venerdì 31 agosto 2018

L’uomo che inseguiva la sua ombra – Millennium 5


Quinta puntata della saga di Millennium.
Quello che ho già detto in occasione della quarta puntata: Millennium 4 – Quello che non uccide (qui), vale anche per questa.
Interessante, a patto che uno lo legga per quello che è, cioè come un romanzo di David Lagercrantz e non più di Stieg Larsson.



Buon romanzo, che parte subito dopo l’epilogo della quarta puntata, con Lisbeth Salander in carcere (!) per aver collaborato fattivamente alla risoluzione di quella vicenda. Anche in galera trova la maniera di punire una delinquente, Benito, responsabile di soprusi e sopraffazioni nei confronti di detenute incapaci di reagire, che risulterà poi anche in contatto con la perfida gemella di Lisbeth.
Nel frattempo Mikael Blomkvist è incappato in quello che potrebbe diventare l’ennesimo scoop, e indaga fino a che questa nuova vicenda finirà inevitabilmente per intrecciarsi con le vicissitudini della Salander.
Romanzo ben architettato con continui rimandi al passato dei protagonisti, con un’ottima alternanza tra le varie scene inserendo gli stacchi proprio nel momento di maggior tensione di ognuna di esse. Non c’è dubbio che sia autore che editors siano dei professionisti. È ovvio che con il cambio di autore siano state modificate leggermente anche le tematiche, e si sente come l’argomento “gemelli” abbia intrigato Lagercrantz che lo ha approfondito doverosamente scrivendo anche pagine con parecchio di commovente. Buone le scene d’azione anche se manca ad esse quel “quid” in più di un Lee Child che le renderebbero perfette.
Comunque indispensabile per chi sia incuriosito dal proseguimento della storia di Millennium, il romanzo è del tutto meritevole di lettura ed è appunto un “romanzo” scritto da un autore specializzato in biografie. Se di quella di Ibrahimovic non me ne importa un fico secco, però ho letto la sua romanzata di Alan Turing (qui) che ho trovato ampiamente soddisfacente. Di suo negli ultimi tempi ho provato a leggere anche Il cielo sopra l’Everest, uscito appena un paio di mesi fa, ma l’ho interrotto dopo sole due pagine per la cupezza dell’atmosfera. Ne avevo letto talmente poco da non bastare neanche per poter decidere se meritasse o meno, e quindi farne una recensione di qualsiasi tipo.
Altre considerazioni le trovate nella recensione alla quarta puntata e quindi non mi dilungo. Ah, sì. Interessante e condivisibile la spiegazione del perché Lisbeth abbia un drago tatuato sul corpo.
Il Lettore



martedì 28 agosto 2018

L’ospite


Pomeriggio di ferragosto.
Moglie e figlio in vacanza in quel di Corfù. Intera giornata passata in panciolle. Non ho niente da fare e alle 16.30 mi reco verso la gelateria ritenuta la più rinomata della città per prendere una vaschetta di gelato da portare alla cena alla quale mi ha invitato la mia editrice.
Cazzo. La gelateria non apre prima delle 17.30. Con un’ora da passare decido di camminare e me ne vado in centro. Molti negozi sono aperti, strano, e trovo aperta anche la libreria Feltrinelli. Entro a curiosare. Sugli scaffali più vicini all’entrata c’è un mucchio di robaccia, poi alcuni autori buoni che ho già letto, poi gli ultimi di De Giovanni, Child, quindi autori mai sentiti nominare e ancora robaccia e poi ancora robaccia. Sto per uscire quando vedo questa ennesima opera postuma di Giorgio Faletti.
Ancora! Dico a me stesso. Non lo lasceranno mai in pace? Ma la curiosità è forte e quindi ne prendo in mano una copia. Stavolta due racconti. Ma sì, non ho niente da fare per un’oretta. Cercando di toccare il volumetto il meno possibile mi metto a leggerne l’inizio, aprendolo solo quel tanto che basta per riuscire a coprirne con gli occhi una pagina per volta. In piedi di fronte allo scaffale, lanciando anatemi mentali alle due signore che a pochi passi da me stanno ciarlando a voce altissima.
In mezzora ho letto tutto il primo racconto: L’ospite d’onore, così, all’impiedi, di fronte alla scaffalatura.



Piuttosto scomodo, a dirla tutta, senza nemmeno potermi appoggiare da qualche parte. Le becere ciarliere fortunatamente se ne sono andate presto (sempre troppo tardi, per i miei gusti) e ho terminato di leggere il racconto nel silenzio più assoluto. Ce ne sarebbe un altro, Per conto terzi, ma mi sono stufato di stare in piedi e la gelateria ormai sta aprendo. Basta.

