sabato 13 dicembre 2014

La Mennulara

E scusate il giorno di ritardo sul mio consueto ritmo di uscita dei post, ma ieri sono stato impegnato tutta la giornata ad assistere ad un convegno di quelli in cui un po’ di finti sapienti spendono un sacco di soldi degli enti di appartenenza (cioè nostri) per sciorinare un mucchio di cazzate, per di più in modo noiosissimo, a un pubblico del tutto disinteressato.
Parentesi lunghetta: tanto per restare in tema di utilizzo della lingua italiana, lo sapete quali sono le parole più comuni negli interventi esposti nei congressi? L’intercalare più ricorrente, mediato dalla fazione più retorica degli esponenti della sinistra italiana, è costituito dal verbo diciamo…” ripetuto in media ogni 5 parole e nel 98% dei casi a sproposito: “…passo ora, diciamo… la parola, diciamo… al dottor Pinco Pallino, diciamo…”, e dall’altro osceno termine quantaltro, che sta chiaramente a significare che il relatore non sa lui stesso cosa cazzo d’altro aggiungere alle puttanate esposte fino a quel momento (il ché succede veramente troppo spesso). Spero vivamente che mi legga qualcuno dei relatori del convegno di ieri.
E dopo lo sfogo, perdonatemi anche questo, passiamo al libro di oggi, che è veramente, veramente interessante. L’ho finito di leggere proprio ieri mattina nel corso del convegno…



Mi è piaciuto molto, un romanzo interessante fin da prima della prima pagina, fin da quella dedica dell'autrice “Alla British Airways” che verrà spiegata solo all’interno dei ringraziamenti oltre la fine del libro, tra i quali colpisce lo sperticato e criptico encomio al suo editor

La Mennulara è un romanzo che penetra nel più profondo modo di pensare della provincia siciliana, riferito sì alla metà dei trascorsi anni sessanta, ma reale ancora oggi senza sostanziali variazioni. Una mentalità che ho trovato splendidamente riassunta in una frase a pag. 205: “…Pietro Fatta e padre Arena erano impassibili, esempi di quella abilità a dissimulare i propri pensieri e sentimenti che i siciliani si bevono con il latte materno”.
Con la scusa di raccontare la vita di Maria Rosaria Inzerillo, la mennulara, che significa “raccoglitrice di mandorle”, Simonetta Agnello Hornby costruisce un mosaico complesso di vita in un piccolo paese siciliano e lo fa portando ad interagire le visuali di più protagonisti, spaziando su più piani temporali, fino a rendere palesi tutte le molteplici sfaccettature di una donna dalla personalità complessa e intrigante. La mennulara è un personaggio molto particolare, che da povera ragazza di campagna finisce col diventare l’amministratrice dei beni di una ricca famiglia decaduta; è amata e odiata, è benefattrice e despota, angelo e arpia, ma soprattutto chiacchierata, e le azioni che ha intrapreso nel corso della vita non sempre vengono capite e spesso sono fraintese, fino a determinare quadri diversi della stessa persona in ognuno di coloro che hanno avuto a che fare con lei.
Il merito di Simonetta Agnello Hornby è quello di mostrare fatti e comportamenti e lasciare che il lettore si formi la sua idea, spesso contrastante con quella dei protagonisti del romanzo che continuano ad inseguire apparenze sbagliate. L’autrice sa evocare la tragedia, sa portare il lettore ad immaginare che accada qualcosa di irreparabile prima ancora di porne le basi, e sa intrecciare il tutto in un collage complesso ma chiarificatore del modo in cui si interagiva, e come lo si fa tuttora, in ambienti che mostra di conoscere perfettamente.
A differenza di Camilleri, il romanzo non è scritto in dialetto ma in un italiano fluente che riflette solo un poco le inflessioni della lingua sicula, e questo lo dico per tutti coloro a cui piacerebbe Montalbano ma non sopportano di leggerne il dialetto (chi vuol capire capisca, mizzica…). 
E pensare che questo è stato il suo primo romanzo. A questo punto penso proprio che leggerò anche gli altri due della Hornby che mi trovo in casa, tra i libri della consorte, e che fino ad ora avevo snobbato per uno stupido senso di diffidenza: un altro autore avvocato… di sicuro sarà raccomandata… vattelapesca come scrive…
Va be’, saper cambiare idea è un segno d’intelligenza, no?
Il Lettore

2 commenti:

  1. gentile (mica tanto) freereader, condivido e sottoscrivo le sue osservazioni sulla quantità di interesse che certi convegni nostrani riescono a suscitare nei malcapitati che vanno a comporre il pubblico. Per quanto riguarda il libro, non l'ho letto ma se non è scritto in Camilleriano stretto potrei pensarci. Buona giornata

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  2. Gentile (tu sicuramente sì) Anonimo, ti confermo che il romanzo è scritto in italiano e anche ottimamente. Se sei interessato alla Sicilia e alle sue usanze potresti trovarlo anche tu un buon romanzo. Buona giornata anche a te.

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