venerdì 30 marzo 2018

La figlia modello


Un’altra lettura non andata a buon fine, ma attenzione! Questa volta non per colpa del romanzo, né dell’autrice, né di nessun altro. Non c’è alcuna colpa né alcun demerito. Il romanzo merita, dicono, e potrei essere perfettamente d’accordo, se solo avessi avuto il fegato di terminarne la lettura.
Qualcuno ha definito questo libro “un pugno nello stomaco”, e dal momento che a me che la boxe piace, il pugno ho cercato di scansarlo, piuttosto che incassarlo.


  

Tra l’altro di Karin Slaughter avevo già parlato bene qui e questo libro in particolare mi era già stato descritto da chi me lo ha consigliato come impossibile da lasciare una volta iniziato, ma dopo poche decine di pagine, una volta entrato nel pieno della vicenda, ho deciso che l’impossibilità era perfettamente superabile e l’ho abbandonato. Questa volta anche un pochino a malincuore, devo dire, ma chi me lo fa fare di soffrire? La lettura deve essere un piacere, se invece ti causa sofferenza per quale ragione uno dovrebbe proseguire?
Il problema è stato nei contenuti: di una crudezza al di sopra delle mie forze. Alle protagoniste ne succedono di tutti i colori, gli esseri più abietti e crudeli di questo mondo li incontrano tutti loro in uno specchio molto realistico della malsana società odierna, con reazioni e comportamenti di quelli che uno si augura di non incapparci mai nella vita propria e di quelli che si hanno intorno.
Il tutto descritto benissimo, anche troppo, da fartici calare dentro e soffrirne insieme ai personaggi del libro, e a un certo punto questo soffrirne ha avuto la meglio: ci ho pensato per bene e ho deciso che non faceva per me, sono tornato all’home page del lettore e ho cercato un altro titolo.
Ripeto: il romanzo merita, la Slaughter scrive molto bene e a qualcuno di voi piacerà sicuramente, ma io ho dato forfait.
Il Lettore 

martedì 27 marzo 2018

I cercatori di ossa


In altri post su Michael Crichton (vedi qui) avevo già scritto la mia delusione nel vedere rincoglionirsi con l’andare del tempo un autore che avevo molto amato. Non so e non saprò mai se a causa della vecchiaia e della sopraggiunta demenza senile, se per via di essere diventato ricco o di volerlo diventare ancora di più fregandosene della qualità, o altro, fatto sta che scrivevo come i suoi romanzi, un tempo più che buoni, con l’incedere degli anni ’90 siano peggiorati notevolmente fino a diventare illeggibili.

Questo già per gli ultimi realizzati quando era ancora in vita, figurarsi per quelli scritti dopo morto.



Questo I cercatori di ossa è uscito in libreria il mese scorso, a dieci anni dalla morte del suo (presunto) autore. Nelle pubblicità dicono che è un precursore di Jurassic Park di cui dovrebbe costituire gli antefatti, ma dopo averlo letto posso affermare che è soltanto un’immane cagata e che senz’altro non è stato scritto dallo stesso Crichton di Andromeda, di Sol levante e di Congo. Non è stato scritto proprio da Crichton, mi ci giocherei le palle. Forse tra le sue carte saranno esistiti quattro appunti che avevano come tema i primi anni della paleontologia, e qualcuno avrà deciso di tirarci fuori un romanzo per farci ancora un po’ di soldi, ma almeno gli fosse riuscito bene!
Il pessimo romanzo è ambientato negli Stati Uniti nella seconda metà dell’800, all’epoca dei primi ritrovamenti di ossa di dinosauri e delle conseguenti diatribe tra gli evoluzionisti e i religiosi categorici che condannavano le teorie di Darwin come eretiche. Due professori rivali partono per le loro campagne alla ricerca di fossili in pieno territorio indiano, subito dopo il massacro di Little Big Horn, tanto per inquadrare la vicenda temporalmente, seguiti ognuno dal proprio gruppo di studenti, e cominciano subito a fare a gara a chi dei due ce l’ha trova il fossile più lungo interessante. Mi ritengo abbastanza ferrato sulla paleontologia e conosco bene quali sono stati i passi avanti compiuti in questa scienza e fin qui ci saremmo anche, ma in quanto all’averlo saputo rendere interessante siamo proprio al livello più infimo, roba che neanche il più scarso dei miei allievi ci sarebbe riuscito.
Il protagonista è uno degli studenti, un giovane riccastro di buona famiglia che si trova coinvolto nella vicenda per scommessa e che ne approfitterà per un percorso di formazione che lo condurrà a diventare uomo. Ma la vicenda del romanzo è trattata da asilo nido, senza nulla che ne risollevi un po’ il tono. La superficialità la fa da padrona in tutti gli aspetti, dalla trattazione del protagonista a quella dei fatti che gli succedono, dall’illustrazione dei pionieri del west agli aspetti scientifici degli albori della paleontologia, così come fanno schifo gli “approfondimenti” sulle lotte tra religione e scienza e sui combattimenti tra uomini bianchi e pellirosse. Mille volte meglio leggere un buon Tex Willer.
Ma è chiaro che ne faranno anche una serie tv, magari augurandosi pure che ottenga lo stesso successo di E.R. La parte del triceratopo la daranno a George Clooney? Nel romanzo non c’è nessun triceratopo, ma di sicuro se lo inventeranno. Un triceratopo contro un tirannosauro: contro ogni previsione di sicuro vincerà George.
Il Lettore schifato
Lettore, Crichton

