E sì che, a detta di tutti, Jeffrey
Deaver è uno dei più quotati autori sulla piazza. Ma quando hai la bocca
sintonizzata sulla scrittura di Murakami, chiunque non scriva come lui sembra
uno zappaterra illetterato. Con
tutto il rispetto per gli zappaterra.
A parte il fatto che Jeffrey
Deaver a me non è che piaccia un granché già di suo. Mi avevano detto che
era un buon gialletto, ma io non l’ho trovato neppure passabile, a partire
dalle motivazioni degli assassini per fare quello che fanno fino ad un Lincoln Rhyme che appannato è dire poco,
passando per il cattivo della situazione che riesce, in barba a tutti, a
passare per un’altra persona senza che a nessuno venga in mente di fare un controllo.
Lo svolgimento è fatto apposta per confondere il lettore e
portarlo sulle strade sbagliate per lasciare spazio ai soliti colpi di scena
che Deaver è uso mettere quasi in ogni capitolo. Se non c’è qualcosa di
eclatante non ce lo vogliamo: alla faccia della semplicità.
L’unica cosa interessante che ci ho trovato è la trattazione delle
maniere più comuni per tagliare i diamanti,
dalla pietra grezza appena estratta al gioiello finito, e il cammino che le
pietre fanno dai luoghi di ritrovamento ai negozi che le smerceranno.
Basta: il resto me lo sono già dimenticato.
Il guaio è che è veramente difficile gustare un altro libro dopo
che hai letto un’opera dalla scrittura pressoché perfetta. Penso che non mi
sarebbe piaciuto nessun altro autore, ed è stato Deaver a farne le spese per
primo.
Il Lettore