In
realtà, questo post volevo intitolarlo: Non fidatevi di nessuno, non fidatevi della
televisione e nemmeno di vostro padre, e men che meno di ciò che leggete sui
giornali. Ma, a parte che come titolo sarebbe stato davvero troppo lungo, esso
avrebbe fornito fin dall’inizio una specie di morale che invece, come nelle favole, andrebbe rivelata solo alla
fine del racconto. E poi così è più intrigante.
Avete presente i più grandi
personaggi dei fumetti? Prima o poi, di tutti quanti è uscita un’avventura in
cui sono state raccontate le loro origini: Il
primo morso di Spiderman; Tex Willer e le tre “p”: pugni, pannolini e
pallottole; La culla kryptonitica di Superman; Batman quando era ancora uno
sfigato; Diabolik e il biberon
assassino e così via, e su questa scia ho deciso di raccontarvi le vere origini di Freereader e di come è nato questo blog, tanto bene in concomitanza con il suo secondo compleanno.
Mettetevi comodi.
Era una giornata buia e
tempestosa… stavo parlando con una mia amica
giornalista nella redazione di un quotidiano locale e lei si stava lamentando
di non avere il tempo per scrivere le recensioni ad alcuni libri che le erano
giunti in omaggio affinché, appunto, fossero commentati sul giornale per un
briciolo di pubblicità.
Non ricordo di chi dei due fu
l’idea, fatto sta che al termine della conversazione eravamo d’accordo sul
fatto che lei mi avrebbe regalato quei
libri, e io ne avrei scritti i
commenti. La criptica firma “Freereader”
mi venne spontanea. Libero lettore: come
mi sono sempre sentito.
Il tutto naturalmente a gratis. Ma che vuoi. Va be’, del
resto mi diverto, e sarebbe anche una maniera di impinguare la mia biblioteca.
Sì, magari.
I libri che le arrivavano non
richiesti in redazione erano tutti capolavori
di self publishing, del tipo di quelli
che io come Valutatore stavo già bocciando in maniera seriale, ma in questo
caso gli autori, non soddisfatti del responso delle case editrici alle quali li
avevano dapprima spediti, se li erano pubblicati da soli con ovvi risultati.
Mascherando la delusione lessi
una silloge di poesie (puah!), ne
scrissi una recensione sincera e solo moderatamente cattiva, pure abbastanza
ironica, perfetta (a mio parere) per un quotidiano di provincia bisognoso di
risollevare un po’ il tono, e la spedii all'amica giornalista.
Lei mi fece notare che non
avevo mica capito.
«Le recensioni devono essere
tutte positive!» disse.
«Positive?» chiesi (con solo
un pizzico di stupore).
«Positive!»
«Ma queste poesie fanno
schifo.»
«Non importa, non possiamo
parlarne male.»
«E perché mai?»
«È la linea editoriale del
giornale.»
«Quale linea, quella di
sparare cazzate?»
«Così vuole il Direttore.»
Non c’era più altro da dire.
A malincuore riscrissi il pezzo tentando di osservare quelle insignificanti
poesie da una diversa angolazione. E man mano che scrivevo scivolavo in una
sottile spirale di nervosismo:
Freereader. Libero lettore. Libero lettore un cazzo! Ma tant’è.
Attingendo alla capacità tipica di qualche Gemelli di
essere capaci di parlare sia male che bene di qualsiasi cosa, individuando quelli
che in un concetto possono essere aspetti negativi ma allo stesso modo essendo
perfettamente in grado di ribaltarne del tutto il significato, la nuova
recensione venne splendida, di
quelle che, se l’avesse fatta propria Fabio
Fazio in tivvù, la porcata avrebbe venduto millemila copie.
«Perfetta» disse la mia amica e la pubblicò in un battibaleno. E ci
credo, pensai, a rileggere le mie parole l’avrei comprata anch’io, quella collezione
di merdine.
La cosa buffa fu che l’autrice delle merd poesie contattò la
mia amica manifestando il suo incommensurabile entusiasmo per il modo veramente superbo con cui il recensore aveva
saputo cogliere lo spirito che lei
aveva voluto infondere nella sua opera. Non ebbi parole. Ci sarebbe mancato anche
che avesse preteso di conoscermi di persona.
Credeteci, tutto vero.
L’avventura con il quotidiano
terminò alla seconda recensione,
fotocopia della prima. Detti forfait
di mia spontanea volontà. Non potevo proprio continuare a scrivere mucchi di
cazzate per opere che se fossero arrivate in casa editrice non ne avrei
proseguito la lettura oltre la seconda pagina. Ero di nuovo disoccupato,
metaforicamente parlando, ma l’idea di far sapere al mondo il mio parere, quello
reale, sulle cose che leggevo non mi usciva dalla mente.
A questo punto intervenne
l’esperto informatico di casa. Mia moglie. Che sia un esperto informatico è pura
realtà: gli informatici sono come i fisici, sempre persi in un mondo loro,
contatto con la realtà prossimo allo zero, ma ogni tanto sono capaci di tirare
fuori idee geniali.
«Potresti mettere su un blog» se ne uscì una sera.
«Un che?» La mia conoscenza
dei meandri del web si limitava a
permettermi di aprire la posta elettronica.
«Un blog, una specie di diario online.»
«Un diario? E chi dovrebbe
leggerlo?»
«Tutti quelli che sapranno
che esiste.»
«E in questo diario che ci
dovrei scrivere?»
«Quello che ti pare.»
Quello che ti pare.
Q-u-e-l-l-o-c-h-e-t-i-p-a-r-e.
QUELLO CHE TI PARE!
Furono queste le parole
risolutive.
Mi documentai, cercai di
tradurre le successive ed enigmatiche spiegazioni della consorte e trovai che,
in fondo, non serviva mica chissà quale conoscenza informatica né il tutto
risultava così difficile. A parte i problemi continui di connessione. Grazie,
Telecom.
E così è partita
quest’avventura. Ora che sono leggermente (ma proprio di poco) più scafato mi
rendo conto che questo, rispetto ai tanti altri blog letterari che ho visitato in seguito, sempre intervenendo quasi
niente nelle discussioni, è un blog
grezzo, terra terra, senza orpelli, senza finezze tecniche né ornamenti grafici:
il tempo che impiego a compilarlo preferisco passarlo a scrivere, piuttosto che
ad abbellirlo. Ma è del tutto sincero.
Ah, già, la morale.
Non vi fidate.
Non fidatevi della
televisione, e non fidatevi dei giornali. Se un giornalista percepisce uno
stipendio da chicchessia, è ovvio che prima o poi sarà da costui costretto a
sparare cazzate. Vi potreste fidare, e moderatamente, solo di chi queste cose
le fa per passione, senza avere un qualsiasi secondo fine. In futuro potreste non
dovervi fidare nemmeno del sottoscritto: se e quando qualcuno si farà avanti
offrendomi una retribuzione per queste recensioni, sarà allora che dovrete
cominciare a dubitarne.
Ma non temete, vi avvertirò
prima.
Lo Scrittore