martedì 15 settembre 2015

Il padre infedele

Veramente perfetto questo romanzo di Antonio Scurati che è stato tra i finalisti nel Premio Strega 2014: Il padre infedele esibisce ortografia e sintassi perfette, ricerca lessicale perfetta, introspezione psicologica più che perfetta.
Talmente perfettino che l’ho piantato dopo ottanta pagine: non ne potevo proprio più!




Una perfezione che sfocia fin dalle prime pagine in una noia mortale: una masturbazione mentale continua di questo protagonista che racconta la sua storia banale come tante altre, con le problematiche di laureato, lavoratore, fidanzato, marito, padre uguali a quelle di tanti altri uomini ma rese insopportabili dalla saccenteria con cui Scurati ha costellato ogni riga di questa sua opera.
Alla faccia della famosa casalinga di Voghera l’autore ha scritto un romanzo per pochi letterati (e si annoiano anche loro, prima o poi…) infarcendolo di termini ricercatissimi e dall’arcano concetto, dei quali qualche volta devi anche cercare il significato sul dizionario (eeehhhh… che vuoi, colpa mia che sono ignorante, leggo troppo poco!). Nichilismo maturo, idiosincrasia, intemperanza cosmica, infecondità ambientale, culinaria di un’epoca esangue (che cazzo vuol dire qualcuno me lo dovrebbe spiegare), intronazione, murmure polmonare, discepolanza sono solo alcuni dei termini quantomeno inusuali che si incontrano quasi a ogni paragrafo, per culminare con l’orgiastico “eudaimonia” (lo sapete tutti cosa significa, vero?), volendo usare il quale Scurati non si è limitato alla forma corretta della lingua italiana “eudemonìa” (dal vocabolario Treccani: nel pensiero filosofico, la felicità intesa come scopo fondamentale della vita), ma ha preferito inserire nientepopodimenoché l’originale radice derivante dal greco antico. Tanto per rendere le cose più semplici alla casalinga di Voghera.
Ma già, dimenticavo, un libro del genere non è scritto per costei: un libro del genere è costruito ad hoc per la giuria del Premio Strega, ai cui giurati devi far vedere quanto sei colto ed erudito, anche se poi del loro parere quelle quattro case editrici che ogni anno si spartiscono il premio se ne fottono del tutto.
Continuando sulla stessa scia, nelle prime ottanta pagine (dopo non so, e non lo saprò mai, e mi crogiolerò in questa ignoranza) Scurati inserisce una dopo l’altra citazioni di Hegel, Hemingway, Nietzsche, Tolstoj, Neruda e Stendhal, tanto per citarne alcuni e scusa se sono pochi, non dimenticandosi di nominare anche il Noma di Copenhagen, nel quale il protagonista si vanta di aver mangiato pure senza prenotazione (a proposito, è notizia dell’altro giorno che anche quest’anno il locale è assurto al ruolo di miglior ristorante del mondo).
Come dicevo, dopo ottanta pagine ne avevo i marroni pieni.
Oltretutto, leggendo una storia attraverso la quale io, come la quasi totalità degli altri maschietti maturi, sono già passato; esperienza già fatta, con poco di diverso, e senza alcuna voglia di sentire qualcun altro che me la ripete cercando di far vedere quant’è bravo. Oh, sì, Scurati bravo lo è senz’altro e ha fatto di tutto per metterlo in bella mostra.
Un bravo per pochi.
Leggo in rete che oltre ai vari titoli accademici è anche un insegnante di scrittura creativa. Lo sono anch’io. Anche se non così dotto e acculturato come lui. Ai miei “alunni” io cerco di far capire il valore della sobrietà nella scrittura: l’uso di un linguaggio semplice, di termini accessibili a tutti, di una sintassi lineare. Il lettore devi prenderlo, non stupirlo col tuo sapere.
Chissà se nei suoi corsi anche lui divulga lo stesso concetto. E nel caso, sarei curioso di conoscere la giustificazione per questa discrepanza tra operato del discente e insegnamento ai discepoli: predicare bene e razzolare male?
Il Lettore nauseato dalla perfezione

Nessun commento:

Posta un commento