giovedì 22 marzo 2018

L’archivista


Volevo accertare se il fatto che non avessi apprezzato Tempo da elfi fosse dipeso dalla scrittura di Francesco Guccini o da quella di Loriano Macchiavelli, e allo scopo ho chiesto al mio editor di scaricare qualche romanzo in cui il secondo fosse l’unico autore. Così mi è capitato sul lettore questo L’archivista, che per il momento mi ha consentito di appurare che come scrive Loriano Macchiavelli, perlomeno da solo, non mi piace proprio.
Se il contributo di Guccini in Tempo da Elfi  doveva servire a migliorare la situazione, allora siamo messi proprio male.






In questo L’archivista ho notato diverse di quelle che per me non sono altro che pecche stilistiche che non mi hanno proprio fatto apprezzare il romanzo. Ma proprio per niente, è strano anche che l’abbia terminato. Anche se devo confessare che qualche pagina l’ho saltata. Leggendolo la sera a letto, più di una volta mi sono addormentato crollando col viso sul lettore e scorrendo involontariamente le pagine in avanti. La sera dopo ho continuato a leggere da dove mi trovavo, accorgendomi che non era lo stesso punto di quando mi ero addormentato, ma non sentendo comunque la mancanza di ciò che mi ero perso.
Il protagonista all’inizio sembra essere il personaggio più famoso di Macchiavelli, il poliziotto Antonio Sarti, ma poi si scopre che in realtà il vero protagonista è un altro agente di polizia, Ugo Poli, confinato ad un lavoro di ufficio e che per puro tedio si diletta a tentare di scoprire le verità sui casi irrisolti dai suoi colleghi.
Poli è antipatico, pieno di rancori e di cattiveria e affetto da una zoppia che non gli permette delle mansioni più attive. E già questo non ti permette di proseguire con piacere.
Il fatto del nominare a ripetizione i personaggi con cognome-nome è molto fastidioso, Sarti Antonio, Sarti Antonio, Sarti Antoni eccetera, così come il passare in continuazione dall’azione (!) alle riflessioni del protagonista (o di qualcun altro) senza specificare chi è che sta agendo o riflettendo, e non sempre si capisce chi è a farlo, non contribuisce a renderlo più godibile, così come il riportare qualche interrogatorio facendo finta che sia tale e quale come è stato scritto nei verbali ufficiali.
Vi sono anche molte palesi intromissioni autoriali anch’esse molto fastidiose, con l’autore del romanzo che spesso si rivolge al protagonista (ma quando mai!) e rendono la lettura momentaneamente incomprensibile.
Inoltre la trama è squallida, nel senso che non sa di nulla ed è pure descritta in modo da farti scordare tutto appena l’hai letto.
Tentativo deludente. Ne dovrei avere un altro paio di Macchiavelli nel lettore ma la voglia di scavare più a fondo me l’ha fatta passare lui stesso, Mi è rimasto da approfondire su Guccini da solo. Provvederò, ma non ora, perché sto terminando un altro romanzo di autore famosissimo che mi sta deludendo non poco anche lui e sono depresso anche per questo.
Periodi sfortunati.
Il Lettore
Lettore, Macchiavelli



venerdì 16 marzo 2018

Fiori sopra l’inferno


E recensiamo il caso letterario di questi ultimi mesi. Fiori sopra l’inferno è un thriller di Ilaria Tuti che ha mobilitato schiere di persone pronte a fare a cazzotti pur di vincere nella gara a chi ne parla meglio.
Mi è stato caldamente consigliato dallo stesso amico che in precedenza mi aveva spinto a leggere La verità sul caso Harry Quebert e per la verità, visto l’antefatto, mi sono accinto a leggere questo nuovo thriller con un po’ di apprensione.




