venerdì 22 novembre 2013

La principessa di ghiaccio

Scusatemi se in questi giorni ci saranno dei ritardi nelle pubblicazioni, ma Telecom sta facendo i capricci (non se ne può più!), e mi ritrovo senza connessione.
Hanno definito Camilla Läckberg come l’Agatha Christie venuta dalla Svezia. Più che altro io la definirei come il baccalà, venuto dalla Svezia.

Ma che dico? Il baccalà a me piace (soprattutto impastellato e fritto); questo volume tutt’al più si potrebbe utilizzare come sottopentola. Per inciso, notare la copertina orrenda:


Forse un parallelo con la Christie si potrebbe anche fare: pure l’inglese ha infarcito molti dei suoi romanzi di brani noiosi, ma l’essere un genio porta con sé il non sottovalutabile risvolto di saper trovare quell’originale colpo di scena finale che le ha permesso di creare non pochi capolavori. Invece, quanto a brani noiosi, la Läckberg è riuscita a superare la Christie, e di molto. Tanto che non sono nemmeno riuscito a finire il libro e l’ho abbandonato a metà.
Avete presente quando in un libro non succede assolutamente nulla? Ecco. Non basta mettere un cadavere nel primo capitolo per costruire un giallo, quando poi non fai succedere il minimo fatto interessante almeno fino a metà libro: almeno duecento pagine di colloqui insulsi, di spostamenti inutili di qua e di là, di descrizioni di come sono vestiti tutti i personaggi (ma chissenefrega!), di dubbi cretini della protagonista (ma con questo ci andrò a letto? Forse sì, ma forse anche no. E nel caso, cosa potrà mai pensare? E so poi rovino un’amicizia? E poi cosa potrà mai succedere? Ma dagliela e falla finita!), di stupide angosce irritanti (e adesso questo come lo scrivo? E se mi viene male? Ma sarò capace? Non sarà meglio che scrivo quest’altro? E se vendessero la casa dei miei genitori, che fine faranno i miei ricordi? Si perderanno nell’oblìo o saprò conservarli? Ma lì, ci vado o non ci vado? E se ci vado, cosa ci vado a fare? Aiutooo!!!).
Arrivato a metà non ce l’ho fatta più: la stucchevolezza dell’autrice ha surclassato alla grande anche quel briciolo di curiosità su chi potesse essere l’assassino (ricordate il cadavere del primo capitolo? Ecco, non lo so ancora chi l’ha ammazzato, e non me ne può fregare di meno. Anzi, se l’omicida avesse accoltellato anche l’autrice non avrebbe fatto niente di male. E poi è possibile anche che il personaggio si sia suicidato dalla noia: come è stato creato ha guardato negli occhi la propria artefice, ha capito la situazione… e i polsi se li è tagliati da solo).
Tanto per restare in Svezia, avete presente la trilogia di Stieg Larsson? Tutta un’altra cosa.
Il Lettore

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