Con mio grande piacere, nel
corso della consueta visita al solito negozietto di libri usati, ho scoperto
una copia di uno dei romanzi di Rex
Stout che ancora non possedevo. Rex
Todhunter Stout è stato eletto il miglior giallista del secolo scorso e ha
scritto, nel corso della sua carriera, diverse decine di racconti e un
centinaio di romanzi, e di questi ultimi circa una settantina sono presenti sui miei scaffali. Nel suo caso, come del
resto anche per Ed McBain, tengo
sempre in macchina l’elenco delle opere che possiedo, dal momento che mi è
molto difficile ricordare al volo se un titolo dubbio l’ho già letto in passato
oppure mi manca.
Adocchiato questo Invito a una indagine mescolato a
titoli più famosi come La traccia del
serpente, La guardia al toro, Nero Wolfe e l’FBI o Alta cucina, sono restato incerto
sull’averlo letto o meno e sono andato subito in auto a controllare: vai! Un
altro pezzo aggiunto alla mia collezione! Alla modica cifra di due euri…
Questa volta vi parlerò
della trama ancora di meno di quel poco che faccio di solito: dirò solo che in
questo caso l’indagato è nientemeno che Orrie
Cather, cioè quello che assieme a Saul
Panzer è il più attivo degli investigatori che collaborano con Nero Wolfe. Non dico altro, perché in
fondo le trame dei romanzi di Stout passano in secondo piano nei confronti del
piacere che si prova entrando nel mondo del suo personaggio principale.
Leggere un’avventura di Nero Wolfe è come sedersi sulla tua
vecchia poltrona: sarà vecchia e fuori moda ma ti accoglie sempre con calore,
sarà rovinata, ma ne conosci tutte le confortevolezze e ti piace persino
passare le dita sugli strappi e sulle screpolature della pelle consumata. I
ritmi e le abitudini dei residenti nella vecchia casa di arenaria rossa ti sono
talmente familiari che è come se tu fossi un loro ospite ricorrente e
affezionato, innamorato della cucina di Fritz
Brenner, affascinato dalla serra di orchidee sul terrazzo, e talmente
rispettoso che non ti sogneresti mai di sedere sulla poltrona preferita dello
scostante padrone di casa o dietro la scrivania di un accomodante ma pericoloso
Archie Goodwin.
Il clichet narrativo dei gialli di Stout si discosta poche volte dalla
classica struttura ternaria problema – tentativi di risoluzione – epilogo,
e in quest’ultimo è quasi sempre il genio di Wolfe che trova una soluzione alla
quale nemmeno le autorità, nei panni dell’ispettore Cramer, erano riuscite ad arrivare, e ciò che li rende
particolarmente gustosi è la caratterizzazione che l’autore ha infuso nei
personaggi e nell’ambiente, a partire dal suo personaggio principale che lo
scrittore ha costruito come se guardasse in uno specchio riflettente l’esatto opposto di se stesso: Stout era uno
spilungone magrissimo, Wolfe è alto ma obeso; Stout era freneticamente attivo,
Wolfe pigro e indolente; Stout innamoratissimo della seconda moglie, Wolfe
misogino inveterato; ma la passione per la buona cucina e per le orchidee è
comune in entrambi, oltre alla genialità che in Stout si è manifestata in campi
anche diversi dalla scrittura. Entrambi hanno parecchi punti in comune con il
mio carattere, dal momento che odiavano svisceratamente i politici, i
maneggioni, gli ottusi e la televisione.
Dal momento che il primo
romanzo con Nero – La traccia del
serpente – è del 1934, e l’ultimo uscì dopo la morte dell’autore nel 1976,
è ovvio che sia le ambientazioni, che gli usi comuni e le tecniche di indagine,
sono datati di almeno quarant’anni rispetto a noi, ma ciò non toglie, almeno a
me, la piacevolezza di leggere lo stile chiaro e pacato dello statunitense e di
essere continuamente in cerca degli esemplari che mancano alla mia collezione,
compresi gli scritti in cui non compare l’investigatore montenegrino.
Il Lettore
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