venerdì 1 novembre 2013

I bastardi di Pizzofalcone

Questo è il quarto romanzo che recensisco di Maurizio De Giovanni, e se qualcuno comincia a pensare: uffa… ma non leggi altro? be’, lo capirei anche. Ma non è che voglio pubblicizzarlo o ci guadagno qualcosa, è solo che finora i suoi romanzi mi sono piaciuti e di conseguenza continuo a leggerli.

Va be’, dai, commentiamo questo e poi basta. Almeno per un po’ di tempo.


I bastardi di Pizzofalcone è l’ultima fatica dell’autore napoletano e appartiene alla serie “nuova” dei suoi polizieschi, quella ambientata ai giorni nostri. Quando mi sono apprestato a leggerlo ero curioso di vedere come De Giovanni avrebbe trasferito nella modernità le indagini che prima aveva ambientato negli anni ’30.
Avete presente Quella sporca dozzina, lo splendido e famosissimo film di Robert Aldrich nel quale dodici pendagli da forca sono chiamati a svolgere una missione suicida in cambio della libertà, sempre che non ci lascino la pelle prima? Ecco, il romanzo richiama un po’ quel film: un gruppo di poliziotti, ognuno dei quali ha qualche magagna nascosta, vengono assegnati all’organico di un commissariato con una brutta nomèa. Riusciranno i nostri eroi a risollevarne la reputazione?
Ci riescono, ci riescono…
Scusate l’anticipazione, ma anche senza voler togliere nulla al merito e alla piacevolezza di lettura, la conclusione del libro è scontata fin dall’inizio: non sarebbe potuto essere altrimenti. Anche perché lo stile usato da De Giovanni, diverso da quello al quale ci aveva abituato, più “leggero”, più moderno, sembra elaborato tenendo sottomano un manuale di sceneggiatura cinematografica. Viene il sospetto che ci sia in aria di progetto una qualche serie televisiva e che De Giovanni abbia scritto con un occhio puntato in quella direzione, per agevolare fin da subito la strada agli sceneggiatori. Come minimo ci si aspetta un seguito librario, quindi doveva andare a finire bene per forza.
 Lo stile del “vecchio” Maurizio De Giovanni, quello del Commissario Ricciardi per intenderci, si rivela nei pezzi in corsivo, nei pensieri di personaggi dapprima oscuri che vengono rivelati nello svolgersi della trama, ma nel corpo del romanzo De Giovanni ha profuso uno stile nuovo, più fresco e dinamico, più immediato e veloce e per questo più adatto ai nostri tempi che sono quelli nei quali si svolge l’azione. Ma il vecchio stile si rivela anche in alcuni capitoli inseriti per approfondire la psicologia di alcuni dei protagonisti, allo scopo di spiegare meglio il loro comportamento. In una sorta di autocitazione, l’autore fa anche un richiamo, uno solo, a pag. 150, al “Dono”, cioè la maledizione del commissario Ricciardi di vedere i morti nel loro ultimo pensiero.
Nel romanzo si dipanano diverse linee investigative e i personaggi sono caratterizzati a sufficienza pur non appesantendo la narrazione. È forse più “leggero” rispetto ai precedenti, meno articolato in profondità, e non vorrei peccare di presunzione affermando di aver individuato da subito quella frase di troppo che si lascia scappare l’assassino nella linea d’indagine principale, permettendomi così di individuarlo immediatamente.
Penso che molti continueranno a preferire il “vecchio” De Giovanni, ma anche questa nuova prova in definitiva si rivela piacevole e interessante.
Ora basta, però. Sullo scaffale dei libri in attesa di essere letti c’è anche Il posto di ognuno – L’estate del commissario Ricciardi, ma vi prometto che almeno per qualche mese non ve ne parlerò.
Il Lettore

Nessun commento:

Posta un commento