C’è qualcuno che dice che
gli scrittori sono tipi strani, e quest’affermazione troverebbe una conferma
solo a guardare le foto della scrittrice belga Amélie Nothomb, con le sue espressioni allucinate e i suoi abiti
rigorosamente neri. Ma basterebbe anche solo dare un’occhiata ai titoli che ha
messo ad alcuni suoi romanzi: Igiene
dell’assassino, Cosmetica del nemico,
Metafisica dei tubi… per concordare
che tanto per la quale non è.
Non sarà tanto per la
quale, ma per scrivere scrive bene, e parecchio.
Amélie
Nothomb è diventata
famosa fin dal suo primo romanzo, Igiene
dell’assassino, e dal momento che ha trascorso la sua giovinezza prima in
Giappone e poi in Cina ed essendo perfettamente bilingue (francese e
giapponese), era scontato che prima o poi avrebbe trasfuso la sua esperienza
nei paesi orientali in una qualche storia. Questa.
Stupore
e tremori è una vicenda
molto autobiografica nella quale una giovane ragazza belga (guarda caso) viene
assunta a lavorare come interprete in una grossa società giapponese per merito
della sua perfetta padronanza delle due lingue. Fin dal primo giorno di lavoro,
però, la sua esperienza alla Yumimoto
si trasforma in un incubo a causa dello scontrarsi con la rigidissima gerarchia
giapponese e con il formalismo esasperato. La Nothomb riesce a raccontare le
vicissitudini della protagonista con una forte carica ironica che strappa
spesso dei sorrisi durante la lettura, man mano che la protagonista passa da
interprete a semplice segretaria, continuando a scivolare sempre più in basso
nei meandri della gerarchia, letteralmente fino a doversi mettere a pulire i
cessi.
Ma ci sarà anche una
parvenza di riscatto finale…
Celata dietro i sorrisi
spunta fuori la ferma condanna per la rigidezza delle regole alle quali tutti i
giapponesi hanno accettato di sottostare (lo stesso titolo, Stupore e tremori, sta a rappresentare
lo stato d’animo in cui tutti dovrebbero sentirsi al cospetto dell’imperatore),
e se questo può essere sopportabile per un uomo, si rivela con l’essere
degradante per tutte le figure femminili, che hanno una vita programmata fin
dalla nascita dalla quale un’evasione è praticamente impossibile.
Bel racconto, mi è
piaciuto. Certo che la figlia di un ambasciatore, una che per le esigenze
diplomatiche del padre si è spostata dal Giappone alla Cina, quindi a New York,
poi in Bangladesh, finalmente in Europa a Bruxelles, ancora qualche anno a Tokio,
poi ancora a Bruxelles per finire con l’abbarbicarsi a Parigi, di cose da
raccontare ne dovrebbe avere, ed è quello che fa la Nothomb nei suoi romanzi
pubblicati finora uno all’anno, puntuali come un orologio belga. E non c’è
dubbio che lo sa fare.
Il Lettore
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