giovedì 4 dicembre 2014

Io sono il Libanese

Faccio ammenda! Nell’ultimo post che ho pubblicato l’altro ieri, La verità sul caso Harry Quebert, mi è scappata una castroneria gigantesca: il film di Kurosawa nel quale la stessa vicenda è narrata da più punti di vista non è Ran, come dapprima avevo citato, ma Rashomon (non andate a guardare, l’ho corretto quasi subito, ma l’avevano già letto in venti). Chiedo scusa a tutti e venti per essermi fidato della memoria senza andare a controllare (ehhh… quando uno invecchia…) e ringrazio il Ferro per avermelo fatto notare (e per aver  concordato al 90% sulla mia valutazione del romanzo di Dicker, il ché fa sempre piacere).
Veniamo al romanzo di oggi.
Quando lessi Romanzo criminale non ne rimasi molto colpito, anzi, ricordo che lo trovai lento e a tratti noioso, e la fortuna è stata che me l’avevano prestato. Ovviamente non ho visto le serie televisive, e se non mi avessero prestato anche questo Io sono il Libanese, per me l’esperienza con Giancarlo De Cataldo avrebbe potuto ritenersi conclusa.

Ma qui l’attività di scambio è fitta, e vista la gratuità non ho potuto fare a meno di leggere quest’ultimo prestito (a sua volta comprato usato a sei euri…). Poche sedute ed era finito, poco più di 130 pagine con meno di 300 parole ciascuna, il classico romanzetto usa e getta da operazione commerciale.


In pratica la trama è inesistente e, se gli si volesse dare una veste, sarebbe quella di far vedere uno scorcio della vita di quel Libanese che sarebbe stato il capo della banda della Magliana in Romanzo criminale. In sostanza un prequel, confezionato con l’unico scopo di incassare un po’ di quattrini tra libro e riduzioni (mi correggo: ampliamenti) televisive.
Scorcio che dice poco, salvo far conoscere un delinquentucolo di mezza tacca con smisurate manie di grandezza che attua assieme ai suoi compari una sequela di tentativi poco o niente riusciti di atti criminosi, apparendo sì cinico e duro ma in definitiva sfigato, e affetto da un dilettantismo cronico. Basta, tutto qui. Ah, sì, c’è anche una storia d’amore che dovrebbe far capire al lettore come mai al protagonista, nel romanzo successivo (che però è uscito prima…) non interessi molto l’universo femminile. Stavolta basta davvero. Il romanzo, se vogliamo continuare a chiamarlo così visto che non c’è una trama, è inconcludente e una volta che l’hai finito ti domandi: va be’, e allora?
L’unico pregio che vi ho trovato è la scrittura: pragmatica, asciutta, veloce, con poche concessioni alle riflessioni pur essendo scritto in terza persona, quasi tutta azione descritta devo dire anche piuttosto bene e inserimenti dialettali che non danno fastidio. Questa sì, è migliorata rispetto al romanzo precedente (che però è ambientato dopo…).
Nonostante l’operazione commerciale, se ci fosse stata una trama (o una parvenza di conclusione), sarebbe anche risultata una lettura piacevole, ma così…
Il Lettore

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