Che cosa si può dire di una
lettera che ci arriva dopo 2300 anni
che è stata spedita? Come minimo che i ritardi delle Poste si fanno sempre più
esagerati. Ha ha ha. Sì, lo so da solo, grazie: battuta di bassa lega.
Ma non dobbiamo rimanerne
amareggiati, anzi, dobbiamo essere contenti che perlomeno ci sia arrivata,
questa lettera, insieme agli altri scritti di questo pensatore che nel corso
dei secoli è stato ingiustamente perseguitato, frainteso, discreditato, calunniato,
sottovalutato, equivocato, condannato fin da quando era ancora in vita.
In questa lettera che Epicuro ha inviato a Meneceo sono riassunte le basi della
dottrina del filosofo greco, in seguito distorte dai suoi numerosi detrattori
che ne hanno evidenziato l’aspetto superficiale ed edonistico senza voler indagare a fondo sui contenuti.
Contenuti che inneggiano al
piacere, sì, ma soprattutto al piacere derivante da una semplicità di vita da
seguire in ogni manifestazione, rifuggendo esagerazioni, lussi ed eccessi. Epicuro
trova che la felicità sia nella semplicità, nell’amicizia, nelle piccole cose,
nei desideri “naturali” e nella consapevolezza della conoscenza personale di
quali siano questi desideri.
Epicuro sottolinea che ogni
piacere è un bene, ma che vi sono piaceri e piaceri, e che tutto va preso con
discrezione e cognizione di causa: “l’abbondanza
si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. (…) Quando dunque diciamo
che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci,
come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo
interpretano male, ma quando aiuta il corpo a non soffrire e l’animo a essere
sereno.”
Come dargli torto?
È leggendo questa lettera
che inoltre si capisce in pieno il concetto di come sia insensato temere la
morte: “La morte, il più atroce dunque di
tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando
c’è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi
non c’è, i morti non sono più. (…) Il vero saggio, come non gli dispiace
vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un
male il non vivere.”
Mi ripeto: come dargli
torto?
Il Lettore
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