Zadie
Smith, diventata nota al
pubblico fin dal suo primo romanzo Denti
Bianchi, è una delle scrittrici britanniche moderne più rinomate e questo
libretto raccoglie due delle lectio
magistralis che tiene ogni tanto in giro per il mondo.
Nella prima lezione si domanda qual è il motivo che porta gli
scrittori ad imbrattare fogli di carta al giorno d’oggi, mentre nella seconda
analizza le possibili cause degli inevitabili (quasi sempre) fallimenti.
Questa scrittrice è diventata
famosa prima dei suoi 25 anni e a 30
già insegnava e si è data alla carriera di critico culturale. Va be’. Non
avendo mai letto (prima) niente di suo non mi dilungo oltre.
In effetti questo librettino
di una settantina di pagine è scritto e si legge bene. In entrambi i saggi la Smith si pone una serie di domande sul
senso della scrittura nel momento attuale, con i potenziali lettori obbligati a
leggere sempre più velocemente e sui più svariati argomenti; spinti a decidere
fin dalla prima riga se vale la pena o no di proseguire a perdere tempo o
passare ad un’altra lettura in rete; quali sono le motivazioni che spingono a
decidere che una persona valga più di un’altra come scrittore; cosa significa
padroneggiare la tecnica; come fare
tesoro delle stroncature eccetera.
Sia nel primo che nel secondo
saggio, facendo ricorso a citazioni di autori passati, si interroga e interroga
il lettore su molti argomenti che qualsiasi (o quasi) scrittore pone ai primi
posti nelle domande che fa a se stesso.
Domande importanti per qualsiasi
intellettuale, spunti di riflessione interessanti. Ha senso al giorno d’oggi
fare una scrittura politica? Qual è
lo scopo filosofico dello scrivere
al giorno d’oggi?
Ovviamente la scrittrice lancia le domande ma non fornisce nessuna risposta. Che intellettuali
saremmo se non sapessimo trovare le risposte da soli, ognuno quella buona per
se stessi e basta?
Si mostra leggermente più
decisa solo nel secondo saggio, intitolato Il
fallimento riuscito, nel quale tra altre cose analizza anche il modo di
fare critica letteraria (o toh!,
anche questo mi coinvolge direttamente…).
Ma anche in questo caso
rimanda il compito di enunciare alcuni concetti fondamentali a chi in passato
ne ha già trattato a fondo. Personaggi del calibro di T. S. Eliot o Roland Barthes,
tanto per dare un’idea, per concludere con le parole di Virginia Woolf che ribadiscono (quello che dico sempre ai miei
allievi) come in fondo qualsiasi critica sia soggettiva e opinabile, e comunque
non criticabile: “[…] e ancora più
difficile è poter dire: «Non soltanto è un libro di questo tipo, ma il suo
valore è questo; qui sbaglia; qui è riuscito; questo non va; questo va». Per
potere adempiere questa parte del compito del lettore, bisogna avere tanta
immaginazione, intuito, ed erudizione, che quasi non si riesce a concepire una
mente umana abbastanza dotata; nemmeno i lettori più sicuri di se stessi
oserebbero vantarsi di possedere tutte queste qualità […] E anche se i
risultati sono disgustosi, e i nostri giudizi sbagliati, è sempre il nostro
gusto, quel nervo della sensazione che ci manda i suoi impulsi, a offrirci la
fondamentale illuminazione; impariamo attraverso il sentimento; non possiamo
sopprimere la nostra idiosincrasia senza impoverirla.”
Come riuscire a non dire nulla di nuovo e farcisi pure pagare sopra.
Ma perlomeno l’ha detto bene.
Il Lettore
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