Rifletto con dispiacere che Einaudi continua nell’uso estivo di inventarsi trovate editoriali per spillare quattrini sfruttando i morti in modo ignobile. Il racconto non è neanche male, anche se il plot è vecchio di secoli, ma è dinamico, quel tanto ironico e molto agile, si legge benissimo e velocemente, in puro stile Faletti, con quella giusta dose di mistero da cui molti potrebbero essere intrigati (io no, ma vabbè, io ritengo di non fare testo), e immagino che anche il secondo sia allo stesso livello.
Fatto sta che due raccontini a 13 euro, in libreria, sul web forse un po’ meno, di questi tempi mi sembra veramente fuori luogo. Può anche darsi che li abbia scritti davvero Giorgio Faletti, forse, lo stile potrebbe essere il suo, ma anche fosse, se li ha lasciati nel cassetto magari ci sarà stata una ragione, no? La cosa più probabile invece è che forse ci sarà stata anche una traccia di un qualcosa da creare, e qualcun altro l’ha creata al posto suo e con il suo stile. Poi il nome serve a fare cassetta.
Mi era passata per la mente l’idea di farmi crackare il secondo racconto da chi so io, per completezza, ma non so se ho davvero voglia di leggerlo.
Basta! Lasciamo stare in pace i morti. Soprattutto quando non hanno più nulla da dire e non possono nemmeno controbattere di non essere d’accordo sull’operazione commerciale.
Leggo in rete che da qualche parte è stato ritrovato un romanzo inedito di Hemingway.  Mah!
Il Lettore & Lo Scrittore

mercoledì 22 agosto 2018

Sabotaggio d’amore


Finalmente un libro che dice le cose come stanno!
Non avevo nulla da leggere che mi tirasse in particolar modo e sono andato a ripescare questo di Amélie Nothomb dai tanti suoi che non ho ancora letto. È il secondo romanzo che ha scritto e grande è stata la delusione quando ho scoperto che è un romanzo che parla di bambini.
Come già saprete io non sopporto i bambini e tutto ciò che è loro connesso, comprese e soprattutto le mamme dei suddetti, per cui sono andato avanti a fatica ma devo dire che alla fine, pur non piacendomi del tutto, devo riconoscere che la Nothomb ha centrato l’obiettivo: dimostrare come sono fatti bambini realmente.
Nient’altro che perfide carogne.



Romanzo autobiografico, tratta della bambinitudine dell’autrice quando dal Giappone si è trasferita nella Pechino comunista al seguito del padre diplomatico. Qui, con i figli degli altri diplomatici temporaneamente espatriati e provenienti da tutto il mondo, forma una comunità all’interno della quale si sviluppano ben presto delle lotte intestine che con il tempo si trasformano in vere e proprie battaglie in cui tutto è permesso, all’insegna dell’infliggere ai nemici le maggiori umiliazioni possibili, e nelle quali i Nemici sono dapprima i Tedeschi (del resto se lo meritano: la seconda guerre mondiale è colpa loro) per finire con i Nepalesi (perché pochi, e quindi facilmente sconfiggibili, forse). Nella più completa indifferenza di genitori e cinesi.
Nello stile ironico e graffiante della Nothomb vengono messe alle luce tutte le bassezze di cui sono capaci i bambini (nella loro dolcissima ingenuità (!)), insieme al dare mostra del loro (e del suo) egocentrismo infinito e allo sfoggiare perle di cultura citando a ripetizione filosofi e personalità che hanno lasciato un segno.
Non ultimo, c’è anche il primo innamoramento dell’autrice per una persona del suo stesso sesso, condito anch’esso di umiliazione e indifferenza come tutti gli amori non corrisposti.
Bambini? Alla larga.
Il Lettore



venerdì 17 agosto 2018

Sbirre


Sempre sulla scia di un format che è stato avviato oltre oceano, e uscito in libreria appena all’inizio del mese scorso, questo libro della Rizzoli raccoglie tre racconti di diversi autori sullo stesso tema: l’essere poliziotta.
Tre racconti lunghi con protagoniste tre donne che fanno parte delle forze dell’ordine. Tre donne, ma con tre paia di palle che i loro colleghi uomini se le sognano.
Ovvio, altrimenti che interesse avrebbe suscitato il farle diventare delle protagoniste?



