mercoledì 31 luglio 2013

La lama del rasoio

Il commento a questo libro è anche un pretesto per poter esprimere un’opinione su quella che a volte è un’imbarazzante discordanza tra il valore di un libro e il suo prezzo di copertina. Non conoscevo Massimo Lugli come autore, ma quando ho notato questo libricino in vendita negli autogrill a 0.99 euro (sì, proprio novantanove centesimi!) non ho potuto fare a meno di portarmelo a casa. Così come penso che abbiano fatto parecchie altre persone oltre a me, visto che mi è capitato in seguito di individuarlo anche nella libreria di qualche amico.


Ritengo che l'editore Newton Compton confidi di venderne proprio parecchie copie, perché tra i costi di stampa, della distribuzione che si accaparra talvolta anche fino al 60% del prezzo di copertina e la misera percentuale di diritto d’autore, agli editori dovrebbero rimanere in tasca più o meno una venticinquina di centesimi di euro per ogni copia venduta, forse meno. Per inciso, tanto bene ieri sera condividevo alcune fette sfrigolanti di capocollo alla brace proprio con un editore e non ho potuto fare a meno di chiedergli conferma di questa mia ipotesi: be’, secondo lui la stima di un guadagno di 25 centesimi a copia è nettamente esagerata. Ma si sa, quando parlano con un autore, gli editori tendono a convincerlo che pubblicano sempre in perdita…
Comunque, anche ammettendo che sia come ho pensato, è vero che il volumetto, se così lo vogliamo chiamare, è in edizione economica che più economica non si può, e che quindi la stampa non avrà inciso poi così tanto, ma cavolo! Dovrebbero venderne 10.000 copie, tanto cioè da arrivare in testa alle classifiche del Bancarella, per ricavarne 2.500 €, che come guadagno non mi pare poi una cifra così elevata per l’operazione. C’è da dire che quasi tutti gli altri volumi (!) della stessa collana sono opere di autori (Hawthorne, Dumas, Buddah, Voltaire, Darwin…) che non percepiscono diritti, ma di questi quanti ne venderanno mai? E di quanto potrà crescere il guadagno? Ma è vero anche che la collana Live di Newton  Compton ricalca l’ormai mitica Centopaginemillelire di qualche anno fa, che secondo gli stessi editori ha venduto nel complesso circa 60 milioni di copie…
La nota positiva è invece che il libro di Lugli è carino, di agevole lettura , dal ritmo veloce e dalla vicenda attuale ed intrigante. Niente di particolarmente profondo ed eclatante, intendiamoci, ma l’ispettore Mastrantonio emerge simpaticamente con tutte le sue disillusioni e il romanzo si legge piacevolmente fino ad una conclusione che ci si aspetta solo in parte. La professione di giornalista dell’autore si indovina dallo stile asciutto ed essenziale, che bada al sodo e suscita interesse, ed anche i dialoghi sono perfettamente verosimili. Insomma, 1 € meno un centesimo ben speso, e questo mi basta per confermare la promozione e affermare che il rapporto qualità/prezzo si avvicina al superlativo.
Ecco, per fare un paragone mettendo da parte la diversa lunghezza, diciamo che ne ho tratto più o meno lo stesso piacere di lettura che mi ha fornito Inferno di Dan Brown: stesso piacere e una spesa di 0.99 contro 25 € (se l’avessi comperato…). È vero, edizione misera in brossura contro rilegatura a filo con sovracoperta, autore poco conosciuto contro autore celeberrimo, assenza di promozione contro pubblicità martellante, ma in fin dei conti la differenza di valore intrinseco da 1 a 25 volte tanto non esiste proprio!
Un ulteriore paragone che dovrò fare sullo stesso tema è con un altro thriller, stavolta edito da Longanesi a 17.60 € in edizione simil-lusso, che mi ha prestato un amico accompagnandolo con una smorfia e le parole: “Tieni, leggi questo… se ci riesci. Materiale per un’altra stroncatura”.
Uno mica dovrebbe influenzare così gli amici!
Taccio su titolo e autore, per ora, ma appena riuscirò a trovare il tempo per tentare di leggerlo ve ne parlerò.

Il Lettore 

lunedì 29 luglio 2013

Un giudizio sui giudizi inseriti su IBS

Come promesso in precedenza, mi sono divertito a recensire un po’ di recensioni.



