Un’altra delusione: doppia,
perché avevo sentito dire dal mio editor
che questo romanzo le era piaciuto
molto (testuale: “ma come le verranno in
mente queste idee?”), e già nello scoprire che in realtà non è un romanzo c’ero rimasto male, e
poi perché sono restato con l’interrogativo di come, conoscendo i suoi gusti,
sia potuto piacere a lei. Per me, ha
letto qualcos’altro e ha confuso i titoli, ma sshhhh!, che resti tra noi…
Il fatto è che non è nemmeno
un romanzo, ma è scritto con il taglio della pièce teatrale, e può
anche darsi che sia stato rappresentato su qualche palcoscenico, ma non ho
trovato notizie in merito.
Fatto sta che a me non è piaciuto e l’ho trovato alquanto
inconsistente e noioso. Più che
altro un esercizio (masturbazione) intellettuale nel quale Amélie Nothomb si è potuta sfogare in colti dialoghi incentrati sul
valore della letteratura e sui sentimenti. Dalla Nothomb non me lo sarei
aspettato. E qui concordo con lo stupore della mia editor.
I protagonisti sono tre umani
e una stufa.
Nel corso di una guerra non ben specificata (forse l’ultima
guerra mondiale?), un Professore di letteratura, uno Studente e la sua Ragazza
si trovano a soffrire il freddo nell’appartamento del Professore. Avendo
esaurito tutti i tipi di combustibile a loro disposizione sono costretti a
bruciare i libri per scaldarsi, mentre al di fuori i cecchini non aspettano altro che qualcuno esca a fare una
passeggiatina per poter fare un po’ di tiro al bersaglio.
L’opera è costituita
essenzialmente dai dialoghi fra le tre persone. Dapprima incentrati sui rapporti interpersonali, con il Professore che
seduce la Ragazza e quindi le conseguenti, infinite recriminazioni della stessa
e dello Studente cornificato, senza tralasciare gli approfondimenti psicologici
di tutti i vari aspetti della questione, poi si passa al soggetto: quali libri
bruciare?, e da qui diventa preponderante il tema del perché un autore sia più
meritevole di un altro.
Fatto sta che (ovviamente) i tre
non giungono ad alcuna soluzione soddisfacente e alla fine decidono che non ne
vale proprio la pena di continuare a vivere e si danno in pasto ai cecchini.
Bene. Era ora. Con le loro
chiacchiere sterili mi avevano veramente rotto le palle.
Il Lettore perplesso