste nessuno sui due lati della
barricata che misura le tue azioni. Dio è un'idea, e il diavolo siamo noi.”
Il romanzo si dipana con
una fluidità da provare veramente un senso di invidia nei confronti di un
autore che possiede una capacità sublime di raccontare storie, inserendovi come
suo solito le tematiche a lui care: gli Stati Uniti rurali, l’emarginazione, l’integrazione
sociale, la povertà, e riesce pure a rendere divertente il tutto. Un vero e
proprio maestro, dotato di una capacità fabulatoria da narratore di altri
tempi.
Il Lettore
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