Da qualche tempo ho preso l’abitudine, quando voglio raccogliere più informazioni su un determinato libro, di andare a consultare anche i giudizi che molti lettori inviano a quel sito di vendite on-line che è IBS.it. Per ogni libro in elenco c’è la possibilità da parte di tutti di inserire un sintetico giudizio insieme ad un voto che va da 1 (pessimo) a 5 (eccezionale), voti dai quali il sito trae una media che viene riportata al di sotto del libro in questione insieme ai commenti stessi.  Le opinioni che appaiono in cima alla lista sono le ultime inserite, e per andare a guardare le prime bisogna cliccare sugli elenchi di recensioni che appaiono in fondo alla lista di giudizi.
Ritengo che sia utile leggere questi giudizi per avere un’idea di massima del libro che si intende leggere o comperare, anche se a volte, soprattutto nei primi tempi in cui avevo iniziato questo giochetto, mi capitava di rimanere un po’ spiazzato dall’estrema discordanza di idee che vi riscontravo. Ad una lettura superficiale sembra che sia vero tutto e il contrario di tutto: per uno stesso libro si può andare dai 5 del capolavoro agli 1 della schifezza, cosa che riflette l’infinita varietà di gusti delle persone. Ma si possono trovare anche parecchie incongruenze: c’è gente che mette un 5 dicendo che il libro avrebbe potuto essere scritto meglio (e allora non potevi dare 4?), e gente che dà 1 ma che per qualche ragione ammette che il libro può essere salvato (e allora perché non hanno dato 2 o 3?). Senza contare che l’amico di un autore inserirà sempre un giudizio positivo, così come la segretaria della casa editrice, mentre potrebbero esserci giudizi negativi affibbiati per ripicca.
Non voglio sindacare sul fatto se i giudizi siano sballati o meno, solo che in generale bisognerebbe attenersi alla regola di non ritenerli sempre attendibili al 100%. I giudizi negativi andrebbero presi con le molle perché potrebbero essere stati inseriti da ignoranti completi (trovi giudizi da 1 stracolmi di errori d’ortografia, il ché ti lascia dubitare sul loro valore effettivo) o da qualcuno a cui l’autore ha pestato un piede, e lo stesso per quelli smaccatamente positivi  (soprattutto per i libri di recente pubblicazione) che ti fanno sospettare del reale disinteresse del giudicante.
Ma facciamo qualche esempio pratico analizzando i giudizi riscontrati su una serie di libri conosciuti da molti:
La forma dell’acqua – Andrea Camilleri – media 3.78 su 5 – Il primo Montalbano lascia il pubblico dei lettori un po’ diviso sul suo valore.
Un uomo – Oriana Fallaci – 4.54/5 – Quasi tutti positivamente d’accordo sul racconto della vita di Panagulis, ma c’è chi gli ha dato 2 non capendo nemmeno che non stava leggendo un romanzo.
Il mercante di libri maledetti – Marcello Simoni – 2.74/5  – Dai 5 che lo osannano (ma guarda caso sono per lo più tra i primi giudizi inseriti…) agli 1 che lo proclamano una solenne schifezza. Per me è buona la seconda. A mio parere il libro è veramente brutto e scritto male, e ritengo che i primi 5 siano stati inseriti da persone compiacenti quando non addirittura interessate a pubblicizzarlo.
La condanna del sangue – Maurizio De Giovanni – 4.06/5 – La maggior parte sono 4 e 5, ma trovi un 1 in cui il giudicante lo definisce “dilettantesco” (???). A proposito, la recensione di questo libro verrà postata prossimamente su questi schermi.
3 metri sopra il cielo – Federico Moccia – 3.75/5 –  Anche qui la maggior parte sono 4 e 5, ma ti accorgi dallo stile che sono di ragazzine quattordicenni in piena crisi ormonale; gli 1 sono di persone forse un po’ più in là con l’età.
50 sfumature di grigio – E. L. James – 2.16/5 – Diavolo! Quasi tutti lo giudicano pessimo, ma è il libro più venduto degli ultimi anni! O sono tutti ipocriti, o la potenza della pubblicità è impressionante, o c’è qualcosa che non funziona nei gusti (erotici? letterari?) della gente.
Il segreto di Angela – Francesco Recami – 1.5/5 – Ci sarebbe da ammirare l’autore per aver messo tutti d’accordo. In negativo.
Il Codice Da Vinci – Dan Brown – 3.76/5 –Questo fenomeno editoriale viene bocciato da quelli che si ritengono più acculturati, mentre quelli che si accontentano di leggere un buon romanzo lo promuovono.
Il barone rampante – Italo Calvino – 4.08/5 – Anche qui le incongruenze: c’è chi dice che è bello ma poi mette 1. Mah! Avranno ritenuto invertita la scala di valori?
L’alchimista – Paulo Coehlo – 3.88/5 – C’è chi lo giudica un libro mozzafiato, imperdibile, e chi dice che è noiosissimo, con i concetti presi pari pari dai Baci Perugina.
Vendita galline km.2 – Aldo Busi – 5/5 – Tutti d’accordo all’unanimità, per una volta. Ma sono solo due giudizi. Saranno proprio autentici? Leggermente di parte?
Il nemico – Lee Child – 5/5 – Anche in questo caso sono solo due giudizi, ma come non essere d’accordo con loro?
La casa degli spiriti – Isabel Allende – 4.30/5 – Il miglior libro della Allende trova quasi tutti concordi, ma c’è anche chi l’ha trovato una vera noia.
Il vendicatore – Frederick Forsyth – 4.32/5 –Un parere da 1 riporta che è il peggior libro che il giudicante abbia mai letto. Fortuna che i restanti 5 non sono d’accordo, e io sono con loro.
Il giorno dello sciacallo - Frederick Forsyth – 4.86/5 – Come volevasi dimostrare, Forsyth è sempre Forsyth.
Il nome della rosa – Umberto Eco – 4.02/5 – C’è chi lo trova una delusione e chi noiosissimo, ma la maggior parte ne riconoscono l’indiscutibile valore.
Un po’ di classici:
Il vecchio e il mare – Ernest Hemingway – 4/5 – Quelli che non hanno dato 5 dicono che come capolavoro è un po’ noioso, e c’è anche un 1 proveniente da una quindicenne alla quale è stato imposto a scuola. Una dimostrazione di come la scuola distrugga il piacere di leggere.
Furore – John Steimbeck – 4.93/5 – Uno di quelli che sembrano mettere tutti d’accordo. Il voto più basso è 4.
Lo straniero – Albert Camus – 4.60/5 – Sembrano quasi tutti concordi sulla genialità dell’autore, ma c’è un 1 che lo definisce noiosissimo.
Le 120 giornate di Sodoma – Francois Donatien De Sade – 2.42/5 – I lettori si dividono in due fazioni tra le quali domina chi lo trova volgare e ributtante, ma ci sono anche i 5. Io non l’ho letto per intero ma trovo che, al di là di crudezza e volgarità, vi si alternino brani noiosi a tratti dal valore letterario indiscutibile.
Madame Bovary – Gustave Flaubert – 3.55/5 – Per lo più sono 5, ma la media è abbassata dagli 1 scritti da ragazzini obbligati a leggerlo a scuola (si riconoscono dalle abbreviazioni ad uso telefonico), e pure da una che lo ritiene “inutile e insignificante” (!!!).
Il rosso e il nero – Stendhal – 4/5 – Flaubert e Stendhal possono essere considerati i padri del romanzo moderno, ma l’andamento lento di stili ormai sorpassati si fa sentire nei giudizi.
Il grande Gatsby – Francis Scott Fitzgerald – 3.8/5 –  Giudizi altalenanti. Comprendo anche che possa non piacere, ci mancherebbe, ma sostenere che la storia non ha né capo né coda significa che non ne hai capito proprio nulla…
Guerra e pace – Lev Tolstoj – 4.63/5 – Tutti d’accordo su Tolstoj, il voto più basso è 3.
Delitto e castigo – Fedor Dostoevskij – 4.33/5 – Idem, il voto più basso è 4.
I promessi sposi – Alessandro Manzoni – 3.78/5 – Più che per come è scritto, i giudizi si contrappongono sui significati religiosi: gli anticlericali lo butterebbero nella spazzatura, i cattolici praticanti lo esaltano. Le dieci volte che ho provato a leggerlo non sono mai riuscito a proseguire oltre pagina 20, ma ho degli amici ai quali è piaciuto molto.
Ulisse – James Joyce – 4.23/5 – Non commento: anche in questo caso vorrei veramente essere riuscito a proseguire oltre il primo capitolo dell’opera che ha scardinato la concezione classica del romanzo.
Alla ricerca del tempo perduto – Marcel Proust – 4.44/5 –  Delle 3800 pagine di Proust ne ho lette solo 1200, ma sono lo stesso d’accordo con quasi tutti i giudizi più alti. Chi non ha dato 5 in genere si dispiace del ritmo lentissimo, ma la capacità dell’autore di vergare periodi stupefacenti lo ha fatto eleggere non a caso come più bel romanzo del ‘900.
Basta così, altrimenti si fa troppo noiosa. La conclusione è che per poter ottenere un riscontro valido o un consiglio di lettura spulciando tra questi giudizi bisogna innanzitutto saper leggere tra le righe e mediare le opinioni, un po’ come fanno i giudici di alcune specialità olimpioniche che scartano il risultato più alto e il più basso e calcolano poi la media tra i rimanenti. Non puoi lasciarti influenzare da un 1 quando i restanti trenta sono 4 e 5, e viceversa non puoi tenere in considerazione colui che su un libro scrive una critica professionale di cinquanta righe inneggiandone a stile e contenuti, quando i successivi venti giudizi lo considerano un’emerita porcata e si domandano se il primo giudicante abbia bevuto.
Da parte mia continuerò a soddisfare le mie curiosità con questo divertimento, e nello stesso tempo continuerò a stupirmi di quanto sia alto il numero di persone che su alcuni argomenti non la pensano come me.
Il Lettore & il Valutatore

