Faccio
ammenda! Nell’ultimo post che ho pubblicato l’altro ieri, La verità sul caso Harry Quebert, mi è
scappata una castroneria gigantesca:
il film di Kurosawa nel quale la stessa vicenda è narrata da più punti di vista
non è Ran, come dapprima avevo citato, ma Rashomon (non andate a guardare, l’ho
corretto quasi subito, ma l’avevano già letto in venti). Chiedo scusa a tutti e
venti per essermi fidato della memoria senza andare a controllare (ehhh… quando
uno invecchia…) e ringrazio il Ferro
per avermelo fatto notare (e per aver
concordato al 90% sulla mia valutazione del romanzo di Dicker, il ché fa
sempre piacere).
Veniamo al romanzo di oggi.
Quando lessi Romanzo criminale non ne rimasi molto
colpito, anzi, ricordo che lo trovai lento e a tratti noioso, e la fortuna è
stata che me l’avevano prestato. Ovviamente non ho visto le serie televisive, e
se non mi avessero prestato anche questo Io
sono il Libanese, per me l’esperienza con Giancarlo De Cataldo avrebbe potuto ritenersi conclusa.
Ma qui l’attività di
scambio è fitta, e vista la gratuità non ho potuto fare a meno di leggere
quest’ultimo prestito (a sua volta comprato usato a sei euri…). Poche sedute ed
era finito, poco più di 130 pagine con meno di 300 parole ciascuna, il classico
romanzetto usa e getta da operazione
commerciale.
In pratica la trama è
inesistente e, se gli si volesse dare una veste, sarebbe quella di far vedere
uno scorcio della vita di quel Libanese
che sarebbe stato il capo della banda della Magliana in Romanzo criminale. In sostanza un prequel, confezionato con l’unico scopo di incassare un po’ di quattrini
tra libro e riduzioni (mi correggo: ampliamenti) televisive.
Scorcio che dice poco,
salvo far conoscere un delinquentucolo
di mezza tacca con smisurate manie di grandezza che attua assieme ai suoi
compari una sequela di tentativi poco o niente riusciti di atti criminosi,
apparendo sì cinico e duro ma in definitiva sfigato, e affetto da un
dilettantismo cronico. Basta, tutto qui. Ah, sì, c’è anche una storia d’amore
che dovrebbe far capire al lettore come mai al protagonista, nel romanzo
successivo (che però è uscito prima…) non interessi molto l’universo femminile.
Stavolta basta davvero. Il romanzo, se vogliamo continuare a chiamarlo così
visto che non c’è una trama, è inconcludente e una volta che l’hai finito ti
domandi: va be’, e allora?
L’unico pregio che vi ho
trovato è la scrittura: pragmatica, asciutta,
veloce, con poche concessioni alle riflessioni pur essendo scritto in terza
persona, quasi tutta azione descritta devo dire anche piuttosto bene e
inserimenti dialettali che non danno fastidio. Questa sì, è migliorata rispetto
al romanzo precedente (che però è ambientato dopo…).
Nonostante l’operazione
commerciale, se ci fosse stata una trama (o una parvenza di conclusione), sarebbe
anche risultata una lettura piacevole, ma così…
Il Lettore
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