Ognuna di una lunghezza compresa tra le cinquanta e le sessanta pagine, le tre prove non hanno in comune null’altro che l’avere delle poliziotte come protagonisti principali; per il resto cambiano lo stile e le vicende.
Il racconto di Massimo Carlotto è il più crudo (e come ti sbagli?): una trucida storia di frontiera nella quale si sentono echi dei suoi protagonisti abituali, solo che stavolta non c’è un Alligatore che con qualche trovata riesce a salvare una situazione disperata, e Anna Santarossa se la deve cavare da sola o quasi.
Un’altra Anna per Giancarlo De Cataldo nel racconto che della tripletta a me è piaciuto di meno. Anna Doria ha a che fare con superiori saccenti e profittatori e con le profondità del dark web, e anche lei alla fine è costretta a ricorrere alla pistola d’ordinanza. La storia non mi è piaciuta perché sa tanto di tirata per i capelli, e anche per quanto riguarda lo stile non è che De Cataldo mi faccia impazzire.
Tanto per cambiare, il racconto migliore (e come ti sbagli? E due…) per me è risultato quello di Maurizio De Giovanni, in pratica un prequel del romanzo Sara al tramonto che ho recensito qualche tempo fa. Incontriamo una Sara Morozzi nel momento in cui le muore il figlio per un incidente stradale e lei decide di investigare se sia stato davvero un semplice incidente o se ci sia qualcosa sotto. Come in tutte le anticipazioni che si rispettano entrano in campo i personaggi che in seguito saranno approfonditi nel romanzo: l’amica e collega Teresa, la vedova del figlio Viola, e si osservano comportamenti e aspetti che servono a specificare alcune sfaccettature del personaggio principale.
Bella prova di anticipo di De Giovanni, un po’ come aveva già fatto con il Commissario Ricciardi, con un altro personaggio che merita anch’esso che prosegua con altre avventure.
In Carlotto e De Giovanni risulta molto importante il trascorso delle protagoniste, un passato per entrambe difficile i cui echi si ritrovano nel comportamento delle donne al momento della vicenda in esame.
A parte De Cataldo un volumetto interessante, di lettura veloce e non troppo impegnativo, che però costa troppo sia in forma cartacea che digitale: in pratica la solita trovata estiva per spillare quattrini.
Il Lettore



martedì 14 agosto 2018

Una questione privata


Fino all’altro giorno non avevo mai letto nulla di Beppe Fenoglio, ma avendone sempre sentito parlare bene la curiosità mi ha costretto a farmi prestare alcuni suoi romanzi da una cara amica ben fornita, che ringrazio, e per iniziare ho scelto questo Una questione privata.



La tematica principale delle opere di Fenoglio è la resistenza antifascista unita alle guerre partigiane, ed entrambe vengono trattate in un modo molto crudo oltre che realistico, per quanto lo possa affermare una persona che non è passata attraverso quelle tragiche esperienze.  Ma dal momento che è considerato uno dei maggiori esponenti del neorealismo letterario, evidentemente non sono il solo a pensarlo.
Sospirò, non sapendo che fare. Con la mano sulla fondina sbottonata, non sapeva che fare. Vide oltre la gobba un canneto, ci arrivò in quattro sbalzi e di tra le canne riesaminò il paese. Nulla di mutato, si era accentuata l’eruzione dei comignoli. Non sapeva che fare, all’infuori di scendere oltre.
All’infuori della ripetizione esasperata del non saper che fare, che mi ha colpito, ma in realtà una ripetizione del genere l’ho incontrata questa sola volta e quindi non può essere considerata una cifra stilistica, la prosa di Fenoglio insiste sui fatti che succedono ai combattenti partigiani, calcando molto sul fattore umano e sui rapporti intercorrenti tra i vari uomini anche di diverse fazioni.
In più, in Una questione privata il protagonista, che può essere considerato lo stesso autore, è angosciato da un passato amore che ricorda con nostalgia e fa di tutto per cercare di avere dei chiarimenti da un amico che però è stato catturato dai fascisti e forse sarà fucilato. Un buon motivo per poter parlare anche di questi tragici modi di fare nel corso della guerra  di cui ancora oggi sentiamo le conseguenze.
Ma a volte Fenoglio si lascia andare anche a brani che mostrano un qualcosa di poetico: “Attraverso il muro e le tenebre e la pioggia poteva vederla [la collina], altissima, che immobilmente andava sulla case coi suoi mastodontici mammelloni.”
Una buona lettura, con una prosa che fa venire in mente un po’ gli anni ’50 ma sostanziale, che bada al sodo. Non a caso quelli che più spingevano per promuovere i romanzi di Fenoglio erano Italo Calvino ed Elio Vittorini, che qualcosina di letteratura ne capivano.
Il Lettore



venerdì 10 agosto 2018

I custodi della biblioteca


Veramente brutto, questo quarto seguito de La biblioteca dei morti: trama abborracciata, scene d’azione confusionarie e inconcludenti, in un tutto raffazzonato alla carlona sull’onda del dogma sfruttiamo il filone finché possiamo farci quattrini, fanculo lo scrivi per bene.