domenica 28 luglio 2013

Né qui né altrove – una notte a Bari

Nel corso di una Notte Bianca di qualche anno fa ho avuto il piacere di ascoltare Gianrico Carofiglio intervistato da altri due magistrati, famosi anche loro, uno dei due al pari di Carofiglio sia come magistrato che come scrittore, e l’altro conosciuto invece a livello nazionale solo per la sua attività forense, anche se nel ruolo di scrittore anch’egli un tempo se la cavava più che bene. Ma questo lo sappiamo in pochi. La sala era piena, Carofiglio era già parecchio rinomato per il suo avvocato Guerrieri, e i tre hanno intrattenuto il pubblico con una conversazione piacevole e interessante.


Piacevole come i libri di Carofiglio, dei quali Né qui né altrove – una notte a Bari appartiene alla serie al di fuori delle avventure dell’avvocato-pugile. Il romanzo non è un vero e proprio romanzo, quanto il resoconto di una notte trascorsa dall’autore a gironzolare per Bari  con due amici di gioventù dei quali aveva perso le tracce. Esce quindi dagli schemi dei racconti con i quali Carofiglio si è fatto scoprire, e non è altro che una scusa per narrare della città e del proprio processo di formazione, fino ad investigare sui meccanismi complessi dell’amicizia costruita e perduta, ritrovata o rimpianta.
La notte si dipana sull’onda dei ricordi, conditi di metafore azzeccate ed episodi interessanti raccontati con il consueto stile di Carofiglio, semplice e diretto, simile a quello con cui ha costruito i suoi gialli. Per andare a cercare il pelo nell’uovo, le frequenti digressioni dalla linea principale mi riportano alla mente le divagazioni con cui Carofiglio ha voluto allungare a forza racconti altrimenti troppo corti come Le perfezioni provvisorie, o i troppi sconfinamenti nella politica che ha operato ne La manomissione delle parole, ma in ogni caso restano gradevoli da leggere, e anche i frequenti rimandi e le citazioni, da Lansdale a Brown, da Rex Stout a Martin Mystere, in fondo gratificano quei lettori che conoscono gli autori e i personaggi di cui si parla.
Una curiosità che mi è rimasta, e che di certo non riuscirò mai a soddisfare, è il sapere quanta verità e quanta invenzione ci siano in questo libro. Ma fa nulla, fa parte del gioco.

Il Lettore

sabato 27 luglio 2013

Diario di un fumatore

A volte capita che il tuo sesto senso librario si sbagli alla grande, e la cosa è ancora più grave quando non rimane nemmeno la consolazione di aver speso solo 2 euro in un libro che ti sembra ne valga 1, perché in realtà ne hai spesi 7 pur avendolo preso di seconda mano. Tanto prima o poi pubblico un post sui negozi di libri usati, promesso.


