giovedì 23 luglio 2015

1Q84

Che dire? Di questo 1Q84 si è parlato molto, ci hanno scritto dei saggi sopra e ne è stato tratto perfino un film, e io non vorrei ripetere cose già dette da qualcun altro ma gira che ti rigira mi toccherà. Personalmente? Mi ha lasciato molto perplesso: se da una parte c’è una prosa superba, cristallina, che fa veramente piacere leggere ― e questo è merito anche del traduttore Giorgio Amitrano ― e vi si trovano personaggi, situazioni ed episodi interessanti, dall’altra c’è una prolissità fuori dal consueto che a volte annoia e ti fa domandare il perché mai Haruki Murakami (detto all’italiana, col nome prima del cognome) abbia voluto allungarlo così (ma la cosa sicura è che lo ha fatto intenzionalmente): narrazioni lentissime, ripetizioni continue, oltre alla dimensione onirica, fantasiosa, surreale, che non riesco ad apprezzare perché è fuori dai miei schemi mentali.




Di certo, oltre all’omaggio a George Orwell ― il titolo 1Q84 è mutuato da 1984, con una “Q” che in giapponese ha la stessa pronuncia del numero “9” e che sta anche per question mark, punto di domanda ― Murakami ha inteso omaggiare anche Marcel Proust e la sua Recherche che nel romanzo ha un ruolo fondamentale, e lo ha fatto anche ricalcando  lo stile tutt’altro che conciso di Proust. A chi voglia scorrerlo cercando di capire che cosa l’autore ha voluto comunicare tra le righe, auguro buona fortuna. Viene la sensazione leggendolo che Murakami abbia voluto nascondere un riferimento e un concetto dietro ogni riga, lasciando che si intuisca molto di più di ciò che esplicita.
Oltre ai concetti trattati di più facile comprensione infatti, come l’amore, la morte, la famiglia, la religione, Murakami sfiora argomenti importanti come il tema del doppio caro a Stevenson,  l’incertezza del vivere nella società odierna, l’oppressione che le usanze giapponesi esercitano sul singolo, l’onnipresenza del potere delle multinazionali, le violenze sulle donne e la scrittura stessa, e collocare tutto questo in uno schema ordinato risulta molto difficile.
La scrittura… nel romanzo ha un ruolo fondamentale perché i protagonisti stessi incarnano stereotipi di scrittori diversi: Aomame Masami (sempre detto all’italiana) è una bella trentenne insegnante di fitness, ma è anche un killer che uccide uomini colpevoli di violenze su donne e bambine; Tengo Kawana è un insegnante di matematica, genio precoce, ma anche un ghost writer che riscrive un libro inquietante e pericoloso ideato da Eriko Fukada (Fukaeri), scatenando una  sequela di avvenimenti che trasporteranno Aomame e Tengo in una dimensione parallela nella quale verranno braccati per ordine di una setta religiosa.
Il tema della scrittura è sublimato nei due personaggi Fukaeri e Tengo, dei quali la prima rappresenta la creatività senza concretezza, l’altro l’esperienza e la bravura senza creatività.
Sparsi nelle 1100 pagine del romanzo altri personaggi degni di considerazione e caratterizzati in modo splendido: Tamaru Ken’ichi, qualcosa di più di una semplice guardia del corpo e anche un inno alla professionalità; Ogata Shizue, l’anziana ricca signora che vuole proteggere e vendicare le donne vittime di violenze; Ushikawa Toshiharu, il caratteristico investigatore che si lancia come un mastino sulle tracce dei due giovani. Personaggi che restano impressi nella memoria per come Murakami li ha saputi definire, e di sicuro non ha certo centellinato le parole.
Tutto sommato non posso dire che non mi sia piaciuto, anche solo per il fatto che ogni tanto mi tornano in mente, oltre ai protagonisti e al di là della trama, alcuni di questi personaggi.
Una cosa curiosa: tra i brani musicali che costellano 1Q84 come tutti gli altri libri di Murakami, in questo caso assume particolare rilevanza la Sinfonietta di Leoš Janáček, il cui disco è stato oggetto di un’impennata nelle vendite dopo la pubblicazione di questo romanzo.
Sì, lo confesso, dopo aver letto il libro, preso dalla curiosità sono andato a ricercarne una versione su youtube per cercare di capire come mai abbia rivestito tanta importanza per Murakami da farne la colonna sonora portante del romanzo.
Purtroppo non l’ho mica capito: il brano non mi è nemmeno piaciuto.
Il Lettore

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