mercoledì 2 luglio 2014

Il colore dell’inchiostro

Di solito è blu o nero... Va be’, a parte gli scherzi, questo è il romanzo che avevo comperato nel corso di Umbria Libri, della serie leggiamo anche gli autori sconosciuti e non si dica quindi che mi occupo solo di libri famosi e scrittori noti. Che però, detto inter nos, nella maggior parte dei casi se uno scrittore non è famoso una ragione ci deve pur essere. In effetti, questo romanzetto di brutto non ha solamente la copertina…


Prima di passare alla recensione del romanzo voglio raccontarvi della presentazione a cui ho assistito. Per brevissimo tempo, ma bastante per poterlo tramutare in un insegnamento su come non si fa una presentazione. Tutto serve per imparare. Allora, entro nella sala e vi trovo una quindicina di persone sparse sulle sedie come i pezzi degli scacchi in un finale di partita. Al centro del tavolo in fondo l’autrice, Francesca Schaal Zucchiatti, bella donna, affiancata alla sua sinistra da un distinto barbuto che mi hanno riferito essere un professore di liceo. Alla sua destra quella che per me rimane un’illustre sconosciuta sta raccontando la trama del romanzo. Prima cosa che non si dovrebbe mai fare: in una presentazione tutt’al più alla trama vi si accenna, ma non si deve spiegare tutto per filo e per segno. Dovrebbe essere come stilare una sinossi: brevissima e incisiva, tale da farti venire la voglia di leggerlo, non di fartela passare perché alla fine è come se l’avessi già letto.
Il tono è piatto e uniforme, pare una veglia funebre. Inoltre l’impianto di amplificazione della sala è regolato su toni che più bassi non si può, e della metà delle frasi non ne capisco una mazza (mia moglie sostiene che è la sordità incombente, ma si sbaglia; eh? come hai detto?): già questo mi innervosisce e sarei tentato di andare io stesso al mixer a smanettare un po’ sui cursori dell’equalizzatore, ma lascio perdere. La mia costernazione raggiunge il top quando la sconosciuta signora racconta tranquillamente il colpo di scena finale del romanzo! Non ci posso credere! A questo punto l’autrice perde l’aplomb e si incazza pure un pochetto, ma il danno è fatto. Per salvare la situazione comincia a parlare il professore, ma il mio interesse è oramai del tutto svanito: compro una copia del romanzo a otto euro solo per poterlo leggere (speriamo bene!) e recensire e me ne vado a rischiare di farmi prendere per i fondelli dai finalisti del Premio Strega.
Ma torniamo al libro, Il colore dell’inchiostro, che come dicevo di brutto non ha solo il titolo e la copertina, con quella composizione escheriana, ma tra le sue peggiori, di farfalle che ricordano troppo l’Acherontia Atropos resa famosa da Il silenzio degli innocenti. E tutto quel nero di listato a lutto: un cazzotto in un occhio. A che scopo? Ma lasciamo perdere, cominciamo a leggere. La vicenda (in breve, non come la sconosciuta oratrice) è intessuta su un giovane assassino che rapisce una ragazza, la rinchiude in un luogo introvabile e si mette a raccontarle la propria vita in un lungo monologo. Ho usato 25 parole senza neanche dirvi il finale, e ad averci avuto più tempo sarei riuscito a fare di meglio.
Comincio a leggere, dicevo, e già dopo dieci pagine ne ho le palle piene. Per carità, scelte semantiche azzeccate, costruzioni sintattiche ineccepibili (del resto l’autrice è una giornalista); sulla resa formale, a parte qualche refuso sparso qua e là, non si può proprio dire nulla.
Ma una noia… una noia!
Un resoconto monocorde, per niente avvincente, senza un briciolo di tensione narrativa, con capitoli di narrazione autobiografica alternati a parti più corte nelle quali la ragazza rapita (monocorde anche lei) esterna i propri improbabili pensieri. Mi trascino svogliatamente per qualche decina di pagine costringendomi ad arrivare alla fine per poterci scrivere sopra, ma l’esposizione narrativa incessante e monotona dei pensieri dei due protagonisti è di un tedio tale che, oltre ad addormentarmi ogni tanto, a un certo punto passo a leggere solo la prima frase di ogni capoverso per poter arrivare in fondo più in fretta. Ci arrivo, ma che fatica. E non mi resta nulla.
Un romanzetto che avrebbe voluto essere un thriller, forse, ma che alla fine potrebbe benissimo essere utile come sonnifero. Colpa mia. Poco intuito, avrei dovuto capirlo già dalla presentazione.
Il Lettore

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