Ho piantato il libro di David Sedaris dopo le prime 70 pagine, quando mi sono reso conto che andando avanti non sarebbe cambiato e non potevo assolutamente sprecare il mio tempo per arrivare a pagina 300.
Ma perché l’hai preso, direte voi.
Perché da fumatore mi sono fatto influenzare dal titolo, Diario di un fumatore, e dalla breve citazione in quarta di copertina: «Lei fuma?» «Solo sigarette e canne» risposi. Mi lanciò un’occhiataccia. «Solo sigarette e canne? Solo?» «Be’, il crack no» risposi. «Mai sfiorato. E nemmeno i sigari. Bruttissimo vizio, quello. Pessimo.»
Ammetterete che è molto ma molto carina. Le spiegazioni sulla bandella di prima pagina poi, in cui Sedaris viene definito “lo scrittore umoristico per eccellenza” dotato di una “straordinaria capacità di scrittura”, hanno completato l’opera. E il bello è che è tutto vero: David Sedaris scrive benissimo, graffiante, fluente, ironico, veloce, acuto, il suo stile è un piacere leggerlo. Ed è anche molto divertente.
Ma allora sei scemo, penserete, perché l’hai piantato?
Divertente, dicevo, a patto che tu sia un lettore nato e cresciuto negli Stati Uniti. E quelli di voi che su Rai 5 seguono il Late Show di David Letterman concorderanno su ciò che sto per dire. Letterman a me piace molto, ma quando imposta le sue freddure su personaggi che sono all’interno dell’attualità americana io ne capisco si e no il 10%, perché non conosco molti di quei personaggi e di conseguenza mi sfugge del tutto l’ironia nascosta nella battuta. Ecco, il libro di Sedaris è tutto imperniato su personaggi famosi o meno dell’attualità USA, da Mike Tyson a Cyrus Vance (?), da Oprah Winfrey a G. Marshall (?), a Mackenzie Phillips (?) a Chuck Connors (?) eccetera eccetera, nonché sugli aspetti ironici e paradossali di situazioni e modi di fare tipici della cultura d’oltreoceano e che sono distanti da noi, e spero che lo restino, come Fabio Volo lo è da Umberto Eco.
Sedaris racconta una serie di episodi e storielle come lo farebbero quegli showmen invitati da Letterman che si aspettano un applauso dopo ogni gag, in tono amichevole e colloquiale, e immagino che riesca benissimo ad instaurare con il suo pubblico di lettori quella sorta di complicità necessaria a farlo apprezzare, a patto che si sappia di cosa si sta parlando.
Chi conosce bene gli Stati Uniti il libro se lo godrà pure, ma a me non andava proprio di continuare a leggere una prosa piacevole della quale capivo una frase si e tre no.
Ignoranza mia, pazienza.

Il Lettore
PS - Dopo aver scritto questo post sono andato a curiosare su IBS per spulciare i giudizi forniti su questo libro ed avere quindi la conferma di essere sostenuto nelle mie convinzioni da qualche altro lettore. Cavolo! 5 su 5! Tutti esperti della cultura americana! Ma dal momento che in uno dei giudizi veniva specificato che uno degli episodi più spassosi del libro è tanto bene l'ultimo, che non avevo letto, e che parla delle avventure del protagonista in un campo nudista, ovviamente mi sono fiondato a leggerlo e di conseguenza posso affermare che, alla fine, del libro ne ho lette 70 pagine più 43. In effetti lo stile, come ho già detto, è godibilissimo e il racconto incriminato è più accessibile degli altri da parte di un non-statunitense: riesce a strappare qualche sorriso con battute e situazioni paradossali, sebbene sia intriso anch'esso di modi di fare tipicamente americani che non trovano riscontro nelle abitudini europee. 
Ma quelli che su IBS hanno messo un 5, gli altri, di racconti, li avranno capiti per intero? Avranno davvero riconosciuto tutti i personaggi citati in precedenza? Avranno davvero riso consapevolmente sulle ironie sottintese? Forse sarò io che non sono abbastanza aggiornato in questioni internazionali, o forse sarà il caso che prima o poi mi metta a scrivere un altro post proprio sui giudizi dei lettori che vengono pubblicati da IBS.

venerdì 26 luglio 2013

Locke & Key

Non me ne vorranno gli esperti della materia, e già vedo in prima fila Il Faro del Glifo pronto a bacchettarmi, ma dal momento che leggo anche parecchi fumetti penso che mi concederò ogni tanto il piacere di parlarne su queste pagine, senza pretendere peraltro di soddisfare quelli che in questo campo ne sanno più di me.
Scrivevo in un’altra occasione che quanto a valore letterario esistono degli autori di fumetti che devono essere messi sullo stesso piano dei grandi della letteratura: Joe Hill è sicuramente uno di questi.


Joe Hill, pseudonimo di Joseph Hillstrom King (e sì, è proprio il figlio di Stephen King, e purtroppo per lui gli assomiglia pure), è un autore di romanzi e storie a fumetti la cui tematica, pur avendo scelto uno pseudonimo per distaccarsi in qualche modo dall’ingombrante figura paterna, è rimasta quella del padre: l’horror. Insieme al disegnatore cileno Gabriel Rodriguez ha dato vita a questa Locke & Key che è di sicuro una delle più interessanti graphic novels tra quelle che ho letto ultimamente.
La saga della famiglia Locke, che procede tra crimini efferati, personaggi ambigui, omicidi sanguinolenti, chiavi magiche, ombre fluttuanti, teste scoperchiate, fantasmi e case stregate, è stato un fenomeno editoriale negli USA e, sebbene fin dal primo volume colpisca per la crudeltà di alcuni personaggi e per lo splatter di molte scene, a poco a poco ti intriga e ti si insinua dentro con un fascino macabro che alimenta la curiosità di vedere che fine faranno i protagonisti. Tutti questi sono magnificamente caratterizzati sia dal punto di vista psicologico che grafico, e il loro comportamento, di una coerenza esemplare, testimonia della capacità di Hill di scavare nell’animo umano fino a trarne i risvolti più nascosti.  


I disegni di Gabriel Rodriguez sono nitidi e puliti, semplici ma allo stesso tempo esaurienti e ricchissimi di particolari, e si susseguono dando prova di un'eccezionale interpretazione della sceneggiatura. Rodriguez riesce a giocare magistralmente sia con le gradazioni di neri per caratterizzare ombre e tensioni sia con le esplosioni di colori nelle splash pages, e riesce ad inserire i più minuti particolari anche nei controscena grafici con i quali ottiene che il lettore comprenda perfino i più secondari aspetti della narrazione.
Nonostante horror, fantasy e dark non rientrino tra i miei argomenti preferiti, devo dire che questa storia oscillante tra il noir più cupo e il soprannaturale mi ha affascinato, facendo riaffiorare nella mia mente i classici della paura di Edgar Allan Poe, di Lovecraft o Stoker, e vi ho ritrovato anche un po’ di King, ovviamente.
Un grazie a colui che me l’ha consigliata chiedendomi un parere su di essa: eccoti servito.

