Scusatemi se in questi
giorni ci saranno dei ritardi nelle pubblicazioni, ma Telecom sta facendo i
capricci (non se ne può più!), e mi ritrovo senza connessione.
Hanno definito Camilla Läckberg come l’Agatha Christie venuta dalla Svezia.
Più che altro io la definirei come il baccalà,
venuto dalla Svezia.
Ma che dico? Il baccalà a
me piace (soprattutto impastellato e fritto); questo volume tutt’al più si
potrebbe utilizzare come sottopentola. Per inciso, notare la copertina orrenda:
Forse un parallelo con la
Christie si potrebbe anche fare: pure l’inglese ha infarcito molti dei suoi
romanzi di brani noiosi, ma l’essere
un genio porta con sé il non sottovalutabile risvolto di saper trovare quell’originale
colpo di scena finale che le ha permesso di creare non pochi capolavori. Invece,
quanto a brani noiosi, la Läckberg è riuscita a superare la Christie, e di
molto. Tanto che non sono nemmeno riuscito a finire il libro e l’ho abbandonato
a metà.
Avete presente quando in un
libro non succede assolutamente nulla? Ecco. Non basta mettere un cadavere nel
primo capitolo per costruire un giallo, quando poi non fai succedere il minimo
fatto interessante almeno fino a metà libro: almeno duecento pagine di colloqui
insulsi, di spostamenti inutili di qua e di là, di descrizioni di come sono
vestiti tutti i personaggi (ma chissenefrega!), di dubbi cretini della
protagonista (ma con questo ci andrò a letto?
Forse sì, ma forse anche no. E nel caso, cosa potrà mai pensare? E so poi
rovino un’amicizia? E poi cosa potrà mai succedere? Ma dagliela e falla
finita!), di stupide angosce irritanti (e
adesso questo come lo scrivo? E se mi viene male? Ma sarò capace? Non sarà
meglio che scrivo quest’altro? E se vendessero la casa dei miei genitori, che
fine faranno i miei ricordi? Si perderanno nell’oblìo o saprò conservarli? Ma
lì, ci vado o non ci vado? E se ci vado, cosa ci vado a fare? Aiutooo!!!).
Arrivato a metà non ce l’ho fatta più: la
stucchevolezza dell’autrice ha surclassato alla grande anche quel briciolo di
curiosità su chi potesse essere l’assassino (ricordate il cadavere del primo
capitolo? Ecco, non lo so ancora chi l’ha ammazzato, e non me ne può fregare di
meno. Anzi, se l’omicida avesse accoltellato anche l’autrice non avrebbe fatto
niente di male. E poi è possibile anche che il personaggio si sia suicidato
dalla noia: come è stato creato ha guardato negli occhi la propria artefice, ha
capito la situazione… e i polsi se li è tagliati da solo).
Tanto per restare in
Svezia, avete presente la trilogia di Stieg
Larsson? Tutta un’altra cosa.
Il Lettore
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