Glenn Cooper stavolta è arrivato persino a tirare in ballo un poco probabile Benjamin Franklin (quanto ci stanno bene le analessi!) per tentare di far scalpore in una vicenda che ricalca esattamente quelle dei romanzi precedenti. Stessi protagonisti, seppur oramai in pensione, e stessi problemi di fondo. Stessa deficienza degli antagonisti. Identica conclusione. In pratica si è scopiazzato se stesso in modo veramente barbaro pur di continuare a vendere sfruttando il filone a cui aveva dato origine con il libro nominato sopra.
Peccato, perché l’idea primigenia sarebbe stata anche interessante, ma sentirsela riproporre per l’ennesima volta e per di più storpiata e imbruttita fa veramente cadere le palle.
Scartabellando in rete ho trovato dei commenti di persone che hanno giudicato ottimo questo romanzo, trovandolo persino avvincente. Sono contento per loro, veramente. Perlomeno si sono divertiti.
Qualche volta mi rammarico di non avere abbastanza pochezza mentale per divertirmi anch’io.
Il Lettore



martedì 7 agosto 2018

22-11-‘63


Una data che ha segnato un’epoca, quella dell’omicidio di John Kennedy, sul cui assassinio Stephen King ha imbastito un romanzo di 1000 e passa pagine che si leggono in una volata.
E questo la dice lunga sull’ormai consolidata bravura dello scrittore.



Una bravura che riconosco senza dubbi di sorta. Come ho già avuto modo dire io non leggo volentieri Stephen King per la mia idiosincrasia nei confronti dell’horror, non per altro. Ma gli riconosco il saper scrivere, e di suoi romanzi che non trattano quel tema me ne sono passati tra le mani parecchi. E non solo romanzi: il suo On writing è di un interesse fuori misura.
Di questo, visto il titolo, dapprima addirittura avevo pensato che fosse un saggio sull’accaduto e ho cominciato a leggerlo con questo convincimento, ma grande è stata la mia sorpresa quando (fin da subito peraltro) ho scoperto che in realtà era un romanzo di fantasia.
Siamo (per il momento) nel 2011. Jake Epping è un insegnante del Maine che su indicazione di un amico trova un varco temporale: scendendo una scala si ritrova catapultato alle 11.58 del 9 settembre del 1958. A ritroso per la stessa via può tornare indietro al 2011, e questo tutte le volte che vuole, e ogni volta, quando va nel passato, ritrovandosi sempre nello stesso preciso istante della prima, può starci quanto tempo gli aggrada e ogni volta che tornerà nel suo tempo reale saranno trascorsi solamente non più di due minuti.
Da qui ognuno potrebbe sviluppare la tematica dei viaggi nel tempo nel suo modo personale, analizzandone possibilità e probabili paradossi.
Stephen King ha scelto di esplorare l’eventualità di una modifica del passato già accaduto e le sue ripercussioni. Che cosa succederebbe se si impedisse a Lee Oswald di uccidere John Kennedy? Il futuro, cioè il reale presente di Jake Epping, sarebbe soggetto a dei cambiamenti? Sicuramente si impedirebbero la guerra in Vietnam e anche i successivi assassinii di Robert Kennedy e di Martin Luther King e si risparmierebbero milioni di vite, ma questo porterà a reali benefici nel 2011?
Epping decide di trascorrere nel passato i cinque anni da ’58 al ’63 cercando una maniera di impedire quell’assassinio, con l’uccisione del potenziale omicida compresa, e mentre si ricostruisce una muova vita nel passato studia nei minimi particolari ciò che è successo a Lee Harwey Oswald cercando il momento più opportuno per intervenire.
Ne nasce un quadro completo, oltre che dell’assassinio Kennedy, anche delle differenze tra il modo di vivere degli anni ’60 e quello attuale, nel quale Stephen King da libero sfogo alla prolissità che lo caratterizza, qualche volta lodando ed enfatizzando modi di fare ormai dimenticati e qualche volta criticandoli con obiettività. Epping si trova di fronte alle difficoltà che il “già successo” oppone al “voler cambiare”, e come morale di fondo alla fine fornisce un quadro decisamente pessimistico.
Ma come dicevo è un libro che nonostante la lunghezza si legge molto bene, costituito in gran parte da azione e senza cali di tensione sensibili, in cui trova spazio anche una storia d’amore che il protagonista cercherà di far continuare anche nel futuro.
Da notare i molti riferimenti in cui King richiama se stesso, a volte in modo molto criptico a volte più palesemente: in particolare, una delle cittadine in cui Epping vive nel passato è la stessa del suo romanzo It, catena di omicidi di bambini compresa, così come il protagonista del romanzo che Epping sta scrivendo è un pagliaccio assassino (così come in It). Un’automobile che ricorre nel romanzo ricorda quella di Christine, la macchina infernale, così come la data in cui nel romanzo accade un incidente in una centrale nucleare (19 giugno 1999) è la stessa in cui è accaduto l’incidente automobilistico allo stesso King, e così via.
Divertimenti d’autore non facilmente individuabili ma perfettamente comprensibili.
Che comunque contribuiscono ad “attizzare” l’attenzione del lettore, insieme a tante altre invenzioni, in una vicenda che altrimenti, dipanandosi per centinaia e centinaia di pagine, avrebbe corso seriamente il rischio di annoiare.
Il Lettore