Il Lettore di Fumetti

giovedì 25 luglio 2013

Giro di vento

Di Andrea De Carlo avevo già letto… sì, un attimo… Due più Due… no, scusate, Due di Due, che parlava di… di… oddìo, non me lo ricordo, così come non sono riuscito a ricordarmelo nemmeno dopo che un amico me ne ha raccontata di nuovo tutta la trama. Buio completo. E poi avevo letto anche… anche… quello… ma sì, sì, trattava di fantapolitica, forse. Era… boh, non mi ricordo nemmeno il titolo. Ecco, adesso, con questo… Giro di vento (perdonate la pausa, sono dovuto andare a riguardare la copertina…), mi sta succedendo la stessa cosa. Sembra che le cose che leggo del De Carlo facciano la stessa identica fine delle parole che sento uscire dalla bocca di mia suocera.


Ma forse di questo mi rimarrà in mente qualcosina di più, purtroppo, anche solo per il fatto che ne sto scrivendo. Il primo pensiero che si formula leggendo è che questo è un libro scritto apposta per decerebrati: il lettore non deve fare nulla, pensare nulla, interpretare nulla, riflettere su nulla, né tantomeno trarre conclusioni personali. Pensa a tutto il De Carlo che sciorina azioni, pensieri e intenzioni nascoste dei protagonisti, dicendo e non mostrando, in una serie infinita di “questo fa…” “questo dice…” “questo pensa…”, e dopo un po’ ti si gonfiano due palle che non se ne può più.
Di solito questo è un errore nel quale cadono i dilettanti dello scrivere, e quando ti accorgi che lo fa un professionista pensi sempre che l’abbia fatto apposta per farti capire qualcosa. Ma cosa? A che scopo? Non l’ho capito mica. Forse per rendere meglio i personaggi, per far capire meglio le situazioni o per spiegare cosa c’è dietro ad esse, ma questa spiegazione non regge visto che ci pensa l’autore stesso a fornirti conclusioni e morali senza che tu glielo debba chiedere o ti ponga il problema. Fatto sta che con la metà delle pagine il libro sarebbe stato molto più scorrevole. Se fosse stato un testo da valutare lo avrei abbandonato al quarto capitolo: ho continuato solo perché mi sono assunto da solo, accidenti a me, l’onere di dover scrivere dei libri che leggo.
La trama sarebbe potuta anche essere interessante, ma dopo poco ti accorgi che l’autore specifica troppe cose, insiste su troppe descrizioni, e per riuscire ad andare avanti sei costretto a deciderti a saltare le esposizioni prolisse di vestiario e stati d’animo, così come le reiterate  insistenze sulla contrapposizione tra vita di città e vita di campagna e sullo stereotipo dei soliti cittadini che si ritrovano a dover fare i conti con le solite scomodità del contatto diretto con la natura. Di salto in salto arrivi fino in fondo a fatica attraversando – e come poteva mancare! – il più che scontato sconfinamento sul sesso, per giungere ad un finale in cui l’esplosione delle psicopatologie represse ricalca la classica dinamica del gruppo di persone costrette loro malgrado in uno spazio confinato. Deludente, e il fatto che me l’abbiano prestato non allevia la sensazione di inutilità.
Infine, intitolando tutti i capitoli con la prima riga del capitolo stesso, immagino che il De Carlo avrà ritenuto di fare una furbata obbligandoci a leggere due volte immediatamente consecutive quelle stesse parole.
Ma di che cosa stavo parlando?

Il Lettore

martedì 23 luglio 2013

Alcune differenze tra scrittori dilettanti e scrittori professionisti

Io leggo tanto. Ma tanto veramente. Tanto che a volte questa attività assume un aspetto inquietantemente compulsivo. Per mio puro piacere leggo scrittori che pubblicano per mestiere, e come passatempo non retribuito valuto i testi di aspiranti scrittori che ambirebbero a pubblicare. E di conseguenza leggendo entrambi, professionisti e dilettanti, non posso fare a meno di notare le macroscopiche differenze che traspaiono dagli elaborati redatti dagli appartenenti a queste categorie. Tra i giocatori di bridge circola la voce che la differenza tra un dilettante e un professionista del gioco consiste nel fatto che quest’ultimo non sbaglia mai i contratti semplici. Nel campo della scrittura le differenze tra le due figure ritengo siano molte, ma molte di più:

Gli scrittori dilettanti sono convinti di aver già imparato a scrivere alle elementari; gli scrittori professionisti continuano ad imparare a scrivere leggendo molto ogni giorno.
I dilettanti si abbandonano al piacere di descrizioni prolisse e inutili svisceramenti di stati d’animo; i professionisti scrivono solo brani essenziali alla narrazione e non si perdono in superflui allungamenti.
I dilettanti si lasciano trasportare dal vento; i professionisti seguono una rotta.
I dilettanti si innamorano del suono dei termini che usano; i professionisti vanno a guardare sul dizionario il significato esatto.
I dilettanti spargono le virgole come capita capita; i professionisti conoscono la grammatica, e quando hanno dei dubbi la ripassano.
I dilettanti scrivono quando il loro animo è tormentato; i professionisti tutti i giorni.
I dilettanti consentono all’autore che stanno leggendo al momento di influenzare il proprio stile; i professionisti rubano, ma non copiano.
I dilettanti scrivono raccontando a se stessi storie che conoscono già; i professionisti raccontano storie perché qualcun altro che non le conosce le legga e le comprenda.
I dilettanti non sono mai sicuri che tu abbia ben capito il concetto, e allora te lo rispiegano tre volte; i professionisti pensano che se non lo capisci alla prima sono cazzi tuoi.
I dilettanti sono convinti che la trama appena ideata sia il massimo dell’originalità; i professionisti non sono mai sicuri che la trecentesima modifica funzioni davvero come vorrebbero.
I dilettanti spesso commentano se stessi; i professionisti non ne sentono il bisogno.
I dilettanti pensano di essere obbligati ad elargire morali; i professionisti forniscono il materiale e lasciano che il lettore si tragga le morali da solo.
I dilettanti considerano gli “a capo” facoltativi; per i professionisti sono essenziali.
I dilettanti devono riempire i testi di densi significati; i professionisti solo quando lo ritengono necessario.
I dilettanti amano infiorettare il testo di avverbi e aggettivi; i professionisti usano gli aggettivi necessari e di avverbi meno ce ne sono e meglio è.
I dilettanti esagerano; i professionisti moderano.
I dilettanti si sentono in dovere di rendere poetici i loro testi; i professionisti no.
I dilettanti non correggono quasi mai, e se lo fanno trovano sempre qualcosa da aggiungere; i professionisti tutte le volte che correggono tagliano qualcosa.
Terminato un testo, i dilettanti ritengono che sia l’opera più bella mai scritta al mondo; i professionisti sono tormentati dai dubbi.