Apprensione ingiustificata, ho dovuto ammettere poi, perché in fondo il romanzo mi è piaciuto. È sicuramente migliore di La verità sul caso Harry Quebert (molto), e migliore anche di La sostanza del male (moltissimo) dell’italiano Luca D’Andrea. Ho nominato anche quest’ultimo perché l’ambientazione di alta montagna e il contenuto thriller sono decisamente simili, ma non voglio accomunarli per altro perché quello di D’Andrea è una vera cioféga, mentre questo di Ilaria Tuti è un buon thriller con degli spunti interessanti. Anche se con altrettanti difetti che non si può fare a meno di lasciar correre.
I pregi più rilevanti sono l’aver dato vita a un poliziotto interessante decisamente fuori dagli schemi e la ricerca delle motivazioni psicologiche dei protagonisti.
Teresa Battaglia è il commissario protagonista di questo romanzo. Una donna di mezza età non bella, decisamente sovrappeso, diabetica, incazzereccia, sulla via dell’Alzheimer, dura con i sottoposti ma capace ed esperta, alla quale non piacciono i giri di parole e neanche le stronzate. Un personaggio molto interessante e anche abbastanza originale.
La contestualizzazione è un paesino delle nostre Alpi, in cui il carattere scontroso dei montanari residenti si scontra con l’avanzare della civiltà che impone di allungare le piste da sci e moltiplicare le strutture ricettive.
A pochi chilometri dal paese, oltreconfine, in un’Austria dipinta come cupa e misteriosa, una clinica di alta montagna in cui si svolgono degli esperimenti scellerati fornisce le motivazioni per quello che nel corso di questa indagine della Battaglia sarà considerato uno spietato serial killer.
Gli ingredienti per attizzare l’interesse ci sono tutti. Buona la caratterizzazione dei personaggi, anche se la Tuti pecca in alcune occasioni nell’illustrazione del momento in cui vengono introdotti in scena.
Ma la cosa che a me ha dato più fastidio è che, comportandosi come di solito capita ai principianti e rovinando l’effetto d’insieme, l’autrice ha tranquillamente tralasciato di descrivere dei passaggi sostanziali perché non sapeva come farlo. Nel romanzo si individuano molto bene dei punti in cui ci sarebbe stato bisogno di approfondimenti che non ci sono, di descrizioni che vengono sorvolate, di chiarimenti necessari ma mancanti. E in questo caso non si tratta di ellissi volute, ma si percepisce proprio che l’autrice non l’ha fatto perché non sapeva proprio come cavarne i piedi.
Un esempio per tutti: dopo l’incontro tra il serial killer e il commissario lei si premura di avvertire gli altri poliziotti che non avrebbero dovuto fargli del male quando lo avessero catturato, e dopo qualche scena lo ritrova in un locale del carcere perfettamente sano e integro. Ora, ad un lettore ingenuo (come me…) farebbe anche piacere il leggere come hanno fatto i poliziotti a catturare un omicida dalla forza sovrumana, selvaggio e regredito fino al livello di un animale, abilissimo nel rendersi irreperibile, che ha già dato prova di essere capace di ammazzare chiunque nella maniera più trucida, per di più incazzato come una bestia (immagino) perché gli è stata appena sottratta la cosa che più amava al mondo, senza far scorrere una goccia di sangue. Sì, di metodi ce ne sarebbero, ma mi sarebbe piaciuto che almeno uno ce lo avesse descritto l’autore, invece di ignorare del tutto il problema.
E questo è solo uno tra i tanti esempi che potrei fare. Ma basta, cerchiamo di non essere così pignoli che in fondo il libro mi è piaciuto e qualche pecca si può perdonare. In fondo, a differenza dei due altri nominati poco sopra, di sfondoni plateali non ne ho notati. Ci resta solo da sperare che il prossimo romanzo con protagonista Teresa Battaglia sia anch’esso godibile.
Il Lettore

martedì 13 marzo 2018

Satori


Nicolaj Hel è uno di quei personaggi letterari che rimangono impressi a lungo nella memoria dei lettori.
Quando Don Winslow ha ricevuto la proposta da parte del suo agente di scrivere un prequel del romanzo Shibumi di Trevanian, che ho recensito qui, avendolo letto da poco non si è lasciato pregare, sia pure con tutti i timori di non essere all’altezza di tale compito, e dopo che ha scritto questo Satori ha confessato di essersi divertito un mucchio.
Appena sono venuto a conoscenza dell’esistenza di questo “seguito” di un romanzo che era piaciuto molto anche a me ho messo al lavoro il mio editor che dopo non poco tempo è riuscita a scaricare questo Satori all’apparenza introvabile.




