Che dire? Di questo 1Q84 si è parlato molto, ci hanno
scritto dei saggi sopra e ne è stato tratto perfino un film, e io non vorrei
ripetere cose già dette da qualcun altro ma gira che ti rigira mi toccherà.
Personalmente? Mi ha lasciato molto perplesso: se da una parte c’è una prosa superba,
cristallina, che fa veramente piacere leggere ― e questo è merito anche del
traduttore Giorgio Amitrano ― e vi
si trovano personaggi, situazioni ed episodi interessanti, dall’altra c’è una
prolissità fuori dal consueto che a volte annoia e ti fa domandare il perché
mai Haruki Murakami (detto all’italiana,
col nome prima del cognome) abbia voluto allungarlo così (ma la cosa sicura è
che lo ha fatto intenzionalmente): narrazioni lentissime, ripetizioni continue,
oltre alla dimensione onirica, fantasiosa, surreale, che non riesco ad
apprezzare perché è fuori dai miei schemi mentali.
Di certo, oltre all’omaggio a
George Orwell ― il titolo 1Q84 è mutuato da 1984, con una “Q” che in giapponese ha la stessa pronuncia del
numero “9” e che sta anche per question
mark, punto di domanda ― Murakami ha inteso omaggiare anche Marcel Proust e la sua Recherche che nel romanzo ha un ruolo
fondamentale, e lo ha fatto anche ricalcando
lo stile tutt’altro che conciso di Proust. A chi voglia scorrerlo
cercando di capire che cosa l’autore ha voluto comunicare tra le righe, auguro
buona fortuna. Viene la sensazione leggendolo che Murakami abbia voluto
nascondere un riferimento e un concetto dietro ogni riga, lasciando che si
intuisca molto di più di ciò che esplicita.
Oltre ai concetti trattati di
più facile comprensione infatti, come l’amore, la morte, la famiglia, la
religione, Murakami sfiora argomenti importanti come il tema del doppio caro a
Stevenson, l’incertezza del vivere nella
società odierna, l’oppressione che le usanze giapponesi esercitano sul singolo,
l’onnipresenza del potere delle multinazionali, le violenze sulle donne e la
scrittura stessa, e collocare tutto questo in uno schema ordinato risulta molto
difficile.
La scrittura… nel romanzo ha
un ruolo fondamentale perché i protagonisti stessi incarnano stereotipi di
scrittori diversi: Aomame Masami (sempre
detto all’italiana) è una bella trentenne insegnante di fitness, ma è anche un killer
che uccide uomini colpevoli di violenze su donne e bambine; Tengo Kawana è un insegnante di
matematica, genio precoce, ma anche un ghost
writer che riscrive un libro inquietante e pericoloso ideato da Eriko Fukada (Fukaeri), scatenando una sequela
di avvenimenti che trasporteranno Aomame e Tengo in una dimensione parallela
nella quale verranno braccati per ordine di una setta religiosa.
Il tema della scrittura è
sublimato nei due personaggi Fukaeri e Tengo, dei quali la prima rappresenta la
creatività senza concretezza, l’altro l’esperienza e la bravura senza
creatività.
Sparsi nelle 1100 pagine del
romanzo altri personaggi degni di considerazione e caratterizzati in modo
splendido: Tamaru Ken’ichi, qualcosa
di più di una semplice guardia del corpo e anche un inno alla professionalità; Ogata Shizue, l’anziana ricca signora
che vuole proteggere e vendicare le donne vittime di violenze; Ushikawa Toshiharu, il caratteristico
investigatore che si lancia come un mastino sulle tracce dei due giovani. Personaggi
che restano impressi nella memoria per come Murakami li ha saputi definire, e
di sicuro non ha certo centellinato le parole.
Tutto sommato non posso dire
che non mi sia piaciuto, anche solo per il fatto che ogni tanto mi tornano in
mente, oltre ai protagonisti e al di là della trama, alcuni di questi
personaggi.
Una cosa curiosa: tra i brani
musicali che costellano 1Q84 come
tutti gli altri libri di Murakami, in questo caso assume particolare rilevanza
la Sinfonietta di Leoš Janáček, il cui disco è stato oggetto di
un’impennata nelle vendite dopo la pubblicazione di questo romanzo.
Sì, lo confesso, dopo aver letto il libro, preso dalla curiosità sono
andato a ricercarne una versione su youtube
per cercare di capire come mai abbia rivestito tanta importanza per Murakami da
farne la colonna sonora portante del romanzo.
Purtroppo non l’ho mica
capito: il brano non mi è nemmeno piaciuto.
Il Lettore
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