Lo Scrittore & il Valutatore

lunedì 22 luglio 2013

Al momento della scomparsa la ragazza indossava

Il romanzo di Colin Dexter ricalca la tradizione del giallo anglosassone nel quale buona parte delle pagine sono occupate dalla disamina organizzata delle svariate ipotesi sulla possibile ricostruzione del delitto e sull’individuazione del responsabile.


Ogni tanto notavo questo autore salire ai primi posti della classifica di vendite di Ibs, e pur essendone incuriosito non mi era mai scattata dentro quella molla che troppo spesso mi spinge ad entrare in libreria a comperare l’ultima fatica di uno scrittore. In questi casi i negozietti di libri usati offrono un’alternativa che preziosa è dir poco. Di solito, quando la molla non scatta, mi fido del mio sesto senso editoriale che mi spinge a non investire il prezzo pieno di un libro nuovo in una lettura che presumibilmente non mi soddisferà come vorrei.
Il romanzo è uno di quei rari casi in cui la traduzione italiana del titolo è migliore dell’originale inglese (Last seen wearing), e articola la sua struttura sulla ricostruzione di un possibile delitto da parte dell’ispettore protagonista dei gialli di Dexter, coadiuvato dall’immancabile sergente-spalla che permette l’articolarsi di pensieri e deduzioni e soprattutto consente al lettore di venirne a conoscenza attraverso gli scambi investigativi e i dialoghi tra i due.
Nonostante la figura dell’ispettore Morse sia particolare e ben delineata – Lewis è tratteggiato meno incisivamente e sa troppo di necessario “compare” - e la ragionevole dinamica di tutte le ricostruzioni possibili via via ipotizzate dai due, e nonostante stile e personaggi siano del tutto accettabili, il romanzo non mi ha entusiasmato soprattutto nella parte iniziale, sebbene debba ammettere che andando avanti migliora. È possibile anche che sia dipeso dal fatto che non conoscevo l’ispettore Morse e che quindi ho dovuto entrare nel personaggio. Chissà. Forse concederò a Dexter una seconda possibilità. Quando ne troverò un’altra opera nei negozietti di libri usati.

Il Lettore

sabato 20 luglio 2013

Inferno

Forse si tratta del libro del quale più si è parlato negli ultimi mesi, oggetto di numerosi servizi televisivi, primo nella classifica dei bestseller e, insieme allo Zero zero zero di Roberto Saviano, primo nella classifica dell’overprinting, con centinaia di migliaia di copie invendute accatastate ad accumulare polvere nei magazzini.


Colpa della crisi, forse, o dei venticinque euro del prezzo di copertina, o delle operazioni commerciali della Mondadori che hanno visto succedersi, in seguito al successo del Codice da Vinci, altri romanzi scritti in precedenza da Brown, dal valore progressivamente calante e che hanno finito per far perdere fiducia nell’autore.
Nonostante Il Codice Da Vinci abbia fatto storcere il naso a molti lettori, a me è piaciuto molto, perché si legge bene e forse perché all’epoca avevo da poco studiato con interesse Il Santo Graal di Baigent, Leigh e Lincoln, dal quale Brown ha ripreso spudoratamente i concetti portanti della linea tematica.
Così come, all’atto del trarre le somme sul decidere se quest’ultima fatica di Brown mi sia piaciuta o meno, devo ammettere con me stesso che, nonostante avessi a suo tempo deciso di non comperarlo per boicottare l’esagerato prezzo di copertina, alla fine della lettura ritengo di doverlo promuovere. Per inciso, viva la coerenza, la copia che ho letto mi è stata gentilmente prestata da una cara amica.
Inferno si snoda attraverso una ricerca  che come struttura ricalca pari pari quella del Codice da Vinci. L’autore crea fin dal primo capitolo una situazione di tensione narrativa che in parte in seguito risolve, e in parte adopera per ricostruire un'altra aspettativa. Ogni spunto di interesse soddisfatto ne innesca un altro fino alla conclusione, e tutti sono tenuti insieme dal leitmotiv  costituito dalla minaccia di estinzione del genere umano, che come filo portante mi sembra sia sufficientemente valido da coinvolgere qualsiasi persona. Come nel libro che ne ha decretato il successo, o come succede in Angeli e Demoni per Roma, Brown percorre un itinerario quasi turistico facendo scoprire al lettore le beltà di Firenze e Venezia e gli enigmi e il fascino delle opere di Dante. Va riconosciuto inoltre all’autore di aver saputo costruire un fitto intreccio di riferimenti simbolici letterari e religiosi, così come di essere riuscito a sciogliere al termine del romanzo tutti i nodi da lui stesso creati.
A differenza degli altri libri successivi al Codice, nei quali a volte Brown si perde in esagerazioni che mettono a dura prova il patto di sospensione dell’incredulità,  Inferno appare plausibile, la struttura è solida e la narrazione è fluida con sufficienti motivi per far proseguire il lettore fino alla fine.
Certo, non è un capolavoro e non merita a mio parere tutto l’interesse mediatico che gli è stato creato intorno, ma in definitiva resta un romanzetto che si legge bene.

