lunedì 18 novembre 2013

Lettera sulla felicità

Che cosa si può dire di una lettera che ci arriva dopo 2300 anni che è stata spedita? Come minimo che i ritardi delle Poste si fanno sempre più esagerati. Ha ha ha. Sì, lo so da solo, grazie: battuta di bassa lega.

Ma non dobbiamo rimanerne amareggiati, anzi, dobbiamo essere contenti che perlomeno ci sia arrivata, questa lettera, insieme agli altri scritti di questo pensatore che nel corso dei secoli è stato ingiustamente perseguitato, frainteso, discreditato, calunniato, sottovalutato, equivocato, condannato fin da quando era ancora in vita.


In questa lettera che Epicuro ha inviato a Meneceo sono riassunte le basi della dottrina del filosofo greco, in seguito distorte dai suoi numerosi detrattori che ne hanno evidenziato l’aspetto superficiale ed edonistico  senza voler indagare a fondo sui contenuti.
Contenuti che inneggiano al piacere, sì, ma soprattutto al piacere derivante da una semplicità di vita da seguire in ogni manifestazione, rifuggendo esagerazioni, lussi ed eccessi. Epicuro trova che la felicità sia nella semplicità, nell’amicizia, nelle piccole cose, nei desideri “naturali” e nella consapevolezza della conoscenza personale di quali siano questi desideri.
Epicuro sottolinea che ogni piacere è un bene, ma che vi sono piaceri e piaceri, e che tutto va preso con discrezione e cognizione di causa: “l’abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. (…) Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quando aiuta il corpo a non soffrire e l’animo a essere sereno.
Come dargli torto?
È leggendo questa lettera che inoltre si capisce in pieno il concetto di come sia insensato temere la morte: “La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c’è, i morti non sono più. (…) Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere.
Mi ripeto: come dargli torto?
Il Lettore

Nessun commento:

Posta un commento