lunedì 9 aprile 2018

Perché scrivere


Zadie Smith, diventata nota al pubblico fin dal suo primo romanzo Denti Bianchi, è una delle scrittrici britanniche moderne più rinomate e questo libretto raccoglie due delle lectio magistralis che tiene ogni tanto in giro per il mondo.
Nella prima lezione si domanda qual è il motivo che porta gli scrittori ad imbrattare fogli di carta al giorno d’oggi, mentre nella seconda analizza le possibili cause degli inevitabili (quasi sempre) fallimenti.



Questa scrittrice è diventata famosa prima dei suoi 25 anni e a 30 già insegnava e si è data alla carriera di critico culturale. Va be’. Non avendo mai letto (prima) niente di suo non mi dilungo oltre.
In effetti questo librettino di una settantina di pagine è scritto e si legge bene. In entrambi i saggi la Smith si pone una serie di domande sul senso della scrittura nel momento attuale, con i potenziali lettori obbligati a leggere sempre più velocemente e sui più svariati argomenti; spinti a decidere fin dalla prima riga se vale la pena o no di proseguire a perdere tempo o passare ad un’altra lettura in rete; quali sono le motivazioni che spingono a decidere che una persona valga più di un’altra come scrittore; cosa significa padroneggiare la tecnica; come fare tesoro delle stroncature eccetera.
Sia nel primo che nel secondo saggio, facendo ricorso a citazioni di autori passati, si interroga e interroga il lettore su molti argomenti che qualsiasi (o quasi) scrittore pone ai primi posti nelle domande che fa a se stesso.
Domande importanti per qualsiasi intellettuale, spunti di riflessione interessanti. Ha senso al giorno d’oggi fare una scrittura politica? Qual è lo scopo filosofico dello scrivere al giorno d’oggi?
Ovviamente la scrittrice lancia le domande ma non fornisce nessuna risposta. Che intellettuali saremmo se non sapessimo trovare le risposte da soli, ognuno quella buona per se stessi e basta?
Si mostra leggermente più decisa solo nel secondo saggio, intitolato Il fallimento riuscito, nel quale tra altre cose analizza anche il modo di fare critica letteraria (o toh!, anche questo mi coinvolge direttamente…).
Ma anche in questo caso rimanda il compito di enunciare alcuni concetti fondamentali a chi in passato ne ha già trattato a fondo. Personaggi del calibro di T. S. Eliot o Roland Barthes, tanto per dare un’idea, per concludere con le parole di Virginia Woolf che ribadiscono (quello che dico sempre ai miei allievi) come in fondo qualsiasi critica sia soggettiva e opinabile, e comunque non criticabile: “[…] e ancora più difficile è poter dire: «Non soltanto è un libro di questo tipo, ma il suo valore è questo; qui sbaglia; qui è riuscito; questo non va; questo va». Per potere adempiere questa parte del compito del lettore, bisogna avere tanta immaginazione, intuito, ed erudizione, che quasi non si riesce a concepire una mente umana abbastanza dotata; nemmeno i lettori più sicuri di se stessi oserebbero vantarsi di possedere tutte queste qualità […] E anche se i risultati sono disgustosi, e i nostri giudizi sbagliati, è sempre il nostro gusto, quel nervo della sensazione che ci manda i suoi impulsi, a offrirci la fondamentale illuminazione; impariamo attraverso il sentimento; non possiamo sopprimere la nostra idiosincrasia senza impoverirla.”
Come riuscire a non dire nulla di nuovo e farcisi pure pagare sopra. Ma perlomeno l’ha detto bene.
Il Lettore 



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