Il Lettore 

mercoledì 17 luglio 2013

Un covo di vipere

Ricordo che nel ’97, quando sentii parlare per la prima volta di un certo Andrea Camilleri che cominciava ad avere successo scrivendo in siciliano, pur avendo cara quella terra nel mio cuore mi ritrovai restìo ad intraprenderne la lettura, ritenendo a torto che uno scrittore dialettale non mi interessasse a priori. Ma l’anno successivo comperai il primo libro della saga di Montalbano, La forma dell’acqua, proprio mentre mi trovavo in vacanza a Siracusa - forse coinvolto dal fascino della città - ed ebbi modo così di assestare un duro colpo ai miei pregiudizi.


Nei quindici anni trascorsi da allora ho letto quasi per intero l’opera omnia del prolifico autore - controllando la mia libreria conto 61 volumi con il suo nome sul dorso – decidendo di astenermi dal comperare le ultime uscite solo negli ultimi mesi, quando cioè la mia personale riprovazione nei confronti della politica commerciale degli editori che pubblicano Camilleri ha superato l’aspettativa del piacere di gustarmi ogni nuova uscita. Anche perché la piacevolezza del gustare era stata ormai guastata dalla sopraggiunta indigestione.
Purtroppo, dal momento che Camilleri vende, Sellerio, Mondadori, Rizzoli, Skira, Libreria dell’Orso, Donzelli, Minimum Fax e altri editori si sono buttati come iene sull’affare e stampano qualsiasi sciocchezza esca dalla penna o dalla bocca del nostro e si sa, la quantità va sempre a scapito della qualità. Dai romanzi ai racconti ai saggi ai pensieri ai giudizi alle interviste ai dialoghi ai commenti ai ripensamenti è un continuo succedersi in libreria di opere del, e sul, nostro, in una rincorsa al ricavo che non lascia respiro, e nella quale si calpestano più che spesso i dogmi di quella qualità letteraria sempre tenuta in primo piano da Elvira Sellerio finché è rimasta in vita.
Al momento quindi mi sono imposto, nonostante le migliori opere di Camilleri siano alcune tra quelle al di fuori della saga di Montalbano, di comperare solo gli aggiornamenti relativi a quest’ultima, e non posso fare a meno anche in questo caso di rimanere deluso e amareggiato dalle scelte commerciali della Sellerio post-Elvira. Scelte che lo stesso Camilleri sono convinto abbia faticato ad accettare nonostante le entrate pecuniarie.
Un covo di vipere è un romanzo scritto nel 2008 che esce nel 2013, squassando la successione temporale che gli affezionati lettori del Commissario seguono con apprensione, segretamente sperando in ogni nuova puntata che il protagonista si decida finalmente a piantare del tutto quella scassacabasisi di Livia invece che limitarsi a cornificarla ogni tanto sia con i pensieri che agendo di concreto. La stessa operazione era già stata portata a compimento con Una voce di notte, uscito nel 2012 e nel quale lo stesso Camilleri a fondo libro avvertiva che il romanzo era stato scritto “alcuni anni prima”. Ma se un autore scrive e poi mette da parte, una ragione ci sarà.
La struttura del romanzo si articola sui soliti diciotto capitoli tra le 15 e le 25 pagine ciascuno e presenta la piacevolezza alla quale Camilleri ci ha abituato, seppur con qualche nota stonata che consiste sia nella facilità per il lettore di capire immediatamente chi è l’assassino, togliendo quindi tutta la tensione derivante dalla sua individuazione, sia nel restare spaesati di fronte, come si è detto, alle incongruenze comportamentali dei personaggi in seguito allo sfasamento della linea temporale. Ma nel complesso il libro si legge bene e fornisce “quasi” lo stesso piacere dei migliori pezzi della saga.
Certo, forse è troppo confidare in una raffinatura critica un pochino più accentuata da parte di Sellerio, ma continuo comunque a sperare in un futuro diradamento delle uscite che non condurrebbe ad altro che ad un aumento della qualità: Camilleri rimane sempre Camilleri, ma non è detto che “tutto” quello che scriva sia pubblicabile.

Il Lettore 

mercoledì 10 luglio 2013

Virgola? Che accidenti è?


Uno degli errori più comuni in cui mi imbatto esaminando testi di principianti è di certo rappresentato dall’uso del tutto improprio delle virgole.

Nella lingua italiana la virgola è un segno d’interpunzione che serve principalmente a separare una proposizione principale da una secondaria, ed è il segno di pausa più breve che corrisponde, leggendo, ad un piccolo intervallo. Una delle principali regole alle quali l’uso della virgola è subordinato è che essa non deve mai essere interposta tra soggetto e predicato o tra predicato e complemento oggetto.

Questo lo insegnano a scuola già dalle medie, ma sembra che il concetto non sia affatto recepito dalla maggior parte di coloro che ambiscono a diventare scrittori. Molti di essi, infatti, oltre a spargere le virgole nel testo come se sventagliassero semi di papavero, si sentono in dovere di inserire a più riprese, perfino negli incipit, virgole tra soggetto e verbo: “Il libro, era sul tavolo”; “Il morso doloroso del ragno, lo fece risvegliare”; “Il prete entrò, nel confessionale”

È del tutto ovvio come un tale reiterato modo di fare porti ben presto alla sospensione della lettura da parte del Valutatore, che relegherà testo e autore nella directory dei Bocciati Senza Appello.

Ma per quale motivo in tanti cadono in questo errore marchiano? La risposta è semplice: perché la maggior parte delle persone, e soprattutto coloro che si mettono in testa addirittura di ritenersi capaci di scrivere, non leggono.

