mercoledì 17 dicembre 2014

Stupore e tremori

C’è qualcuno che dice che gli scrittori sono tipi strani, e quest’affermazione troverebbe una conferma solo a guardare le foto della scrittrice belga Amélie Nothomb, con le sue espressioni allucinate e i suoi abiti rigorosamente neri. Ma basterebbe anche solo dare un’occhiata ai titoli che ha messo ad alcuni suoi romanzi: Igiene dell’assassino, Cosmetica del nemico, Metafisica dei tubi… per concordare che tanto per la quale non è.
Non sarà tanto per la quale, ma per scrivere scrive bene, e parecchio.


Amélie Nothomb è diventata famosa fin dal suo primo romanzo, Igiene dell’assassino, e dal momento che ha trascorso la sua giovinezza prima in Giappone e poi in Cina ed essendo perfettamente bilingue (francese e giapponese), era scontato che prima o poi avrebbe trasfuso la sua esperienza nei paesi orientali in una qualche storia. Questa.
Stupore e tremori è una vicenda molto autobiografica nella quale una giovane ragazza belga (guarda caso) viene assunta a lavorare come interprete in una grossa società giapponese per merito della sua perfetta padronanza delle due lingue. Fin dal primo giorno di lavoro, però, la sua esperienza alla Yumimoto si trasforma in un incubo a causa dello scontrarsi con la rigidissima gerarchia giapponese e con il formalismo esasperato. La Nothomb riesce a raccontare le vicissitudini della protagonista con una forte carica ironica che strappa spesso dei sorrisi durante la lettura, man mano che la protagonista passa da interprete a semplice segretaria, continuando a scivolare sempre più in basso nei meandri della gerarchia, letteralmente fino a doversi mettere a pulire i cessi.
Ma ci sarà anche una parvenza di riscatto finale…
Celata dietro i sorrisi spunta fuori la ferma condanna per la rigidezza delle regole alle quali tutti i giapponesi hanno accettato di sottostare (lo stesso titolo, Stupore e tremori, sta a rappresentare lo stato d’animo in cui tutti dovrebbero sentirsi al cospetto dell’imperatore), e se questo può essere sopportabile per un uomo, si rivela con l’essere degradante per tutte le figure femminili, che hanno una vita programmata fin dalla nascita dalla quale un’evasione è praticamente impossibile.
Bel racconto, mi è piaciuto. Certo che la figlia di un ambasciatore, una che per le esigenze diplomatiche del padre si è spostata dal Giappone alla Cina, quindi a New York, poi in Bangladesh, finalmente in Europa a Bruxelles, ancora qualche anno a Tokio, poi ancora a Bruxelles per finire con l’abbarbicarsi a Parigi, di cose da raccontare ne dovrebbe avere, ed è quello che fa la Nothomb nei suoi romanzi pubblicati finora uno all’anno, puntuali come un orologio belga. E non c’è dubbio che lo sa fare.

Il Lettore

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