domenica 5 agosto 2018

Lo Squizzalibro di domenica 5 agosto 2018


Dire che questo caldo mi ha stufato sa tanto di inutile retorica, e è quindi meglio saltare l’argomento.
Passiamo direttamente agli indizi.



1 – Il libro di oggi è un altro romanzo.
2 – Qualcuno è arrivato a definirlo un “romanzo storico”, perché analizza nei minimi particolari un ben determinato evento storico. Ma dal momento che tale evento ha solamente una precisa e circoscritta collocazione all’interno di una vicenda di fantasia, io non lo definirei così.
3 – L’autore è statunitense, uno degli autori più celebri tra quelli attualmente in vita. Uno di quelli dalla produzione sterminata, uno di quelli che sembra che qualsiasi cosa scriva sia destinata ad avere successo.
4 – Il romanzo, oltre alla storia, esplora anche una delle tematiche più care agli autori di fantascienza (della quale il nostro non è considerato un esponente).
5 – Indizio che vi renderà la cosa enormemente più facile: il titolo è costituito solamente da una data.
Poi accusatemi di fare le cose difficili. Sarà il caldo.
Freereader



mercoledì 1 agosto 2018

A bocce ferme


Nuova avventura per i vecchietti del Bar Lume. Anche il termine “avventura” è un eufemismo; sarebbe meglio dire “vicenda statica”, perché vista l’età del gruppetto di ottuagenari e passa hanno poco da avventurarsi in giro.
E infatti hanno l’abitudine di risolvere i casi stando comodamente a rompere i cogl a bighellonare all’interno di quello che più che un barretto è diventato un vero e proprio asilo geriatrico.


  

Stavolta hanno a che fare con un vecchio omicidio risalente agli anni della contestazione che, da passati attivisti politici, li fa ritornare alla propria giovinezza, e la vicenda è complicata da problemi di eredità rendendola un poco più elaborata del solito. Ma i vecchietti riusciranno lo stesso a sbrogliarla con l’aiuto del barista Massimo e della sua fidanzata (nonché vicequestore) Alice.
Tra parentesi quest’ultima è il personaggio che convince di meno fra tutti: un poco forzata, come se Malvaldi avesse sentito (ma perché?) il bisogno di metterci la solita storia d’amore che ci sta sempre bene. Allora meglio il rapporto tra Tiziana e Marchino.
Comunque in fin dei conti la solita storia piacevole di Marco Malvaldi: leggera, divertente e di facile lettura, condita di gag (quella dell’elefante mi ha fatto scompisciare dalle risate) a ripetizione e di interventi autoriali in cui Malvaldi si rivolge direttamente al lettore e si commenta da solo. Come qui: “D’altronde, non è che le notizie del quotidiano siano di quelle in grado di risollevare l’umore di una mattinata dello stesso colore del tavolino e della sedia. Come quelle del giorno precedente, del resto. Nessun omicidio, nessuna morte violenta, nessuna sparizione misteriosa, insomma nessuna notizia di quelle veramente interessanti. Non è successo talmente una sega di nulla che la lettura del giornale è stata demandata al dopo pranzo, rendetevi conto voi.”
Romanzetto carino e divertente ma di certo non di quelli epocali della saga nella quale la geriatria e l’umorismo toscano la fanno da padroni.
Il Lettore