Di conseguenza, non essendo abituati a riconoscere il linguaggio scorrevole di una buona prosa scritta, si lasciano influenzare dal linguaggio parlato, che non sottostà alle rigide regole grammaticali della sintassi e nel quale si usa spesso intercalare una brevissima pausa puramente vocale tra il soggetto e il predicato del discorso. Pessima abitudine. E questi sconsiderati pensano che quella pausa debba essere riportata anche nello scritto.

Un altro aspetto non meno grave è che questi cosiddetti autori nemmeno riesaminano i propri scritti, altrimenti si accorgerebbero dell’assenza di fluidità nella lettura dell’elaborato.

Alla fine la morale risulta essere sempre quella: parlare di meno e leggere di più.

Il Valutatore

lunedì 8 luglio 2013

Quel che resta del giorno


Pubblicato nel 1989, il romanzo di Kazuo Ishiguro rappresenta un mirabile esempio di coerenza spinta fino ai limiti più estremi. La bravura dell’autore è consistita nel rispecchiare la sconvolgente coerenza psicologica del protagonista nella coerenza di linguaggio, ritmo e stile dei quali il libro è intriso. E una nota di plauso va anche alla traduttrice per il lavoro encomiabile.

 
Il romanzo si dipana attraverso un viaggio che è esteriore e nello stesso tempo alla ricerca di se stesso, e nel quale il protagonista, attraverso una serie di analessi, racconta un’espiazione che è in definitiva l’autogiustificazione di un’intera esistenza.

Con una continua serie di ellissi l’autore fa capire al lettore, senza mai dirlo espressamente, quali sono i veri aspetti psicologici dei personaggi, così lontani dal loro comportamento ma non per questo meno reali e comprensibili anche se non sempre giustificabili.

Le contrapposizioni tra sentimenti provati, ma mai espressi, e parole dette lasciano un’amarezza di fondo riscattata comunque dalla maestrìa della prosa.

Assolutamente da leggere.

Il Lettore

domenica 7 luglio 2013

Introduzione e tematiche del blog


 Mi sembra doveroso inaugurare questo blog illustrandone gli indirizzi che si prefigge di seguire, senza peraltro avere alcuno scopo da raggiungere se non quello di coinvolgere gli eventuali lettori nella linea del mio pensiero personale. Pensiero che, come si spiegherà tra poco, sarà articolato seguendo tre filoni principali tra loro strettamente interconnessi.

Il tema generale sarà quello della letteratura, o meglio, della mia visione personale della letteratura, il cui approccio sarà caratterizzato di volta in volta dall’influenza dei diversi ruoli che al momento sto assumendo nel mio vivere di tutti i giorni.

Il ruolo del lettore, mia fonte di diletto fin dai primissimi anni, rifugio intoccabile e sicuro, denso di soddisfazioni e momenti appaganti come pochi altri. La lettura ha da sempre costituito un’attività insostituibile e necessaria al mio modo di essere, in ogni momento di ogni giornata, tanto da aver perfino trascorso, e qui molti miei simili mi comprenderanno, momenti di pànico in quelle rare occasioni in cui una qualsiasi parola scritta veniva completamente a mancare alla ricerca disperata del mio sguardo.

Nel ruolo del lettore proverò a tenere conto dei libri letti e a fornirne il mio resoconto personale.

E per quanto questo sarà del tutto individuale, allo stesso modo sarà sempre caratterizzato da una sincerità assoluta, derivante dal mio non dipendere in alcuna maniera, per le mere questioni di sopravvivenza, da case editrici o dalla letteratura in senso generale. Di conseguenza potrò allo stesso modo parlare bene dei libri che mi hanno entusiasmato, così come non tacerò su quelli che saranno risultati inferiori alle aspettative.

Nel ruolo dello scrittore proverò a riversare su questo blog i concetti che non troveranno posto nelle altre mie collocazioni cartacee o digitali, pensieri sparsi, idee, commenti, tecniche da indagare e riflessioni da sviluppare, consigli da elargire o abitudini da condannare. L’esperienza a cui attingere sarà anche in questo caso quella personale: le migliaia di libri letti e quelle mie pubblicazioni che hanno raggiunto la stampa, oltre alla disciplina giornaliera riversata nelle pagine già elaborate e accuratamente archiviate nei cassetti digitali dai quali con tutta probabilità non usciranno mai, ma che costituiscono un insieme destinato a svolgere le funzioni di serbatoio di esperienza e catalizzatore di carattere.

Da non sottovalutare è anche la funzione di allenamento personale che il provare a tenere un blog del genere potrebbe svolgere: l’attività dello scrivere richiede disciplina ed esercizio costante, ci si deve tenere in allenamento tutti i giorni, l’attività giornaliera della palestra è essenziale per un buon fisico.

Il ruolo del valutatore è di certo quello in cui le soddisfazioni si sono rivelate più scarse. Da quando ho iniziato a svolgere questa mansione per una rinomata Casa Editrice ho letto, esaminato e valutato centinaia e centinaia di testi inviati da aspiranti scrittori desiderosi di pubblicare le loro opere, e mi duole confessare come i manoscritti promossi siano stati ben pochi. E’ frustrante constatare come in questo momento della storia umana vi sia un numero inimmaginabile di persone che scrivono sui più disparati argomenti con la pretesa di far leggere ad altri i loro prodotti, ma allo stesso tempo non abbiano la benché minima cognizione di come ciò debba essere espletato in modo da apparire almeno un minimo soddisfacente.

In questo filone  cercherò di condensare l’esperienza acquisita nel ruolo di esaminatore e potrò anche, se si presenterà l’occasione, fornire suggerimenti a quegli aspiranti scrittori  in cerca di un giudizio sincero sui propri testi. Un giudizio sincero è oltremodo essenziale a chiunque. Solo fornendo un’opinione sincera, per quanto questa possa ferire, si potrà innescare un qualsiasi miglioramento nel modo di scrivere di chiunque.

E, perché no, potrei anche far partecipi i lettori di episodi esilaranti in cui, purtroppo, capita di imbattersi nel succedersi delle letture.