Don Winslow era già famoso come scrittore, soprattutto per i suoi polizieschi a base di droga e mafia, e in questo romanzo approfondisce la conoscenza con un Nicolaj Hel ancora giovane, al termine degli anni di prigionia nelle galere giapponesi per aver assassinato (a fin di bene) il suo stesso mentore con lo scopo di liberarlo da un’immeritata ignominia.
In Shibumi questa fase del percorso di Hel per diventare un killer professionista non era contemplata, e Winslow ha scelto bene il punto in cui inserirsi col suo racconto. Nell’accingersi a scrivere questo Satori, Winslow aveva paura di non essere all’altezza dello stile di scrittura di Trevanian, ma alla fine bisogna riconoscere che ha fatto un buon lavoro risultando congruente con le aspettative. Sicuramente è stato aiutato dall’esperienza acquisita con le sue precedenti opere d’azione.
La personalità di Hel non viene sfaccettata ulteriormente rispetto al romanzo originale (ma del resto era già stata completamente delineata da Trevanian), e Winslow si limita a farci sapere che cosa è successo negli anni dei quali Trevanian non parla e di come Hel ha dovuto cominciare ad uccidere gente per poter continuare a vivere lui stesso.
Le scene d’azione sono descritte da maestro e anche l’accuratezza dei particolari risulta coerente con il romanzo in cui Hel ha visto la luce; inoltre, la ricerca della raffinatezza e della semplicità proprie delle culture orientali sono tenute in gran conto anche da Winslow. Anche se lui non ha strutturato il ritmo del romanzo secondo le regole di una partita di gō.
Mi è piaciuto molto anche questo Satori e ammetto che Winslow ha fatto un bel lavoro, tanto da farmi venire voglia di leggere altre sue opere, ma alla fine devo dire che se dovessi scegliere di dare la preferenza a uno dei due sceglierei l’originale: ha più fascino, nonostante i quarant’anni da quando è stato pubblicato mi è sembrato più fresco e spontaneo.
Ma non è quello a cui fanno pensare quasi tutti i “seguiti”?
Il Lettore

domenica 11 marzo 2018

Lo Squizzalibro di domenica 11 marzo 2018


Zitti che un pallido sole ha cominciato a fare capolino da un paio di giorni e le temperature sembra inizino a risollevarsi.
La voglio prendere come una metafora positiva della situazione politica italiana. Ora che il bucciotto ha smesso di fare danni e sembra ripudiato anche dai suoi stessi sostenitori siamo pronti per andare avanti e cominciare a mettere le pezze sui disastri combinati dalla manica di imbecilli che si sono appropriati del potere negli ultimi vent’anni. Ci vorrà ancora tempo, è vero, ma perlomeno il 4 di questo mese una buona parte di nostri connazionali sembra essersi risvegliata dalla catalessi.
Forza col sole! Esci e non essere timido! La stagione degli asparagi sta per essere aperta ufficialmente e spero non sia pessima come l’anno scorso.
Ma bando alle ciance e passiamo al primo Squizzalibro del 2018. È tardi, vero, ma volevo aspettare le elezioni per lasciarmi permeare da un pochino di ottimismo.



Via con gli indizi:
1 – Il soggetto di cui parlerò nel prossimo post e del quale dovrete indovinare il titolo è un romanzo. Per essere più precisi è un prequel, cioè un antefatto, delle vicende di un famoso romanzo pubblicato una quarantina di anni fa. Che poi proprio antefatto non è: sarebbe meglio dire che è una vicenda parallela ai fatti di cui tratta il romanzo originario e che in quello non è raccontata.
2 – L’autore è statunitense, molto conosciuto soprattutto per le sue opere d’azione in cui i temi predominanti sono la droga e la mafia.
3 – Questo da rintracciare è un romanzo su commissione, nel senso che all’autore è stato proposto di scrivere un prequel di quel romanzo proprio dal suo agente letterario e lui, avendolo letto da poco tempo ed essendone rimasto entusiasta, dopo aver tentennato cinque minuti ha raccolto la sfida. E una volta terminato ha detto che a scriverlo si è divertito un sacco.
4 – Qual è il romanzo originario a cui il nostro ha dato seguito? È ovvio che anche questo non ve lo dico altrimenti sarebbe davvero troppo facile. Ma sappiate che è un romanzo d’azione che ho già recensito su queste pagine, che parla di intrighi terroristici e di filosofie orientali e il cui protagonista, del quale il nostro cerca di approfondire la psicologia, è uno dei personaggi letterari più interessanti che mi sia mai capitato di leggere,
5 – Indizio importante che vi renderà la ricerca più facile: anche questo romanzo, così come del resto quello da cui ha preso spunto, ha il titolo costituito da una sola parola. E non è detto che siano parole in lingua italiana.
Freereader




