lunedì 15 dicembre 2014

Invito a un’indagine

Con mio grande piacere, nel corso della consueta visita al solito negozietto di libri usati, ho scoperto una copia di uno dei romanzi di Rex Stout che ancora non possedevo. Rex Todhunter Stout è stato eletto il miglior giallista del secolo scorso e ha scritto, nel corso della sua carriera, diverse decine di racconti e un centinaio di romanzi, e di questi ultimi circa una settantina sono presenti sui miei scaffali. Nel suo caso, come del resto anche per Ed McBain, tengo sempre in macchina l’elenco delle opere che possiedo, dal momento che mi è molto difficile ricordare al volo se un titolo dubbio l’ho già letto in passato oppure mi manca.


Adocchiato questo Invito a una indagine mescolato a titoli più famosi come La traccia del serpente, La guardia al toro, Nero Wolfe e l’FBI o Alta cucina, sono restato incerto sull’averlo letto o meno e sono andato subito in auto a controllare: vai! Un altro pezzo aggiunto alla mia collezione! Alla modica cifra di due euri…
Questa volta vi parlerò della trama ancora di meno di quel poco che faccio di solito: dirò solo che in questo caso l’indagato è nientemeno che Orrie Cather, cioè quello che assieme a Saul Panzer è il più attivo degli investigatori che collaborano con Nero Wolfe. Non dico altro, perché in fondo le trame dei romanzi di Stout passano in secondo piano nei confronti del piacere che si prova entrando nel mondo del suo personaggio principale.
Leggere un’avventura di Nero Wolfe è come sedersi sulla tua vecchia poltrona: sarà vecchia e fuori moda ma ti accoglie sempre con calore, sarà rovinata, ma ne conosci tutte le confortevolezze e ti piace persino passare le dita sugli strappi e sulle screpolature della pelle consumata. I ritmi e le abitudini dei residenti nella vecchia casa di arenaria rossa ti sono talmente familiari che è come se tu fossi un loro ospite ricorrente e affezionato, innamorato della cucina di Fritz Brenner, affascinato dalla serra di orchidee sul terrazzo, e talmente rispettoso che non ti sogneresti mai di sedere sulla poltrona preferita dello scostante padrone di casa o dietro la scrivania di un accomodante ma pericoloso Archie Goodwin
Il clichet narrativo dei gialli di Stout si discosta poche volte dalla classica struttura ternaria problema – tentativi di risoluzione – epilogo, e in quest’ultimo è quasi sempre il genio di Wolfe che trova una soluzione alla quale nemmeno le autorità, nei panni dell’ispettore Cramer, erano riuscite ad arrivare, e ciò che li rende particolarmente gustosi è la caratterizzazione che l’autore ha infuso nei personaggi e nell’ambiente, a partire dal suo personaggio principale che lo scrittore ha costruito come se guardasse in uno specchio riflettente l’esatto opposto di se stesso: Stout era uno spilungone magrissimo, Wolfe è alto ma obeso; Stout era freneticamente attivo, Wolfe pigro e indolente; Stout innamoratissimo della seconda moglie, Wolfe misogino inveterato; ma la passione per la buona cucina e per le orchidee è comune in entrambi, oltre alla genialità che in Stout si è manifestata in campi anche diversi dalla scrittura. Entrambi hanno parecchi punti in comune con il mio carattere, dal momento che odiavano svisceratamente i politici, i maneggioni, gli ottusi e la televisione.
Dal momento che il primo romanzo con Nero – La traccia del serpente – è del 1934, e l’ultimo uscì dopo la morte dell’autore nel 1976, è ovvio che sia le ambientazioni, che gli usi comuni e le tecniche di indagine, sono datati di almeno quarant’anni rispetto a noi, ma ciò non toglie, almeno a me, la piacevolezza di leggere lo stile chiaro e pacato dello statunitense e di essere continuamente in cerca degli esemplari che mancano alla mia collezione, compresi gli scritti in cui non compare l’investigatore montenegrino.
Il Lettore

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