Sorpresa! Non vi faccio
aspettare domani per la soluzione, dando fondo all'ultimo rimasuglio di buonaggine che mi è rimasta ve la do subito.
Un “western alla siciliana”, l’hanno definito.
“Capacità da grandi scrittori”, hanno inneggiato al suo autore.
Ma per carità! Ma mi faccia
il piacere! Ma quale western! Ma quale capacità!
Parole ad effetto, mirate
solo a far vendere qualche copia in più. Pura pubblicità. Ci hanno scomodato
anche Leonardo Sciascia e Alessandro Manzoni, per poter far
raggiungere a questo libretto le vette delle classifiche di vendita nel più
breve tempo possibile.
Ce ne fosse stato bisogno.
Per inciso: il libro è già
stato scalzato dalla vetta della classifica dall’ultima porcata di Fabio Volo. Se fossi Andrea Camilleri un pochino mi
incazzerei pure.
Intendiamoci, non che
l’ultima fatica di Andrea Camilleri
faccia schifo, ma quello che irrita la mia vena polemica è che, come è successo
per Il Tuttomio e Dentro il labirinto, se questi libri li
avesse firmati un Signor Nessuno, nessuno se li sarebbe filati di striscio,
tantomeno gli editori. Altro che arrivare in testa alle classifiche.
Del parallelo con un western alla
siciliana (citazione presa da Sciascia) ne sono venuto a sapere solo dopo
aver terminato il libro: questo paragone, mentre lo stavo leggendo, non mi è
mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello. Anche negli western
all’italiana di quarta categoria c’è una manciata della tensione narrativa che
manca in quest’opera. E la capacità dei grandi scrittori di sicuro non si vede:
chiunque dotato di un briciolo di talento sarebbe riuscito a compendiare un
riassunto dei fatti emersi dal carteggio fatto pervenire all’autore da un
discendente della famiglia Sacco. Al di là del consistente uso del dialetto siciliano e delle lucide
analisi politiche, il libro potrebbe essere stato scritto da un qualsiasi
oscuro storico di provincia. E se non fosse firmato Andrea Camilleri, invece che al primo posto in classifica starebbe
ora raccogliendo polvere sugli scaffali di una qualche libreria isolana alla
voce “storia locale”. Sempre che qualche editore avesse accettato di
pubblicarlo.
Perché innanzitutto non è
un romanzo, ma la storia della famiglia Sacco, e neanche tanto romanzata ma
raccontata: una famiglia di contadini onesti ed agiati venuti su dal nulla
grazie all’impegno e al lavoro. Ma la famiglia si ribella alle prepotenze della
mafia, e finisce per essere perseguitata da essa, e quindi dallo Stato
fascista, per questa legittima ribellione. E per questo anche il paragone con
la Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni mi pare leggermente
tirato per i capelli: se non ricordo male il punto focale di questa era
l’ingiustizia operata dai singoli giudici, nel caso della banda Sacco è stata
un’operazione congiunta stato-mafia.
Quando a Camilleri hanno
donato il dossier di questa tribolazione, ci avrà messo tutt’al più due minuti
a decidere di pubblicarlo e un paio di mesi al massimo per trarne questa
cronaca, sicuro che qualsiasi cosa avesse scritto avrebbe venduto.
Non è un romanzo e narrativamente
appare fiacco, confuso, freddo, sterile, fa leva su scialbi trucchi d’autore
(come le lacrime agli occhi dell’innamorata che vede l’amato tradotto in
carcere) per suscitare pathos, ma resta un glaciale resoconto giornalistico frettolosamente
messo insieme spulciando antichi atti processuali che riportano le
testimonianze dell’epoca. Lo stile di Camilleri si intravede solo nell’uso del
dialetto siciliano, e la slegatura tra alcuni capitoli, oltre all’estraneità di
alcuni commenti, fanno anche dubitare che sia tutta fatica del suo sacco. Come
si è detto già altre volte, Camilleri ci aveva abituato meglio. E gli riescono
meglio i romanzi, anche quelli storici come ad esempio La rivoluzione della luna, che questi excursus saggistico-storico-giornalistici.
Però non posso dire che non
si faccia leggere: dal libro emerge una vera e propria denuncia sociale di uno
stato marcio e corrotto, che può benissimo leggersi anche trasportato al
presente, oltre all’ennesima denuncia contro la mafia e contro la connivenza con
questa dello stato italiano (allora come oggi, oggi come allora) che sfrutta
l’organizzazione criminale quando gli fa comodo per fingere di combatterla
quando gli fa comodo. Ti fa indignare per l’impotenza del cittadino onesto nei
confronti delle due organizzazioni criminali, statale e mafiosa, e la
persecuzione ingiusta e intollerabile operata nei confronti della famiglia
Sacco ti fa vivere un senso di ineluttabilità, di sconforto, di inutilità.
Ma per quanto giustamente
indignati, sono tutte cose che già sapevamo.
Il Lettore
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