lunedì 5 marzo 2018

Il battello del delirio


Un altro tentativo di lettura non andato a buon fine.
Stavolta la pecca è stata solo nell’argomento del romanzo: a me non piacciono l’horror, lo splatter e in genere le trattazioni che ti fanno venire l’ansia (oltre a tutto ciò che tratta di bambini). La presentazione del romanzo indicava solo che un certo Abner Marsh avrebbe venduto la sua flotta di navigazione fluviale a tale Joshua York, con il patto che l’ex proprietario non avrebbe dovuto indagare su ciò che sarebbe avvenuto a bordo dei battelli durante la notte. E fin qui ci può stare. Vedremo cosa ci sarà mai di tanto segreto, ho pensato.



Secondo capitolo: cambio di scena e personaggi. In un ranch del midwest viene acquistata una bellissima schiava nera che lavata, ripulita e rivestita di tutto punto viene presentata al proprietario del ranch e a un gruppo di suoi amici.
Il gruppetto non si fa pregare nel cominciare a stagliuzzarla a colpi di coltello e a berne il sangue, e ciò ha decretato la fine ingloriosa del romanzo. Ancora prima di venire a conoscenza di cosa sarebbe successo nel corso della notte sui battelli. I vampiri rientrano anch’essi nella categoria di cui parlavo poco sopra. Non perché ne rimanga inorridito, ci mancherebbe altro, ma perché hanno stufato.
Solo al momento di scrivere questa recensione sono andato a documentarmi e ho scoperto che tutti parlano entusiasticamente di questo romanzo, che George Raymond Richard Martin è considerato un maestro che ha saputo riportare alla gloria la considerazione sui romanzi che trattano di vampiri e che incidentalmente è anche l’autore de Il trono di spade (che non ho mai letto né visto, nemmeno per sbaglio). Ma ciò non mi ha fatto venire nessuna voglia di terminarlo.
Riconosco che nelle poche pagine lette la prosa non era malaccio e da quel punto di vista avrei anche potuto proseguire, ma a me gli scannamenti, lo stare col cuore in gola, il fremere al pensiero di un qualche vampiro sull’atto di succhiarti il sangue hanno proprio scassato le palle.
E poi, una bellissima ragazza uccisa solo per berne il sangue… uno spreco così andrebbe punito.
Il Lettore




venerdì 2 marzo 2018

Il corregidor


Non so come sia finito questo libro nel mio lettore digitale, sarà stato in una delle tornate fornitemi dal mio editor. Fatto sta che l’altra sera cercavo qualcosa da leggere e mi è capitato sott’occhio.
Un romanzo storico. Potrebbe promettere.
L’ho cominciato subito. La sera dopo l’ho finito. Per meglio dire: l’ho abbandonato dopo una quarantina di pagine.




Poteva promettere qualcosa di interessante. Ma non l’ha fatto. Comincia con una discussione esoterica tra due misteriosi interlocutori, poi prosegue con una sconfitta, qualche assassinio e un imprigionamento nei quali non si chi capisce bene chi ha fatto cosa a chi altro e continua cambiando ancora luogo e collocazione temporale dell’azione e poi torna indietro a descrivere la prosecuzione dei fatti narrati prima. Il tutto senza alcuna contestualizzazione e senza che fosse innescata una ragione qualsiasi per affezionarsi a personaggi dei quali si soffre la mancanza di qualsiasi descrizione.
Fermiamoci un momento a riflettere, documentiamoci. Gli autori: un giornalista e un avvocato (brrr!) alla prima esperienza letteraria; libro sponsorizzato dall’Unione Sarda perché una parte della vicenda è ambientata a Cagliari. Nessuna recensione on line (e questo è un aspetto molto significativo).
Vale proprio la pena di continuare? Qualità letteraria poca, confusione a iosa, interesse suscitato zero, affezione men che meno, chi me lo fa fare?
Continuiamo la ricerca di qualcosa di buono.
Il Lettore